Della tragedia di Elisabetta (per tutti Lisa) Federico non si parlerà mai abbastanza. L’allora diciassettenne morì il 3 novembre 2020, all’ospedale pediatrico ‘Bambino Gesù’ di Roma, dopo atroci sofferenze. Sotto accusa medici e vertici del prestigiosissimo ospedale di proprietà della Santa Sede. Secondo i genitori, Margherita Eichberg e Maurizio Federico, infatti, Lisa sarebbe stata sottoposta a ricoveri ingiustificatamente lunghi, terapie inappropriate e cure tardive, con esito mortale. L’inchiesta penale sta portando verso un binario morto. Ma la famiglia della ragazza non si è arresa: approdata recentemente su ‘Report’, la storia di Lisa è stata raccontata anche nel libro ‘Le tre vite di Lisa’ (Armando Editore), scritto da entrambi i genitori. Papà Maurizio è inoltre un ricercatore, più esattamente direttore del Centro nazionale per la salute globale dell’Istituto Superiore di Sanità. Negli ultimi anni, la sua sete di Verità l’ha spinto ad indagare e a lavorare sui vaccini anti-Covid, ponendo l’attenzione anche sull’efficacia e sulla sicurezza dei prodotti somministrati a gran parte della popolazione.
Si sottolinea che il dott. Maurizio Federico ha risposto alle nostre domande inerenti i vaccini anti-Covid a titolo squisitamente personale. I contenuti dell’intervista non rappresentano in alcun modo la posizione dell’ISS, presso cui lavora
Partiamo dal titolo del vostro libro: perché ‘tre vite’?
“Lisa (diminutivo di Elisabetta) era una ragazza di origini ucraine, da noi adottata all’età di circa cinque anni, unitamente al fratello Bogdan. Proveniva da una famiglia di sei figli: per i primi mesi della ‘prima vita’ è vissuta con la madre, poi sono intervenuti i servizi sociali. Due fratelli sono stati affidati al padre, negli Stati Uniti, mentre lei è finita in un orfanotrofio -situato ora in zona di guerra- per alcuni anni: la ‘seconda vita’. La ‘terza’ è cominciata quando l’abbiamo adottata noi, a Roma, dove è stata in perfetta salute fino ai suoi diciassette anni”.
Lisa è deceduta -stando alla vostra accusa- a causa di una serie di gravissimi e incredibili errori medici. A che punto è l’inchiesta?
“Lisa è morta per le conseguenze di un trapianto di midollo osseo né urgente, né al momento dell’infusione necessario, considerato tuttavia terapia di prima linea dai medici che l’avevano in cura come cura per una patologia ematologica: la citopenia refrattaria dell’infanzia-adolescenza. Malattia seria ma gestibile e, in ogni caso, non oncologica. I nostri periti, ma, di più, il perito del PM hanno dimostrato che i medici avrebbero potuto somministrare a Lisa, come approccio di prima linea, terapie farmacologiche assolutamente non invasive e con una probabilità di risoluzione della malattia superiore al 50%. Non solo: come anche certificato dalla perizia del PM, nostra figlia ha ricevuto un midollo da parte di una donatrice tedesca di trent’anni più grande e più magra di lei di circa dieci chili. In queste condizioni, come atteso, la quantità di cellule utili (le cellule “staminali ematopoietiche”) ricavate sono risultate meno di un terzo del necessario, accompagnate da 350 mL di globuli rossi incompatibili per incompatibilità AB0 maggiore, essendo la donatrice di gruppo AB e Lisa di gruppo 0. La povertà della donazione ha precluso la eliminazione dei globuli rossi. Quindi i medici hanno deciso di infondere tutta la donazione, globuli rossi incompatibili compresi. Ciò ha scatenato una emolisi acuta gravissima, cioè il processo di distruzione dei globuli rossi che, oltre ad aver fatto precipitare Lisa in pericolo di vita, le ha provocato sofferenze lancinanti e strazianti. Nostra figlia ha urlato di dolore per tutte le dodici ore dell’infusione, nonostante il trattamento con morfina e midazolam, ed è anche svenuta dal dolore. Purtroppo poi la situazione si è aggravata in maniera irreversibile”.
Cos’è accaduto?
“Dopo l’infusione è anche subentrata una polmonite, la cui causa è stata indagata con le dovute analisi microbiologiche solo a due giorni dalla morte. Per quindici giorni a partire dall’infusione Lisa era stata trattata con una terapia antibiotica empirica, somministrata senza avere identificato, come si sarebbe potuto e dovuto, il microbo eventualmente responsabile. Quando ormai non c’era più nulla da fare si è scoperta l’origine nosocomiale della infezione ai polmoni: si è tentata solo allora la terapia antibiotica mirata, ma era troppo tardi”.
Qualcuno aveva cercato di farvi desistere dall’accusare di malasanità un’eccellenza quale il ‘Bambino Gesù’. Voi genitori siete riusciti a sporgere denuncia solo un anno dopo la morte di Lisa.
“Come detto, l’iter giudiziario si sta rivelando un ulteriore calvario. Non avendo ritenuto sufficiente la perizia prodotta dal PM, il GUP ha nominato un perito di ufficio. La prima scelta si è rivelata subito in clamoroso conflitto di interessi. La seconda scelta lo è stata altrettanto, ma in maniera nascosta e scoperta da noi solo quando ormai era troppo tardi. La nuova perizia era già stata prodotta, perizia nella quale si conclude che Lisa ha ricevuto tutte le cure del caso secondo le più aggiornate linee guida. In sostanza, secondo questo CTU Lisa è morta di sfortuna. A breve verrà emesso il giudizio del GUP sulla base di questa incredibile perizia, e per di più seguendo il cosiddetto “rito abbreviato” che precluderà qualsiasi confronto diretto tra periti. Avranno valore solo le carte acquisite agli atti. Le più importanti delle quali sostengono che Lisa sia morta di sfortuna. Come se non bastasse, durante tutto questo mi sono anche dovuto difendere in un procedimento penale originato da una denuncia per diffamazione presentata dal responsabile del reparto dove Lisa ha perso la vita”.
Perché?
“Anonimi avevano inviato, attraverso un software di anonimizzazione e in riferimento alla tragedia di Lisa, alcune mail denigratorie e io sono stato identificato come possibile autore. Ho subito una perquisizione personale, ambientale e informatica in casa all’alba da parte delle forze dell’ordine, quando, in verità, non sapevo nemmeno che si potessero mandare email anonimizzate. Dopo 18 mesi il procedimento è stato archiviato. Abbiamo chiesto giustizia per Lisa, e questo è quello che finora abbiamo ricevuto”.
Quali resistenze/pressioni avete subito in questi anni?
“La quasi totalità degli ematologi da noi contattati si è rifiutata anche solo di esaminare la documentazione ospedaliera. Alcuni non rispondevano, altri accampavano scuse. Più semplicemente avevano paura di affrontare un ‘gigante’: “Sono troppo forti”, ci dicevano. Per questo la denuncia è stata sporta solo dopo un anno dalla morte di Lisa. Non senza fatica abbiamo trovato tre medici specialisti di buona volontà che hanno sposato le nostre ragioni. Tra questi ricordiamo con enorme affetto il prof. Licinio Contu, uno dei pionieri della trapiantologia in Italia, scomparso pochi giorni fa all’età di 95 anni, che all’età di 91 anni ha avuto la generosità di esaminare le mille pagine della cartella clinica”.
Negli anni scorsi vi siete rivolti anche al Santo Padre, chiedendogli un incontro: con quale esito?
“È stata un’iniziativa di mia moglie Margherita. Alcuni giorni dopo l’invio della lettera ricevette una telefonata direttamente dal Santo Padre, il quale le manifestò il suo cordoglio. Tempo dopo provammo a rimetterci in contatto con il Pontefice, ma senza esito”.
Quali aspetti dell’intera vicenda L’hanno ferita maggiormente? L’omertà? Il silenzio? L’indifferenza?
“Eravamo consapevoli di affrontare un ‘gigante’ e di intraprendere una battaglia contro i mulini a vento. Ricordo i nostri colloqui con l’allora viceministro Sileri e la segreteria scientifica dell’allora ministro Speranza. Colloqui sempre infruttuosi. Chiedevamo un’ispezione del ‘Bambino Gesù’. Avremmo saputo soltanto dopo che non sarebbe stato comunque possibile, in quanto l’ospedale del Papa è extra-territoriale, situato nella Città del Vaticano, cioè in uno Stato estero, quindi non accessibile agli Ispettori ministeriali. In generale sono rimasto deluso (ma non sorpreso) dall’omertà della classe medica in generale, in particolare dei trapiantologi e degli ematologi, che hanno fatto corpo tra loro, oltre che dal silenzio imbarazzato dei vertici del mio Istituto. Ad ogni modo, allo stato attuale il nostro obiettivo è quello di far conoscere pubblicamente la tragedia di Lisa attraverso dibattiti, libri e interviste come la Sua”.
In qualità di ricercatore (Lei è direttore del Centro nazionale per la salute globale dell’Istituto Superiore di Sanità) sta sfidando il ‘sistema’ anche in un’altra battaglia, quella per la verità sui cosiddetti vaccini anti-Covid. In uno studio da Lei condotto e finanziato dal Ministero della Salute giunge alla conclusione che essi non sarebbero vaccini, bensì ‘profarmaci’ (come del resto sostenuto nel 2022 dai professori Cosentino e Marino in un’importante pubblicazione). Inoltre, ne mette in discussione l’efficacia e la sicurezza. Può illustrarci le prove, al riguardo, derivate dalla Sua analisi?
“La questione richiederebbe una trattazione molto articolata, che non è possibile fare in questa sede. Tuttavia c’è un aspetto inconfutabile: persino i fan più accaniti del vaccino sono oggi costretti ad ammettere che tali prodotti non hanno mai protetto dall’infezione. Ricordiamoci, invece, che durante la campagna vaccinale si parlava di ‘protezione dall’infezione’. Falso. I vaccini anti-Covid non hanno mai prodotto protezione dall’infezione, vista la loro incapacità di sviluppare adeguata immunità dove sarebbe servita e cioè nelle vie respiratorie. Quando circolavano le prime varianti si era registrata una limitata protezione vaccinale dagli eventi più estremi, e attraverso meccanismi che nulla hanno a che vedere con la difesa immunitaria. Tuttavia in generale per questi vaccini si è trattato di risultati molto deludenti. Non lo dico solo io: lo ha affermato persino l’immunologo Anthony Fauci in una sua pubblicazione apparsa in un giornale scientifico di impatto altissimo”.
La stampa indugia spesso sulle ‘morti improvvise’. Posto che il potenziale cardiotossico dei vaccini a mRNA è acclarato da settembre 2023 (come Lei ha confermato anche nel Suo studio), è plausibile che danni cardiaci letali si manifestino pure a distanza di anni?
“Non possiamo fare previsioni certe, in quanto manca una finestra temporale di riferimento. I vaccini anti-Covid sono stati sperimentati per pochissimo tempo, perciò non è possibile escludere nulla. Pertanto, la risposta secca alla Sua domanda è: “È possibile”. Non si può quindi escludere che, negli organismi più predisposti, si inneschino meccanismi tali da causare danni cardiaci, patologie tumorali e autoimmuni, anche a distanza di anni. Ovviamente tali eventi non colpirebbero tutti i vaccinati, ma, come ho detto in precedenza, solo quelli più predisposti. Se però considera che sono state vaccinate milioni e milioni di persone anche solo in Italia…”.
La sperimentazione clinica su tali prodotti durò circa 60 giorni e coinvolse esclusivamente soggetti giovani e sani. Inoltre negli studi registrativi era riportato nero su bianco che essi non erano stati testati ai fini della prevenzione, in quanto le case farmaceutiche non avevano ricevuto, dagli enti regolatori, l’indicazione di farlo. Tralasciando per un momento le questioni etiche e giuridiche, sul piano squisitamente scientifico ci sarebbero stati comunque i presupposti per promuovere un’estesa vaccinazione della popolazione?
“L’intera questione ruotava intorno alla falsa convinzione secondo cui i vaccini avrebbero protetto dal contagio. Noi ricercatori eravamo a conoscenza già dall’inizio del 2021 che non avrebbero bloccato la trasmissibilità del virus. Eravamo al corrente di tutto. Ciononostante, parecchi mesi dopo venne introdotto il Green Pass, che sortì l’effetto contrario: i vaccinati in possesso della certificazione, che non erano obbligati a sottoporsi al tampone, si trasformavano invece in veri e propri untori”.
A proposito di studi clinici: non erano stati condotti test né sulla carcinogenicità, né sull’immunogenicità. Nella Sua pubblicazione si sofferma sui possibili rischi tumorali associati al vaccino e sugli effetti infiammatori della proteina Spike…
“Più che infiammatori parlo di effetti che squilibrano il sistema immunitario. La persistenza della Spike nell’organismo può causare squilibri che possono essere fonte, in determinate condizioni e attraverso meccanismi complessi, dell’insorgenza dei tumori. Il problema è che oggi, a livello generale, si tende a evitare di intraprendere studi che potrebbero rivelare verità scomode”.
Che cosa ci può dire, infine, sui vaccini a mRNA autoreplicante?
“Studio la tematica da tempo e ne sono allibito. Non c’è alcuna ragione di immettere sul mercato prodotti anti-Covid del genere. Per i produttori, l’mRNA autoreplicante è un affare, perché consente di sintetizzare quantità molto inferiori di RNA immunogeno rispetto ai vaccini a mRNA. Che cosa accade, però, ai vaccinati con questa tecnologia? A causa dell’enorme accumulo intracellulare di RNA autoreplicante, le cellule si liberano da queste molecole producendo e rilasciando nanovescicole, definite esosomi e vescicole extracellulari, infarcite dell’RNA autoreplicante. Queste sono in grado di diffondersi conservando per intero la loro capacità diffusiva in tutti i tessuti e anche, in linea teorica, fra diversi organismi. L’aspetto sconcertante è che tali prodotti verrebbero somministrati ai sani”.
Un’ultima domanda: anche a prescindere dalla pericolosità o meno dei prodotti anti-Covid, Lei ritiene che fosse scientificamente corretto vaccinare i guariti?
“Assolutamente no. Non è necessario che Le risponda un ricercatore: lo sa anche uno studente universitario alle prime armi!”.