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ESCLUSIVO. “Rischio reazioni autoimmuni post-iniezione”: lo studio dei ricercatori italiani

2 Marzo 2023

ESCLUSIVO. “Rischio reazioni autoimmuni post-iniezione”: lo studio dei ricercatori italiani

Quella degli effetti avversi è una tematica affrontata generalmente con una superficialità disarmante. Sebbene siano ancora tante -troppe- le domande alle quali le autorità sanitarie e le Istituzioni non hanno fornito risposte, i media e numerosi esponenti del mondo sanitario preferiscono sorvolare, ignorare o comunque liquidare il problema come una questione assolutamente marginale. Dopo oltre due anni di campagna vaccinale obbligante e più di 13 miliardi di dosi somministrate nel mondo, qualcuno inizia però a porre interrogativi pressanti. Nelle scorse settimane i ricercatori Loredana Frasca, Giuseppe Ocone e Raffaella Palazzo (in servizio presso il Centro Nazionale per la Ricerca e la Valutazione del Farmaco dell’Istituto Superiore di Sanità) hanno pubblicato, sulla rivista internazionale Pathogens, la review Safety of COVID-19 Vaccines in Patients with Autoimmune Diseases, in Patients with Cardiac Issues, and in the Healthy Population, che analizza, sotto il profilo immunitario, il problema delle reazioni avverse post-vaccino anti-Covid. Lo studio ha tuttavia subito la netta condanna dell’Istituto Superiore di Sanità che, in un comunicato, si è dissociato dal lavoro dei suoi ricercatori, asserendo che esso “fa una rassegna parziale e arbitraria della letteratura” e che è stato inviato alla rivista “senza seguire la procedura di valutazione scientifica richiesto dalle linee guida sull’integrità della ricerca dell’ISS a garanzia della qualità scientifica del lavoro pubblicato”. In attesa che l’ISS fornisca delucidazioni sulla procedura “preventiva” (a proposito: la ricerca scientifica non dovrebbe essere libera e indipendente?), abbiamo commentato la pubblicazione con la dottoressa Loredana Frasca. In virtù di quanto accaduto si sottolinea che l’intervista è stata rilasciata dalla dottoressa Frasca a titolo personale e che non esprime in alcun modo l’orientamento dell’Istituto Superiore di Sanità. Biologa di fama internazionale, la ricercatrice ha conseguito un dottorato in immunologia e biologia cellulare, vanta un curriculum di prim’ordine e importanti collaborazioni con l’Imperial College London, la University of Texas MD Anderson Cancer Center e la University of Lausanne (Chuv). Nella sua carriera si è dedicata alla ricerca scientifica, specializzandosi in particolare sulle malattie autoimmuni e sui loro meccanismi scatenanti.

Dottoressa, per la gente comune e, più in generale, per i non addetti ai lavori, un vaccino vale l’altro. Per un ricercatore specializzato in immunologia, invece, qual è la differenza tra un vaccino convenzionale (come quello anti-morbillo, ad esempio) e uno a mRNA?

“Si tratta di una differenza fondamentale. I vaccini convenzionali utilizzano l’antigene, cioè proteine ricombinanti oppure virus attenuati o uccisi. La concentrazione di questo antigene è ben quantificata. Negli altri prodotti, invece, esiste un RNA messaggero e la fabbrica dell’antigene -che non è quantificato- siamo “noi”: non esistono studi esaurienti che dimostrino quanto ne produciamo e per quanto tempo persista nel nostro corpo. Il meccanismo, rispetto ai vaccini tradizionali, è quindi profondamente diverso”.

I prodotti a mRNA inducono le cellule umane a produrre una proteina non umana: la Spike. Qual è la reazione del sistema immunitario e quali potrebbero essere gli effetti sull’organismo umano?

“Possono sorgere molteplici problemi: fin dal 2020 -periodo in cui gli studi si concentravano sul meccanismo d’azione del virus- la letteratura scientifica ci informava che la Spike è una proteina tossica per l’organismo. La Spike può causare numerosi effetti patogeni: in un esperimento sui topi era stata loro iniettata tramite endovena, causandone il decesso. È vero che il vaccino viene somministrato a livello intramuscolare, ma l’esperimento si è rivelato comunque significativo. La diatriba iniziale riguardava la distinzione tra Spike naturale (quella del virus) e vaccinale: alcuni sostenevano che quest’ultima fosse detossificata. Invece non è così. La Spike è una proteina cardiotossica, che induce l’aggregazione delle piastrine e supera la barriera ematoencefalica: nel cuore e nel cervello di una persona deceduta dopo tre dosi è stata riscontrata la presenza di Spike, ma non di altre proteine virali. Pertanto la Spike poteva derivare solo dal vaccino. C’è poi un altro rischio -per ora solo ipotetico, ma plausibile-: le cellule del nostro organismo, che contengono e producono la Spike, potrebbero essere attaccate dalle stesse cellule del sistema immunitario, in quanto verrebbero identificate come una minaccia. Uno studio su una rivista del gruppo Nature ha infine dimostrato un’alterazione dell’immunità dopo somministrazione del vaccino a mRNA”.

All’inizio della campagna vaccinale, i mass media, nonché numerosi medici e ricercatori, sostenevano che il contenuto dei vaccini anti-Covid rimanesse nella sede dell’inoculazione. Evidenze scientifiche successive hanno invece dimostrato il contrario: l’mRNA e quindi la Spike vaccinale si diffondono e si distribuiscono in tutto il corpo, per parecchio tempo. Ciò può aver influito negativamente sulla sicurezza di questi prodotti?  

“In qualità di cittadina ho ascoltato tali discorsi: si diceva, in effetti, che l’mRNA e la Spike rimanessero nel deltoide, cioè in situ. In quel periodo esisteva un solo studio sulla biodistribuzione della Spike, ad opera dell’agenzia giapponese del farmaco, studio secondo il quale la proteina si depositava in varie parti del corpo. Il lavoro è stato ripreso recentemente in una pubblicazione peer review. Inoltre, secondo gli scienziati di Stanford, l’mRNA persiste nei linfonodi per circa due mesi, mentre una pubblicazione ha dimostrato, nei giovani vaccinati con miocardite, una maggiore concentrazione di Spike circolante, rispetto a una persona che non ha sviluppato miocardite. Un altro lavoro ha evidenziato la presenza della Spike nel cuore: sebbene non provato in via definita, questo potrebbe essere la causa scatenante delle miocarditi post-vaccino. Nel 2022 numerose pubblicazioni hanno confermato che la Spike vaccinale non rimane nella sede dell’inoculazione. L’ennesimo studio ha infine riguardato la presenza di RNA messaggero del vaccino nel fegato di una persona affetta da epatite acuta post-vaccino”.

Può spiegarci, con termini accessibili a tutti, che cos’è una reazione autoimmune, quando/perché avviene e quali patologie causa?

“La reazione avviene quando il sistema immunitario scatena una risposta nei confronti delle proteine “self”, cioè le proprie proteine, come se non le riconoscesse come self. Tale reazione è alla base di patologie quali le tiroiditi, alcuni tipi di diabete, malattie autoimmuni come il lupus eritematoso etc… Le cause dell’autoimmunità sono dibattute: si presume possano essere innescate da infezioni pregresse non curate adeguatamente oppure da virus endogeni. Questi eventi infettivi, in associazione con alterazioni genetiche specifiche, potrebbero favorire autoimmunità. In pratica l’autoimmunità scatena una reazione verso i tessuti e le cellule dell’organismo”.

Il vostro studio sottolinea che le malattie autoimmuni uccidono annualmente 41 milioni di persone nel mondo. Si può tuttavia guarire definitivamente da una malattia autoimmune oppure essa risulta sempre ricorrente?

“Non essendo un medico non posso entrare nei dettagli. Generalmente non si guarisce dalle malattie autoimmuni. Tuttavia, è possibile trattarle e tenerle sotto controllo: numerose persone ci convivono”.

Nei soggetti immunocompromessi la somministrazione di farmaci (vaccini compresi) rappresenta un grosso problema, sia in termini di sicurezza, sia di efficacia. Tuttavia, salvo eccezioni, i vaccini anti-Covid sono stati raccomandati/imposti (attraverso l’obbligo diretto oppure tramite il Green Pass) anche a tale categoria “fragile”. In alcuni casi, i soggetti che rischiavano reazioni avverse gravi e imprevedibili sono stati vaccinati in ospedale, sotto stretto controllo medico. Qual è il Suo parere?

“Parlo a titolo personale: a mio parere bisognava agire con maggiore attenzione e prudenza nei confronti degli immunocompromessi. Le pubblicazioni rivelano che, su di loro, la vaccinazione è poco efficace e richiederebbe continui booster. Fra l’altro, nei criteri di esclusione, il trial della Pfizer non annoverava i soggetti in terapia immunosoppressiva”.

È prudente vaccinare i guariti? Alcuni danneggiati lamentano problemi di varia natura: tosse persistente simile a polmonite/bronchite, fiato corto, neuropatie, bruciori, artriti, herpes, stanchezza cronica, cardiopatie. Tali patologie possono essere ricondotte anche al fenomeno ADE (potenziamento anticorpo-dipendente)?

“Dal punto di vista immunologico, vaccinare un guarito è un’assurdità. Nella storia dell’immunologia non si è mai vaccinato un soggetto che aveva superato la malattia. Il fenomeno ADE è plausibile. Si dice che chi ha avuto il Covid abbia subito maggiori effetti avversi rispetto ai vaccinati: tuttavia non ho ancora trovato lavori esaurienti, almeno non sono a conoscenza di lavori al riguardo”.

Secondo uno studio italiano (il nostro servizio del 20 settembre scorso) da voi citato e pubblicato sul prestigioso International Journal of Molecular Sciences, i prodotti a mRNA andrebbero considerati alla stregua di veri e propri farmaci. Ciò spiegherebbe l’insorgenza di reazioni avverse, anche a distanza di molto tempo dall’inoculazione, rispetto a quelle che si possono verificare con i vaccini convenzionali. Che cosa ne pensa? 

“Lo studio italiano dei professori Cosentino e Marino sostiene che i prodotti a mRNA siano, in realtà, profarmaci. La Spike è un immunogeno, perciò si è stabilito prioristicamente di definirli “vaccini”, ma il termine è improprio: condivido pertanto l’analisi dei due professori. Sarebbe stato opportuno, inoltre, controllare gli effetti genotossici e cancerogenici di questi prodotti, in quanto l’RNA messaggero potrebbe interferire con l’omeostasi delle cellule”.

Alla luce delle problematiche emerse, a Suo parere, era opportuna la somministrazione generalizzata e capillare dei prodotti a mRNA, senza che fossero state prese in considerazione le specifiche esigenze del singolo individuo? Era davvero indispensabile vaccinare bambini, giovani sani e donne in gravidanza, tenuto poi conto che, secondo gli studi autorizzativi, non c’erano prove sulla capacità dei vaccini di fermare la diffusione del virus?

“Trattandosi di sostanze nuove, a mio parere era fondamentale adottare un comportamento molto più prudente. Bambini e giovani sani avevano bassissime probabilità di morire di Covid o di ammalarsi gravemente. Tuttavia sono stati vaccinati ugualmente, nonostante la sperimentazione sui bambini di 5-11 anni avesse coinvolto un numero irrisorio di partecipanti. Per le donne in gravidanza può diventare problematica l’assunzione di qualsiasi farmaco, quindi pure di un vaccino. Il trial iniziale della Pfizer prevedeva il monitoraggio di un sottogruppo di persone, al fine di riscontrare i possibili effetti avversi entro sette giorni dall’inoculazione. In caso di reattogenicità, i vaccinati sarebbero stati sottoposti ad ulteriori accertamenti. Considerato che, dopo alcuni mesi, i produttori dei vaccini hanno vaccinato il gruppo di controllo della sperimentazione clinica, non si possono conoscere bene gli esiti delle loro reazioni avverse a medio e lungo termine. Ritengo fosse necessario prestare maggiore attenzione a questi aspetti”.