Violenza inarrestabile in una società di vittime e carnefici
di Giuseppe Maiolo, psicoanalista
La tragedia di Orlando con quell’assurdo carico di morte che invade d’improvviso la nostra coscienza ci pone interrogativi inquietanti. Domina su tutto il volto e il nome dell’assassino e sgomenta quel gesto che vorremmo avesse subito una spiegazione, un significato. In momenti come questi, e ultimamente ne stanno capitando di frequente, forse un poco ci servirebbe sapere da dove nasce la mostruosità del massacro o da quale parte della mente proviene la violenza che irrompe improvvisa su persone che stanno divertendosi.
Sapere se è un terrorista o un folle, un esaltato politico che ha fatto sue le convinzioni integraliste o un delirante che ha perso il controllo di sé oppure un soggetto accecato dall’omofobia e dall’odio per la diversità ci potrebbe essere d’aiuto? Difficile dare una risposta, ma di solito ci appare più contenibile l’angoscia se ci dicessero domani che si tratta di un pazzo. Ci sembrerebbe più digeribile sapere che è il gesto di un individuo gravemente disturbato. Invece dovremo convivere con il dubbio che quell’uomo non fosse un folle, ma al contrario uno che l’esaltazione e la premeditazione hanno alimentato a lungo un progetto spaventoso e devastante.
Il che si ascrive non tanto alla patologia quanto piuttosto alla cultura della violenza che oggi sembra inarrestabile quanto contagiosa. Forse ci servirebbe di più fermarsi a riflettere sulla necessità di rivedere con urgenza i nostri canoni personali e collettivi, quelli che riguardano non solo la sicurezza e il benessere, ma soprattutto i modelli culturali e di sviluppo sociale che stiamo utilizzando e trasmettendo alle nuove generazioni.
L’uomo, diceva Freud, ha da sempre barattato la sicurezza con la felicità. E in nome di quest’ultima ha costruito percorsi illusori di benessere ma pure ha rimarcato la sua profonda fragilità. Così dovremo aggiungere ora che quei “mostri” indicibili un tempo provenienti da un oscuro territorio della psiche, oggi appartengono un po’ a tutti noi e si rendono visibili in maniera improvvisa e devastante. Li ritroviamo con drammatica realtà all’interno della nostre fragili identità collettive. Ci appartengono totalmente come energia distruttiva che può diventare incredibilmente potente, perché difficile da controllare e contenere.
Sono espressione dell’irrazionale che irrompe nel quotidiano, che trasforma il virtuale in reale e ne altera tutti i parametri. Ogni gesto anche il più assurdo diventa possibile e apparentemente motivato, mentre è invece il risultato di un’irragionevole incapacità di vivere e relazionarsi agli altri. L’assenza di una progettualità collettiva che sappia valorizzare le differenze di pensiero e di cultura, la globalizzazione del pregiudizio e dell’intolleranza spesso sono alla base di eventi tragici e incredibilmente spietati come quello di cui oggi ci troviamo a parlare con sgomento e incredulità.
Per il futuro non potremo essere al riparo da nulla se non siamo in grado di recuperare con urgenza una “cultura della tolleranza” che ci aiuti a contenere l’odio e serva per educare i giovani a superare il pregiudizio e la fobia di tutto ciò che è diverso. Se non ci affrettiamo a trasmettere alle nuove generazioni un modello di moralità e di rispetto dell’altro, ormai quasi del tutto perduto nelle pieghe di una società sostanzialmente incapace di arginare illegalità e malaffare, rischiamo di ritrovarci sempre più più analfabeti sul piano emozionale e soprattutto, incapaci di contenere le pulsioni distruttive. Rischiamo di essere vittime e allo stesso tempo carnefici.
In foto: Strage degli innocenti di Domenico Ghirlandaio, affresco, 1486-90, Santa Maria Novella, Firenze
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