Il web non è ​un luogo di libertà e trasparenza, ma è la tomba della democrazia?

Internet, che doveva essere un luogo di libertà e trasparenza, sta diventando la tomba della democrazia così come l’abbiamo conosciuta finora? 

I reati che si commettono online diventano sempre più numerosi e sempre più gravi e la protezione delle vittime è sempre più difficile. Il motivo è nella natura di stessa di Internet che, in quanto comunità planetaria sfugge molto spesso alle regole della legge italiana. Non è che manchino gli strumenti per difendersi, anzi ce ne sono pure troppi, ma sono veramente poco efficaci. A livello legale ad esempio l’autorità giudiziaria non è in grado di intervenire tempestivamente, ed anche quando interviene non è detto che si riesca a identificare il responsabile dell’illecito, se anche questo viene rintracciato non è detto che sia perseguibile perché potrebbe trovarsi dall’altra parte del mondo e in ogni caso il post o il video offensivo si può comunque condividere all’infinito, senza che nessuno possa riuscire a fermarlo. Lo strumento più efficace per la rimozione di contenuti nocivi è una richiesta rivolta agli stessi gestori delle piattaforme digitali i quali si stanno sempre più organizzando per risolvere i problemi delle offese e di tutti gli abusi che si possono commettere attraverso i social network. Questa si dimostra essere la prova che le autorità pubbliche non sono in grado, strutturalmente, di garantire la tutela preventiva né quella repressiva. Per questo Facebook ha istituito addirittura un comitato di controllo planetario di revisione delle decisioni aziendali, una sorta di corte suprema mondiale. Ifatto è che si tratta di giustizia privata, che applica regolamenti interni, autoreferenziali, procedure che non hanno alcun controllo democratico né alcuna forma di trasparenza. Caso emblematico quello che succede in materia di revenge porn, dove il garante privacy italiano porta le notizie a Facebook, cioè un’autorità pubblica fa da intermediario nei confronti di un privato, perché intervenga a reprimere gli illeciti. C’è anche il caso di Donald Trump, ex presidente degli Stati Uniti, che lamenta di essere vittima di questa forma di giustizia privata, fatta dagli stessi gestori. Altro esempio: la guerra in Ucraina, che viene combattuta non solo sul terreno, ma anche in rete con la cosiddetta disinformazione, cioè notizie false o manipolate che sono importantissime per condizionare l’opinione pubblica e alla fine anche le sorti della guerra: si deve cercare di fermare questa valanga di fake news oppure no? E chi lo decide? Una società commerciale, che ha come scopo principale il profitto, deve decidere quale informazione può circolare liberamente e quale no? Siamo in un vicolo cieco. La sovranità degli stati non è sufficiente a governare la rete, ma lasciare ai privati una forma di giustizia alternativa comporta gravi incongruenze in termini di mancato controllo democratico delle decisioni. Internet, che doveva essere un luogo di libertà e trasparenza, sta diventando la tomba della democrazia così come l’abbiamo conosciuta finora?

Raoul Ragazzi

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