Renzi si è fermato a Tripoli

Quando Matteo Renzi nel 2014 fu nominato presidente del consiglio molti furono gli entusiasmi. Gli stessi entusiasmi si sono materializzati nel fiume di 19 milioni di voti che lo hanno costretto a dimettersi. L’ Italia ama gli uomini forti e sicuri, li esalta e coccola ma alla stessa velocità li punisce. Dimissioni figlie di un labirinto politico creato dallo stesso Matteo nazionale. “Mi gioco tutto”, Renzi ha pensato questo, sfidando praticamente tutto il panorama politico italiano, granitico nel mandarlo a casa, dall’estrema destra alla sinistra. Il giocattolo si è rotto da tempo, tra paese e premier e il referendum personalizzato ha dato il colpo di grazia “alla rottamazione”. Torna di prepotenza D’Alema, tornano Brunetta e Berlusconi. Tornano in chiave anti governativa e vincono, anzi stravincono. A questi s’aggiunge il Movimento 5 Stelle, forse fulcro di questa battaglia. L’Italia esce da una guerra civile politica con pochi precedenti ed il dopo appare assai nebuloso ed incerto. Ma dove Matteo Renzi ha lasciato l’osso del collo? Forse in politica estera, in Libia per la precisione. Decisioni non sempre coerenti, o prese a metà hanno portato ad una esasperazione trasversale in tema immigrazione. Il governo qualcosa ha fatto ma l’opinione pubblica non ha proprio capito, nelle stanze governative quest’ aspetto è stato sottovalutato, ci si è affidati alla storica pazienza italiana. Nessun provvedimento concreto in tema Libia, solo bozze di soluzioni. Intanto l’italiano medio arrancava, quasi inascoltato. Renzi, forse tradito dal vincolo interno storico, ha sottovalutato le proprie mosse all’estero. Convinto (dopo le Europee) che il paese fosse con lui (quasi 14 milioni d’ italiani lo sono) ha gestito i fatti esteri con forse troppa convinzione non ricadessero sulla politica nazionale. Il disagio della popolazione italiana invece lo si respira dappertutto, unito all’enfasi da campagna elettorale è stato portato alle stelle. Chiariamoci: l’emergenza profughi non è stata gestita bene, il paese in ginocchio non ha capito certe scelte su cui hanno soffiato i venti della protesta. Da campanello d’allarme si è passati a sirena ma non è bastato per correre ai ripari.

Il referendum come ha rivoluzionato il panorama politico italiano?

In realtà il Pd ne esce con parecchi voti, quasi 14 milioni. Destre e 5 Stelle rimpinguano il proprio elettorato e sperano. La destra ha un problema non semplice da risolvere: trovare un candidato premier. Matteo Salvini si dice pronto ma per provarci dovrà cambiare, non di poco, la Lega. Berlusconi come si muoverà?  Il 5 Stelle invece appare pronto e punterà ad elezioni subito. Oltre a Matteo Renzi è la sinistra storica, infarcita di paradossi a perdere forse definitivamente il treno governativo. In politica tutto è possibile, tutto si tratta ed evolve ma sarà complicato rivedere Vendola con il Pd, sempre il partito non si spacchi. La Sinistra sicuramente non ne esce bene, divisa, sparita dalle fabbriche, lontana dalle persone, odiata da ceto medio ed operai, bacini storici di voti. Ha prevalso la rottura, ha prevalso la cacciata degli idoli dal tempio. Sarà complicato ora proporre leggi profonde in tema di diritti civili e molto altro, chi sembra destinato a governare su certi temi possiede idee molto chiare, Matteo Renzi era riuscito a mediare l’impossibile, forse non ricapiterà a breve.

Un voto contro la Ue?

In parte. Renzi non ha convinto sul fronte Europa il No è destinato anche alla Ue, inutile le perifrasi. Immigrazione, Ue, disagio della classe media. I tre cardini su cui hanno ruotato i quasi 20 milioni di voti per il No. Renzi paga anche l’immobilismo a volte esagerato di una sua creatura: la Mogherini. Luttwak fu molto severo nel 2015 con il premier “i colpi di stato non si fanno con le ragazzine” affermò. Il termine “ragazzine” fu enfatizzato, in realtà il politologo utilizzò la metafora per indicare la poca esperienza dalla squadra di governo. Uomini di spessore assenti, tutto catalizzato sulle spalle di Renzi che appunto è stato quasi costretto a giocarsi la riforma sulla propria persona. La Ue è ancora lì, per quanto?

Che succede ora?

Governo tecnico? Possibile Padoan o Grasso ricevano l’incarico ed in qualche modo riescano ad essere convincenti in Europa con una manovra economica non eccelsa. Senza Renzi, può sembrar paradossale, diventa più complicato. In caso di respinte sarà necessario rivedere la manovra (al ribasso ovviamente). Monti è ancora vivo (in negativo) nella mente degli italiani, quindi ciò che si prospetta sarà un tema delicato. Sono moltissimi i tavoli economici aperti dall’Italia nel mondo, tavoli che non permettono stalli, ne va della nostra macro economia. Tutta colpa dei “No”? Sarebbe riduttivo scriverlo o solo pensarlo, forse il prodotto di una classe politica tutta che non ha saputo produrre un dibattito serio sul paese ma ha preferito una campagna elettorale perpetua atta ad impallinare il premier di turno, si chiami Renzi o Berlusconi. In questo caso, per il bene del paese, sarebbe il caso di aggiustare la riforma elettorale, tenere il passo in campo economico e votare il prima possibile. Del resto il popolo italiano ha deciso in questo senso ed è giusto rispettarne il volere, compito della politica (tutta) limitare i danni.

Marco P.

Giornalista pubblicista, originario di Bolzano si occupa di economia, esteri, politica locale e nazionale

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Marco P.

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