Quer pasticciaccio brutto de referendum

Sì o No, queste due paroline hanno mobilitato e diviso l’Italia. Specialmente nell’ultimo mese. Sostenitori accaniti da entrambe le parte e schieramenti assai variegati. Senza scomodare troppo il letterato Gadda: un bel pasticcio politico. Succede che il partito di maggioranza di governo s’impegna a cambiare il paese. Compito non semplice e soprattutto assai delicato, in ballo pezzi di Costituzione e molto altro. Sono circa vent’anni che più o meno tutti i presidenti del consiglio ci provano. Matteo Renzi è solo l’ultimo. Il premier però, forte anche dei sondaggi e della straripante vittoria alle Europee 2014 forza la mano e “personifica” il quesito. Questo il vero peccato originale. Affermazioni come “Perdo e mi dimetto”, o “Perdo e lascio la politica” pesano come macigni sulla credibilità politica del segretario del Pd. Matteo Renzi però si è dimostrato, cannibale politico. Ha spezzato in due la destra, frantumando di fatto la coalizione nata attorno a Berlusconi. L’ex delfino del Cavaliere, tal Alfano, è un ministro del governo, uno dei capolavori (o sciagure, dipende dal punto di vista) del premier. Renzi è un grande comunicatore (superiore al primo Berlusconi) ma abbina a questa dote (infarcita da spin doctor) alla lungimiranza. Questa virtù (o cannibalismo politico per altri) gli ha permesso di scalare il Pd e di conseguenza prendersi il governo del paese non passando da elezioni (pareggiate dall’ormai spento e forse esausto Bersani). Renzi divide, forse più di Berlusconi. Renzi lo squalo che ha incartato il Silvio nazionale, esaurito la Sinistra storica, contenuto l’arrembante Cinque Stelle (fino ad ora) e fagocitato il Pd. Renzi ricorda Augusto. Sorriso, belle parole, anche simpatia (personaggio bipolare, odio o amore) ma nessuna pietas politica. L’uomo forte divide. Il quesito referendario può essere tradotto cosi: “vuoi che Renzi si dimetta?”. Nessuno lo ammetterà mai, ma il collante è quello. E gli indecisi? Quelli che “la politica chi se ne frega!” saranno l’ago della bilancia. In queste ore però i grattacapi saranno parecchi. Poniamo l’indeciso sia d’area sinistra. Quale il parametro generale? In teoria è semplice “Se Gasparri o Berlusconi sono per il No, allora si vota Si”. Ma questa volta è diverso. Silvo va da Barbara d’Urso (già…) a declinare le virtù del No. Nello stesso momento un bel mezzo di sinistra storica (dai centro sociali, all’Anpi passando per la Cgil, oltre agli ex vendoliani) si scopre alleata con il nemico di sempre. Lega, Cinque Stelle o Casapound portano a casa la pagnotta come sempre, il No per loro è logico. L’ossimoro è rappresentato da chi compra il Manifesto e vota come Berlusconi? In parte sì, in parte no. La testa è indipendente e quindi è legittimo votare da ossimori, in Italia è capitato moltissime altre volte. Un paese a trazione cattolica che votò per introdurre divorzio ed aborto, un paese che nel 1994 premiò l’ultimo arrivato in politica, Berlusconi appunto. L’italiano medio è democratico d’indole ma attirato dal “princeps”. Un paese che il finissimo intellettuale fascista (ma sempre finissimo) Bottai amava definire: contemporaneo e delegante. Agli italiani la storia piace ma la propria sembra la portino nel DNA senza in realtà conoscerla. Fin dai tempi dei Cesari si chiamava “primo cittadino” colui che in realtà era un re, repubblica ciò che in realtà era impero. In tempi più recenti, in piena dittatura, si mantenne la forma diarchica con la monarchia e all’estero Mussolini fu “il primo dei ministri”. Forma, italiani affezionati alla forma ed alla Costituzione, molti voteranno anche in base a questo. Chi vincerà? Il No per logica, per odore politico ma rimane una riflessione: siamo un paese che dopo l’8 settembre non contava più fascisti e solo partigiani e che per vent’anni si giurava di non votare Berlusconi.

Marco P.

Giornalista pubblicista, originario di Bolzano si occupa di economia, esteri, politica locale e nazionale

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