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ESCLUSIVO. L’appello del professor Cosentino: “Fateci studiare i vaccini anti-Covid”

23 Luglio 2023

ESCLUSIVO. L’appello del professor Cosentino: “Fateci studiare i vaccini anti-Covid”

Siamo ancora fermi al punto di partenza. O quasi. Sono infatti numerosi, troppi gli interrogativi riguardanti l’efficacia e la sicurezza dei prodotti vaccinali contro il COVID-19. Sembra ieri quando il furgoncino contenente le prime dosi giungeva in Italia dopo aver attraversato mezza Europa, con la benedizione di politici e virostar, che promettevano il rapido ritorno alla normalità grazie a un paio di iniezioni. A tutt’oggi, invece, la campagna vaccinale di massa più imponente della storia resta avvolta da un’oscura coltre di mistero. Da un lato la propaganda senza precedenti, le imposizioni, i ricatti vaccinali, le lodi sperticate alle punture da parte di autorità istituzionali e televirologi, mentre si procedeva al sistematico soffocamento del dibattito scientifico; dall’altra i documenti segreti, contraffatti (come descritto in alcune, rarissime inchieste giornalistiche) e l’invito alla prudenza di parecchi scienziati, che chiedono da tempo di poter esaminare liberamente il contenuto delle fiale. Sembra assurdo, eppure le cose stanno proprio così: i ricercatori non sono stati ancora autorizzati a studiare autonomamente quei prodotti, che tuttavia hanno ottenuto da mesi l’autorizzazione definitiva all’immissione in commercio. Davanti a un simile scenario, non sarebbe lecito parlare di scienza, quanto piuttosto di un atto di fede: come spiegare infatti che nessuno possa acquistare e quindi analizzare, a scopo di ricerca, i vaccini anti-Covid? Perché non si conoscono gli esiti della farmacovigilanza attiva (ammesso che esista)? Perché la tematica degli effetti avversi è perennemente tabù? Abbiamo esaminato la situazione con il professor Marco Cosentino, medico, docente ordinario di Farmacologia presso la Scuola di Medicina dell’Università dell’Insubria (dove dirige il Centro di ricerche in Farmacologia Medica), il quale si è occupato della questione fin dal principio.

Professore, a due anni e mezzo di distanza dall’inizio della campagna vaccinale, il dibattito sugli effetti avversi non si placa. In fondo, per zittire i ‘complottisti’ sarebbe sufficiente analizzare il contenuto dei vari prodotti: qualcuno l’ha fatto?

“Il tema degli effetti avversi dovuti ai vaccini COVID-19 è in realtà molto più vasto e complesso rispetto a quello della loro corretta composizione e conservazione, che costituisce un filone a sé, minore seppure da non trascurare. La potenziale tossicità di questi prodotti è dovuta infatti in primo luogo alla loro “concezione”: tutti finiscono per introdurre nell’organismo una certa quantità di proteina Spike virale, la componente più aggressiva del virus che i vaccini contengono tutti in forma purtroppo attiva. I prodotti come Nuvaxovid che contengono la proteina ricombinante ne introducono una quantità fissa. Quelli a RNA, come Pfizer/BioNTech e Moderna, e quelli a DNA/vettore adenovirale, come AZ e J&J o come il russo Gamaleya, invece fanno sì che l’organismo del ricevente produca in maniera autonoma la Spike, senza essere in grado di controllare la sede di produzione, la quantità prodotta e la durata della produzione. Questo è il principale meccanismo di tossicità, a oggi ancora incredibilmente ignorato dai produttori così come dagli enti regolatori e dai molteplici soggetti istituzionali preposti, malgrado i molteplici allarmi. Noi abbiamo trattato estesamente la questione in uno studio pubblicato lo scorso settembre, spiegando le ragioni per cui è di fondamentale importanza rendere accessibili tutti questi prodotti a ricercatori qualificati e senza conflitti di interesse che siano intenzionati a studiarne tutte quelle caratteristiche fin qui ostentatamente trascurate da produttori e regolatori, a partire dai meccanismi d’azione e dagli effetti su cellule, tessuti e funzioni dell’organismo. Un insieme di conoscenze oggi mancanti o al più frammentarie, in assenza delle quali noi abbiamo definito l’impiego di questi vaccini come “giocare a dadi con la Spike”. Riguardo alla composizione dei prodotti e alla possibilità che difetti di fabbricazione o conservazione possano contribuire a determinare particolari effetti avversi, questo è sicuramente possibile. Almeno due sono le ragioni per temerlo…”.

Quali?

“L’inedita e arbitraria decisione degli enti regolatori di considerare accettabili preparazioni in cui il principio attivo è degradato per il 50%, un limite ben dieci volte maggiore del 5% comunemente previsto per qualsiasi altro medicinale, e la recente scoperta che i prodotti a RNA potrebbero contenere DNA residuo dai sistemi di produzione in quantità inaccettabilmente elevate”.

Le implicazioni di tutto questo?

“La prima questione implica che possano essere utilizzate preparazioni che non solo contengono soltanto la metà del principio attivo, ma nelle quali l’altra metà si è degradata dando origine a residui i cui effetti sono in linea di principio imprevedibili ma certo anche potenzialmente molto nocivi: l’RNA frammentato è infatti fortemente pro-infiammatorio sia localmente che a livello sistemico. La seconda questione rappresenta un’incognita enorme: nel DNA identificato da alcuni ricercatori sarebbe compreso tra l’altro un residuo del vettore di espressione utilizzato nel processo di produzione, contenente il gene della Spike e i geni di resistenza ad alcuni antibiotici (ad esempio: https://jessicar.substack.com/p/contamination-with-antibioticspike). Si tratta di molecole potenzialmente in grado di integrarsi in qualsiasi genoma, e le conseguenze potrebbero essere infinite, tutte alquanto preoccupanti. C’è quindi evidentemente anche un problema di controllo di qualità dei prodotti, che purtroppo per il momento rimane ignorato o quanto meno non adeguatamente considerato. In teoria, la questione dovrebbe essere affrontata grazie ad analisi condotte sistematicamente sui diversi lotti di produzione”.

Chi conduce tali analisi?

“Non è chiaro se e chi le conduca, e tanto meno quali siano i loro risultati e dove e come possano essere verificati nell’interesse pubblico, malgrado siano proprio i riassunti delle caratteristiche del prodotto (RCP) di ognuno di questi vaccini a recitare che “In conformità all’articolo 114 della Direttiva 2001/83/CE, il rilascio ufficiale dei lotti di fabbricazione deve essere effettuato da un laboratorio di Stato o da un laboratorio appositamente designato””.

I prodotti vaccinali hanno ottenuto da mesi l’autorizzazione definitiva. Ciò significa che potrebbero essere acquistati in farmacia o comunque essere presenti negli ospedali?

“L’approvazione di qualsiasi medicinale comporta l’assegnazione di una AIC, dove le iniziali stanno per Autorizzazione all’Immissione in Commercio. Qualsiasi medicinale oggi autorizzato è disponibile nelle farmacie, territoriali od ospedaliere, e di conseguenza liberamente acquistabile eventualmente previa esibizione di ricetta che attesti la prescrizione del medico. Qualsiasi medicinale tranne i vaccini COVID-19. Malgrado i RCP (i riassunti delle caratteristiche del prodotto, ndr) li inquadrino quali “medicinali soggetti a prescrizione medica”, non risulta che nessuno di questi prodotti sia acquistabile in una qualsiasi farmacia. Questione singolare e senza alcun precedente”.

Pare che i vaccini anti-Covid siano avvolti dall’alone del segreto militare. Presso quale ente/centro sono conservate, attualmente, le dosi in esubero?

“La questione del “segreto militare” nasce probabilmente da un malinteso legato alla risposta che EMA diede a un’istanza di accesso ai report periodici di sicurezza (PSUR) di questi prodotti. In quel caso pare che EMA, per negare l’accesso, si sia appellata all’art. 4 del regolamento n. 1049/2001 relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione. Questo articolo elenca molteplici ragioni per il diniego, tra cui anche “difesa e questioni militari”. È tuttavia verosimile che – essendo lo PSUR un “documento di terzi” – ai sensi del comma 4 del medesimo articolo EMA abbia consultato “il terzo” (il produttore) il quale potrebbe essersi opposto, verosimilmente per tutelare i propri interessi commerciali. E “le istituzioni” potrebbero aver ritenuto che non vi fosse “un interesse pubblico prevalente alla divulgazione”. Riguardo alle dosi in esubero, non sono al corrente di alcuno specifico sito di stoccaggio. Apprendo dalla cronaca, come credo tutti, che le dosi scadute vengono mandate al macero. Dove e come non credo sia dato sapere”.

Nella storia della medicina era mai capitato che i ricercatori non potessero analizzare liberamente farmaci e vaccini?

“In tutta la storia non saprei. Quel che è certo è che oggi chiunque voglia esaminare a scopo di ricerca un medicinale in commercio ha due strade: ottenerlo dal produttore (che di regola lo fornisce riservandosi tuttavia il diritto di vietare la pubblicazione di qualsiasi risultato “sgradito”) oppure acquistarlo in farmacia. Nel caso dei vaccini COVID-19, la seconda strada è una scelta ovvia quanto impraticabile, per le ragioni che abbiamo visto in precedenza. È di pochi mesi fa una lettera aperta al governo firmata da varie decine di ricercatori, medici, operatori sanitari, avvocati e tanti altri, volta a ottenere il libero accesso ai vaccini COVID-19 autorizzati in UE a scopo di ricerca. A oggi, nessuna risposta”.

Quando si parla di efficacia e di sicurezza di un prodotto farmaceutico bisogna fare riferimento agli studi registrativi. Qual è la differenza tra uno studio clinico e uno studio epidemiologico?

“Lo standard di riferimento per la verifica dell’efficacia di qualsiasi medicinale è lo studio clinico randomizzato e controllato (con placebo o con trattamento attivo di confronto) in doppio cieco, ovvero nel quale né il soggetto che riceve il trattamento né il medico che lo segue sanno se sia stato somministrato il medicinale sperimentale oppure il trattamento di controllo. Di regola, perché un medicinale ottenga l’autorizzazione (AIC) è necessario che il produttore presenti almeno due studi diversi entrambi con risultati favorevoli, per ridurre il rischio che il risultato favorevole di un singolo studio sia dovuto alla mera casualità. Poi sono arrivati i vaccini COVID-19, che – in nome dell’emergenza pandemica planetaria – sono stati valutati in un singolo studio solo formalmente controllato e in cieco, che ha documentato la capacità di questi prodotti di ridurre la probabilità di sviluppare la sintomatologia del COVID-19 ma non ha in alcun modo esaminato questioni cruciali quali la capacità dei vaccini di evitare il contagio e la trasmissione del virus oppure di ridurre il rischio di COVID-19 grave e di morte. Oltre tutto la durata irrisoria di poche settimane ha pure impedito di rendersi conto che la “copertura” conferita durava pochi mesi. Così, da un lato le imposizioni, gli obblighi e i vincoli che hanno sconvolto per quasi due anni la nostra vita, tutti fondati sull’assunto che i vaccini bloccassero il contagio, non hanno mai avuto alcun fondamento scientifico. Dall’altra parte, abbiamo dovuto affidarci a dati epidemiologici elaborati in studi osservazionali per definizione deboli e vulnerabili a molteplici fattori di distorsione, per scoprire nel corso del 2021 che dopo pochi mesi sarebbe stato necessario un richiamo, e dopo un periodo ancora inferiore un altro richiamo ancora. Con buona pace di certa gente che incredibilmente sproloquiava su protezioni ultradecennali. E oggi i sostenitori a oltranza dei vaccini sono costretti ad asserragliarsi dietro la “mitopoiesi” dell’ennesimo richiamo, forse annuale, forse semestrale, forse chissà. Al netto dell’assenza di qualsiasi studio a supporto dell’efficacia dei richiami, e tanto meno di quelli con i vaccini bivalenti e aggiornati, per i quali i pochi studi disponibili suggeriscono un’efficacia non dissimile se non talora anche inferiore a quella dei vaccini originali. E poi c’è la questione “sicurezza”…”.

Ne vogliamo parlare?

“Nozione fondamentale che qualsiasi studente di medicina apprende al quarto anno di corso frequentando le lezioni di farmacologia: al momento dell’autorizzazione forse è approssimativamente definita l’efficacia di un medicinale, ma sicuramente mai la sicurezza. Per molteplici motivi, che vanno dal numero limitato di individui coinvolti nella sperimentazione, alla loro selezione (quindi nessuna informazione su bambini, fragili, donne in gravidanza o allattamento, interazioni con malattie e altri farmaci e via dicendo), fino alla durata della sperimentazione. E nel caso dei vaccini COVID-19 tutti questi aspetti sono presenti all’ennesima potenza negli studi registrativi: poche migliaia di persone per prodotti somministrati al mondo intero, persone tutte in salute, anziani e fragili esplicitamente esclusi, bambini ignorati salvo alcuni studi pro forma su numeri ancor più ridotti per ottenere l’estensione delle autorizzazioni. Da qui l’esigenza di una farmacovigilanza accurata e approfondita, magari con metodologie attive. Ma anche su questo fronte abbiamo assistito a una Caporetto per di più spacciata per il quattro di Novembre: un numero di segnalazioni scarso e in rapida diminuzione contrabbandato per lo standard aureo quantitativo di riferimento. Le rivelazioni televisive sulle email interne di AIFA indubbiamente suggeriscono qualche plausibile ipotesi sul perché di un tale travisamento”.

Le miocarditi, ad esempio, erano state già segnalate nel primo studio registrativo Pfizer/BioNTech, pubblicato il 10 dicembre 2020, cioè prima dell’inizio della campagna vaccinale? Numerosi effetti avversi sono poi ‘comparsi’ col passare dei mesi: per spiegare quanto accade, a quale letteratura scientifica si dovrebbe attingere?

“In realtà di miocarditi da vaccino non c’è traccia negli studi autorizzativi, quanto meno dei vaccini a RNA. Addirittura nella sua valutazione la FDA, ente regolatorio federale USA, si chiede se i vaccini potrebbero prevenire le miocarditi da COVID-19, quasi rammaricandosi che gli studi autorizzativi non siano stati in grado di stabilirlo. Il rischio di miocarditi post-vaccino emerse a fatica nei primi mesi del 2021, grazie soprattutto a studi di vigilanza attiva basati sull’esame dello stato vaccinale dei soggetti che accedevano al pronto soccorso e/o finivano ricoverati per questo disturbo. Oggi sappiamo da varie fonti che il rischio di miocarditi è quanto meno analogo per i vaccini COVID-19 e per il COVID-19 stesso (probabilmente non per mera coincidenza, visto che in entrambe le situazioni è implicata la medesima proteina virale), e che il rischio è maggiore se chi si vaccina ha già avuto il COVID-19 o – peggio ancora – ha avuto in passato un’infiammazione cardiaca. E si noti che nessuna di queste informazioni ci viene primariamente dalla farmacovigilanza basata sull’analisi delle segnalazioni spontanee di sospette reazioni avverse. Per dire quanto questa sia efficiente. Altra questione interessante: le miocarditi post-vaccino sono “a sorpresa” presenti nello studio autorizzativo del vaccino Nuvaxovid. Dovessi ipotizzare una spiegazione, direi che al tempo si trattava di un effetto avverso ormai noto e dunque più semplice e anzi quasi “doveroso” da identificare anche in uno studio clinico. Si tenga presente che gran parte delle infiammazioni cardiache lievi rischia di esser liquidata con l’etichetta di “disturbi aspecifici” (dolori toracici, stanchezza, …) che non vengono indagati ulteriormente. Ma il danno al cuore c’è stato. Un’ultima questione, che ci dà la misura di quanto la valutazione della sicurezza dei vaccini COVID-19 sia stato un fatto “politico” ben prima e ben più che medico-scientifico: nello studio autorizzativo Pfizer tra i 20mila del gruppo vaccinato ci sono ben quattro paralisi di Bell, una grave neuropatia del nervo facciale che spesso non si risolve per mesi e talora porta a grave invalidità. Bene, gli enti regolatori liquidarono la questione scrivendo che quattro su 20mila sono una “frequenza attesa”, una sorta di “rumore di fondo”. Una giustificazione per scavalcare il problema che fa – o dovrebbe fare – lo stesso effetto dello stridore di unghie su una lavagna. Oggi, nel database pubblico europeo Eudravigilance ci sono alcune migliaia di segnalazioni di paralisi di Bell”.

La cronaca di tutti i giorni riporta casi di ‘malori improvvisi’ o di malattie a rapidissima evoluzione. I ‘complottisti’ non hanno dubbi sulla causa: i vaccini. Si tratta di notizie ‘gonfiate’ oppure c’è un fondo di verità?

“Stiamo assistendo forse ovunque nel mondo a un innegabile eccesso di mortalità rispetto all’atteso, quando dopo una pandemia (che ha verosimilmente colpito primariamente i “fragili”) e dopo vaccini distribuiti “urbi et orbi” asseritamente salva-vita, ci si sarebbe legittimamente aspettati, se non un crollo della mortalità, quanto meno non il suo aumento. I dati e gli studi a riguardo consentono di escludere che si tratti di notizie inventate. La spiegazione invece non è certo semplice da trovare. O, meglio: sarebbe alquanto semplice e immediato verificare il contributo dei vaccini COVID-19. Basterebbe che i dati di mortalità fossero forniti distinti per stato vaccinale (non vaccinati, una, due, tre dosi e così via). L’Inghilterra lo ha fatto e i dati mostrano un innegabile aumento del rischio di morte in associazione allo stato vaccinale, che abbiamo documentato in uno studio oggi disponibile in preprint e che varie riviste si sono fin qui rifiutate anche solo di prendere in considerazione, senza fornirci alcuna spiegazione. Per parte sua l’Inghilterra nel frattempo pare non intenda più aggiornare i suoi dati pubblicamente, mentre – a scanso di rischi – la nostra ISTAT si dichiara preventivamente incapace di associare i decessi allo stato vaccinale. Di fronte a un quadro del genere, come evitare di peccare pensando male?”.

Le autopsie non potrebbero sciogliere ogni sospetto?

“Ogni sospetto forse no, ma certo aiuterebbero almeno in alcuni casi. Ad esempio, molti casi di miopericarditi fatali post-vaccino hanno un quadro istologico tipico. In altre circostanze, la proteina Spike vaccinale era presente nei tessuti danneggiati. Purtroppo nella massima parte dei casi lo stato vaccinale non è disponibile, non viene considerato oppure il vaccino viene aprioristicamente escluso con l’assurda e pseudoscientifica “regola” della “plausibile finestra temporale”, che la nostra AIFA fissa in due settimane. Parafrasando, maccheronicamente: ‘quattuordecim dies post hoc, numquam propter hoc‘. Il fatto è che – come ci dicevamo – si continua a negare il potenziale lesivo di questi prodotti insito prima di tutto (non solo, ma prima di tutto) nel fatto che introducono nell’organismo una proteina virale altamente tossica. I danni maggiori si hanno verosimilmente in soggetti per qualche ragione più vulnerabili, come suggerisce ad esempio la frequenza delle miocarditi o in generale degli effetti avversi gravi che pare sia di uno su qualche centinaio di vaccinati. Il problema è che al momento non abbiamo modo di sapere chi siano i “vulnerabili” poiché, come ci siamo detti, è al momento pervicacemente preclusa la possibilità di studiare gli effetti di questi prodotti sull’organismo umano. Noi abbiamo ipotizzato nelle nostre pubblicazioni che il rischio possa dipendere, per i prodotti a RNA e a DNA/vettore adenovirale, dalla minore o maggiore capacità di sintesi proteica dei tessuti, in parte dipendente dall’età (vedi il maggior rischio di miocarditi nei giovani) in parte dal tipo di tessuto in cui finisce il vaccino (e questa è un’alea al momento del tutto incontrollabile). Ovvio che la verifica di queste ipotesi come pure di tante altre potrà avvenire solo attraverso uno studio libero e non pregiudiziale di questi medicinali, che ne esamini tutti gli aspetti di rilievo farmacologici e tossicologici fino a qui ignorati”.

Altra, delicata questione: la farmacovigilanza attiva. Si dice che i dati siano introvabili, ma essa è stata veramente introdotta? Se i prodotti sono ritenuti ‘efficaci e sicuri’, per quale motivo i vaccinati contro il Covid dovrebbero essere monitorati anche a distanza di mesi?

“Ma infatti i vaccinati non sono monitorati in alcun modo. E gli studi di farmacovigilanza attiva richiesti dagli enti regolatori ai produttori non risultano pervenuti (Pfizer ad esempio ne doveva realizzare uno sulle donne in gravidanza, ma dopo averlo iniziato ha dichiarato di non essere più in grado di trovare donne da vaccinare, e così pare non stia fornendo nemmeno i dati delle poche decine di soggetti comunque arruolati, una vicenda ben raccontata sul suo blog dalla giornalista scientifica investigativa Maryanne Demasi), e quei pochi pervenuti sono ovviamente in apparenza tranquillizzanti (la faccenda dell’oste e del vino…). In realtà, sarebbe bastato e forse tuttora basterebbe sottoporre i soggetti che si recano in un centro vaccinale a una visita completa di esami strumentali e laboratoristici prima e a intervalli regolari dopo la vaccinazione. Si identificherebbero in tal modo i tessuti, gli organi e le funzioni più sensibili e vulnerabili e si potrebbero forse anche identificare i soggetti a maggior rischio di effetti avversi. Ricordiamoci che nell’ospedale di Basilea è bastato sottoporre a un semplice esame del sangue prima e dopo la vaccinazione ottocento operatori sanitari per identificare danni cardiaci subclinici in quasi tre persone su cento”.

Considerata la scarsità di informazioni relative ai contenuti dei vaccini anti-Covid, cosa ne potrebbe conseguire in merito a sperimentazioni future e chi vigilerebbe sulla veridicità e sull’integrità dei dati?

“Non so dire. Quel che è certo è che la vicenda COVID-19 nel suo complesso ha determinato una crisi senza precedenti per quanto riguarda la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni come pure della ricerca medica e scientifica. Se e come sarà possibile rimediare al danno fatto, solo il tempo potrà dirlo. Certo, il fatto che la politica – in risposta alla crisi di fiducia – paia preoccuparsi più che altro di reprimere le posizioni critiche (etichetta di fake news alle notizie scomode e alle opinioni non allineate, criminalizzazione del dissenso, e via dicendo) non lascia ben sperare”.

Lo scorso settembre Lei aveva pubblicato, unitamente alla collega Marino, un importante studio che dimostrava la natura di farmaco dei prodotti presentati come vaccini. A distanza di un anno, l’assunto trova ulteriore conferma o addirittura si arricchisce di nuove osservazioni?

“Stiamo lavorando a un aggiornamento, e nel frattempo constatiamo che quanto scritto allora è ancor oggi del tutto attuale e continua a trovare nuove conferme”.