Basta luoghi comuni, la cucina di montagna diversamente raffinata

Lunghi inverni gelidi, intere vallate isolate per mesi, collegamenti stradali esigui e difficoltosi: sono questi alcuni degli ingredienti che per secoli hanno fatto delle montagne un universo a sé stante, un mondo a parte pressoché sconosciuto, dove tradizioni e usanze sono state gelosamente custodite e tramandate di generazione in generazione, anche in cucina. Quando sciare era una necessità prima ancora che un’industria come invece lo è oggi, quando l’economia era basata quasi esclusivamente sull’allevamento e sull’agricoltura e ogni valle era autosufficiente dal punto di vista alimentare, era l’orgoglio a trasformare la povertà in semplicità, parola d’ordine per capire e apprezzare ciò che in montagna, forse più che altrove, è lo specchio fedele della storia di un popolo: la gastronomia. L’assenza di documenti scritti, dovuta alla mancanza di cuochi degni di corti nobiliari che potessero mettere nero su bianco le loro preziose ricette, è sicuramente un altro dei principali fattori che hanno contribuito a etichettare quella di montagna come una cucina grezza fatta per gente altrettanto grezza e bisognosa di molte calorie, che badava più alla sostanza che all’eleganza di ciò che veniva portato in tavola. Un tempo era sicuramente così: la cucina raffinata era prerogativa delle lussuose dimore cittadine, i cui proprietari potevano disporre di cuochi provetti e – addirittura – contendersi lo chef più alla moda del momento per poi vantarsene durante qualche banchetto. La montagna, invece, ha sempre rifuggito la mondanità, almeno fino a qualche decennio fa, finché località come Cortina, Merano o Dobbiaco non sono diventate mete esclusive al pari di Saint-Tropez, Capri, Porto Cervo. Una sorta di «rivoluzione» che, tra i tanti risvolti più o meno positivi, ha segnato comunque anche l’approdo oltre i mille metri di altitudine di chef d’haute cuisine, talvolta dediti a reinterpretare le tradizioni culinarie del luogo, talaltra desiderosi di uscire dagli schemi e proporre piatti in contrasto con l’ambiente circostante e la sua storia (pensiamo ai ristoranti che offrono pesce di mare in alta quota). In un caso o nell’altro, la montagna, soprattutto grazie al turismo degli ultimi decenni, è assurta a paradiso dei gourmet e molte delle sue ricette tipiche sono diventate golosità irrinunciabili. Ma i luoghi comuni si fa fatica a scrollarseli di dosso: così, ancora oggi, sono in molti a pensare che l’alimentazione di montagna sia poco raffinata, scarsa di fantasia, e che non vada per nulla d’accordo con la linea, perché troppo calorica. Luoghi comuni che è tempo di scardinare, per far entrare le ricette di montagna a pieno titolo nel grande libro dei piatti più autentici della cucina italiana, più ricchi di storia, di leggende e di sapori antichi da custodire con passione e preservare per il futuro, perché ogni piatto di montagna è in grado di raccontare un pizzico di passato e di tradizioni del luogo in cui è nato e ogni ingrediente racchiude in sé un pezzo di bosco, di pendio, di vetta, di cielo e di vita.
Le tradizioni gastronomiche del Trentino-Alto Adige attraversarono tra l’Ottocento e i primi del Novecento uno dei momenti più difficili – povertà, emigrazione, carestie, pellagra, superato però gradualmente fino ad arrivare, in questi anni, alla riscoperta delle più autentiche tradizioni culinarie, e rendendo le ricette e i prodotti tipici di questa terra tra i più forti e caratterizzati della cucina italiana di montagna.

Ecco due ricette tipiche della cucina di montagna:

Brennsuppe

Per 2 persone
70 g di burro • 70 g di farina • 1 foglia di alloro • 1 panino • sale
Sciogliete il burro e unitevi la farina, mescolate bene con la frusta, coprite con 1 l d’acqua, aggiungete l’alloro e regolate di sale. Cuocete per 30 minuti e servite con il pane tagliato a dadini.

Gulasch tirolese

Per 4 persone
800 g di manzo tagliato a cubetti • 500 g di cipolle • 2 cucchiai di olio extravergine d’oliva + 1 pezzettino di burro • 1 bicchiere di vino rosso • 1 cucchiaio di aceto • 2 cucchiai di paprika • 2 bicchieri di acqua • 1 foglia di alloro • 1 pizzico di timo • 1 cucchiaino di cumino • 1⁄2 cucchiaino di maggiorana seccata • 2 spicchi d’aglio • la scorza di 1 limone + poche gocce di succo • 1 cucchiaino di concentrato di pomodoro • 1 cucchiaio di burro morbido • sale • pepe • 1 cucchiaio di senape
Fate riscaldare l’olio e il burro, aggiungete le cipolle tagliate ad anelli e fatele dorare, spolverizzate con il timo. Aggiungete la carne, mescolate e continuate a rosolare per qualche minuto a fuoco vivo. Annaffiate con il vino rosso e l’aceto, lasciate evaporare un po’ di liquido e salate. Spolverate di paprika, unite il concentrato di pomodoro, 1 pizzico di maggiorana, 1 pizzico di cumino, la senape e 1 spicchio d’aglio. Allungate il tutto con un po’ di acqua calda e stufate per 1 ora e 1⁄2, a padella coperta e fiamma bassa. 15 minuti prima di fine cottura, tritate finemente gli aromi rimasti: il cumino, la maggiorana, lo spicchio d’aglio e la scorza di limone grattugiata, mescolateli con la noce di burro e il succo di limone. Unite al gulasch e lasciate andare a fuoco lento ancora per 15 minuti circa aggiungendo l’alloro. Servite con polenta o con riso alla tedesca.

Raoul Ragazzi

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