Siamo in prima linea sul serio? Cosa veramente rischiamo e perché? La Libia dei nostri nonni e di Giovanni Pascoli torna prepotentemente in auge.
La Libia è nel caos dal 2011, l’intervento di Sarkozy ha completamente mandato all’inferno il bacino orientale del Mediterraneo e destabilizzato uno Stato che fino a quel momento aveva retto l’urto dell’estremismo imperante. L’attacco francese spudoratamente atto a danneggiare l’Italia, fino a quel momento partner economico esclusivo dei libici fu salutato come “liberatore” da moltissimi politici nostrani che evidentemente capirono molto dopo le reali motivazioni che portano gli aerei francesi in volo. Le rivoluzioni arabe non furono comprese del tutto e viste in chiave occidentale, in realtà senza un reale supporto esterno ogni paese in cui esplosero è finito in breve tempo nel caos. Twitter fu fondamentale per innescare il meccanismo che però poi perse spinta per mancanza d’interesse da parte di chi avrebbe dovuto supportare il tutto economicamente, le rivoluzioni, infatti, non sono a costo zero e vanno foraggiate, non bastano due clic e un social network. In tutto questo prese corpo Isis, la cui origine è nebulosa e strana, ma tanto basta per spaventare il vicino Occidente a colpi d’esecuzioni televisive brutali e rapimenti. Ora tutto questo è a 500 Km dalle nostre coste e quindi tutti i discorsi dietrologici passano in secondo piano. L’Italia ha già fatto sapere tramite il ministro Gentiloni che è pronta a combattere, Isis non ha perso che poche ore per inserirci nella lista nera. Siamo pronti sul serio? In realtà forse sì, negli ultimi tre anni la nostra marina militare ha accelerato il proprio programma (l’ho spiegato nel mio articolo “Il riarmo silenzioso”) di ammodernamento insieme all’aereonautica. Inoltre la Task Force 45, ovvero i nostri servizi speciali interforze (Consubin, Goi, Incursori aeronautica, Col Moschin) sono considerati dagli americani stessi la miglior forza speciale concentrata al mondo. “Non voglio rivelare dettagli. Posso solo dire che ho potuto osservare il lavoro e la professionalità di quella squadra .Credo che gli italiani sarebbero orgogliosi dei loro soldati.” Pensa questo il generale McCrhystal, comandante delle forze statunitensi in Afghanistan, non proprio l’ultimo arrivato. Questo genere di militari sono fondamentali per qualsiasi tipo d’operazione si voglia intraprendere e attualmente i nostri militari sarebbero in grado d’eseguire tale operazione, non a costo zero ovviamente. C’è chi giura che i piani per l’intervento in Libia siano nei cassetti di Renzi già dal 2014, boutade giornalistiche o notizie reali? Attualmente di reale c’è solamente la paura degli abitanti di Lampedusa, stremati da una situazione difficilissima e proprio oggi, intimoriti dai proclami del Califfato, hanno deciso di ridurre notevolmente le aree di pesca (alcuni pescatori sono addirittura rimasti all’ancora), decisione che mette ancora di più in ginocchio l’economia dell’isola. I lampedusani non hanno dimenticato i missili lanciati da Gheddafi nel 1986, come biasimarli del resto. Siamo chiari, un eventuale intervento italiano costerebbe all’anno 500 milioni di euro. Il nostro primo ministro però sembra aver già fatto i conti visto che in caso di totale perdita della Libia le nostre forniture energetiche (gas e petrolio) sarebbero azzerate insieme a tutti i progetti economici che nostre aziende hanno già iniziato a impiantare in loco dal 2009. In cambio la Libia avrebbe un sistema sanitario e viario nuovo di zecca, il tutto condito da un piano casa. (Questi accordi risalgono al 2009 e rientrano in un piano d’ammodernamento civile del paese) La questione economica purtroppo (umanamente non dovrebbe essere cosi) smuove qualsiasi tipo d’operazione e questo la classe dirigente libica l’ha capito perfettamente negli ultimi mesi: visto che da sola non riesce a governare il paese. Nel caotico teatro libico perfino i Fratelli Mussulmani vedrebbero di buon occhio l’intervento italiano. Il credito della nostra nazione in Africa e Medio Oriente forse non è del tutto scomparso. Il diplomatico spagnolo dell’Onu Bernardino Leon non ha cavato un ragno dal buco nell’impossibile ginepraio di milizie, bande e governi autoproclamatisi legittimi e interventi più o meno velati di Turchia, Qatar e Arabia Saudita. L’Onu come suo solito ha mostrato una debolezza infinita e anzi ha peggiorato il quadro. Urge sottolineare che il nostro paese non si trovava in una situazione simile dal 1940 (l’ultimo bivio storico che ci portò nel baratro), mai fino a ora nessuno ci aveva minacciati cosi da vicino, la nostra governance ne deve prendere atto mettendosi alle spalle le polemiche da quartiere, forse in ballo vi è l’esistenza stessa della nostra nazione. Siamo in una palude infinita di mezze verità, notizie taciute e false tesimonianze. Non sappiamo bene cosa sia l’Isis e come possa agire a nostro danno nell’immediato. L’ormai impresentabile premio Nobel alla pace Obama (ma del resto nel 1938 rischiarono di conferirlo a un certo Mussolini…) in effetti, sta facendo di tutto per spingerci nel pantano orientale e l’escalation libica sembra costruita ad arte. In tutto questo ci siamo noi giovani e meno giovani, messi di fronte (e mandati al fronte in caso di guai seri) all’ennesima guerra non guerra (da ragazzini l’Africa e la Libia erano solo nei racconti di qualche nonno), litania che dal 1991 (eravamo bambini quando Bush bombardava Saddam per la prima volta) ci ha accompagnati in Iraq, Somalia, Ex – Yugoslavia, Afghanistan, Libano e ora Libia. A oggi nessuno possiede la sfera di cristallo per uno sviluppo degli eventi che in ogni caso saranno delicatissimi e forse tragici. La soluzione, qualsiasi essa sia, dovrà essere presa nell’ interesse del nostro paese e trasversalmente agli ideali politici che in questo momento d’estrema crisi devono andare nel cassetto, divisi non si va da nessuna parte, a destra quanto a sinistra. Solo il futuro ci saprà dire se l’Italia virerà verso Vittorio Veneto o Caporetto.