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EVITA, LA DOLCE FIABA DELL’ARGENTINA

13 Marzo 2022

EVITA, LA DOLCE FIABA DELL’ARGENTINA

Due anni fa, di questi giorni, il nostro collaboratore Maurizio Panizza si trovava in Sud America. Riproponiamo oggi il secondo dei suoi reportage scritti a Buenos Aires in quel periodo. 

A Recoleta, Buenos Aires, per iniziare dal suo ultimo capitolo la ricostruzione dei momenti di vita di una donna diventata un mito.

Fra le variopinte bancarelle degli artigiani locali, percorro sotto un sole rovente gli ultimi metri per raggiungere il Cimitero della Recoleta, uno dei luoghi più visitati della Capital Federal, almeno così dicono le agenzie di viaggio nei loro tour cittadini.

Oggi, però, complice il caldo, pare esserci ben poca gente in questo enorme museo a cielo aperto che contiene oltre 4mila cappelle di famiglia, una specie di “lussuose” dimore per l’aldilà. Sarà forse per questo motivo che già lungo i primi viali, l’atmosfera somiglia ben poco a quella di un normale cimitero. In questo luogo, vita e morte, dolore e consolazione, sembrano non essere gli stessi che di solito incontriamo nei nostri piccoli camposanti di paese. Qui, piuttosto, i protagonisti  sono i privilegi e l’ostentazione, la vanagloria e il prestigio delle ricche famiglie di Buenos Aires. Un luogo per certi versi controverso, dove la commozione e il cordoglio a fatica si fanno largo fra le interminabili file di templi in marmo di Carrara, sculture artistiche e preziose decorazioni in ferro battuto.

Il questo luogo – devo confessare – sono venuto seguendo l’antica suggestione di visitare la tomba di Evita Peron, la giovane moglie del presidente dell’Argentina, morta di cancro nel 1952, a soli 33 anni. Da giornalista d’indagine, la vicenda di questa donna incredibile mi affascinava da tempo e per iniziare a conoscerla un passaggio obbligato era ovviamente la visita alla sua tomba, il primo luogo per iniziare a raccontare la storia della sua breve vita.

*  *  *

Eva María Ibarguren Duarte, chiamata Evita, era nata nel 1919 in un piccolo villaggio rurale della provincia di Buenos Aires, ultima di cinque figli nati dalla relazione illegittima tra un piccolo proprietario terriero, Juan Duarte, e la sua cuoca, Juana Ibarguren. In una situazione familiare così precaria, la piccola Evita conobbe ben presto la miseria e comprese cosa significasse essere povero nell’Argentina del primo Novecento dove la ricchezza era nelle mani di pochi e il potere politico in quelle di un’oligarchia militare corrotta che amministrava il Paese attraverso clientele e brogli elettorali.

Così, spinta dalla voglia di riscatto, nel 1935, all’età di soli sedici anni, Evita decise di lasciare casa per inseguire il sogno di diventare attrice. Le cose, però, non andarono come lei aveva immaginato: piccole parti a teatro alternate a lunghi periodi di inattività durante i quali patì la fame e si legò a diversi uomini nella speranza che costoro potessero aiutarla a raggiungere il successo tanto sperato.

Trentino, 1938. Il giovane ufficiale Juan Domingo Peron (secondo da destra) assiste per conto dell’Ambasciata Argentina alle manovre militari delle truppe italiane.

La svolta artistica arrivò finalmente nel 1939, quando Evita fu scritturata per tre seguitissimi radiodrammi e per alcuni film. Ma l’incontro che cambiò per davvero la sua vita avvenne cinque anni più tardi, nel 1944, quando conobbe a un evento di beneficenza Juan Domingo Perόn, colonnello dell’esercito e sottosegretario al Ministero del Lavoro, in quegli anni ammiratore dichiarato di Benito Mussolini. Da quel momento in poi iniziò la loro storia d’amore, contrastata dai democratici che accusavano Perόn di essere fascista e, dall’altra, dagli stessi militari che non perdonavano a Evita le sue umili origini e il suo “torbido” passato. La chiamavano infatti “prostituta”. In realtà tutto ciò era l’appiglio dietro al quale si nascondeva il timore che le sue idee populiste – già adottate da Perόn, diventato nel frattempo Vicepresidente – potessero minare l’ordine politico e sociale dell’Argentina. Per questo motivo, inviso da destra e da sinistra, Perόn nel 1945 fu arrestato e destituito da tutte le sue cariche.

Ma Evita, nel frattempo, era diventata la paladina dei “descamisados” (i ceti più poveri e popolari). A loro, tempo prima, aveva parlato così in un discorso pubblico: “Sono una di voi, ho sofferto la fame, il lavoro è mancato pure a me, ma ho trovato la salvezza in Perόn. Possa anche l’Argentina lasciarsi salvare da Juan Domingo Perόn”. Migliaia di persone scesero allora in piazza per chiedere la sua scarcerazione e in pochi giorni le pressioni popolari si fecero talmente forti da costringere le Autorità a rilasciarlo. Ma era solo l’inizio. Pochi giorni dopo Evita e Juan si sposarono, mentre l’anno successivo Perόn venne eletto presidente dell’Argentina.
Una volta diventata first lady, Evita volle fare del cambiamento – come disse lei – l’unica ragione della sua vita. Per prima cosa fece approvare diverse leggi a favore dei lavoratori e una per estendere alle donne il diritto di voto. Subito dopo creò la “Fondazione Eva Perόn” grazie alla quale vennero date borse di studio agli studenti in condizioni più disagiate, costruiti in tutto il Paese ospedali, orfanatrofi e scuole, ma anche laboratori di igiene e profilassi e case per anziani e senzatetto. La Fondazione, inoltre, si preoccupò di organizzare dei campi estivi per i bambini e ragazzi più poveri del Paese.

Evita Perόn diventò così per il popolo “Santa Evita” che mai risparmiò incontri, abbracci e parole di conforto ai più deboli anche se, è da dire, la first lady non mancava di presentarsi sempre elegante, ben pettinata, ornata di gioielli preziosi. In sostanza Juan si occupava delle decisioni politiche, Evita, invece, della parte più emotiva dell’elettorato. Insomma, una coppia perfetta, una fiaba dei tempi moderni.

Se non che quella magia non durò molto a lungo. Il 9 gennaio 1950, Evita svenne in pubblico. Tre giorni dopo fu operata di appendicite, ma durante l’intervento i chirurghi scoprirono la presenza di un tumore già molto esteso all’utero. Il suo medico, allora, propose un’immediata isterectomia, ma Evita rifiutò.
Nel 1951, contrariamente al parere dei sanitari, in vista delle elezioni del Paese lei annunciò la sua candidatura alla carica di vicepresidente, ricevendo subito un enorme sostegno dai ceti sociali a basso reddito e dalla classe operaia. Aveva un grande carisma e sapeva come prendere il “suo” popolo e portarlo con sé, dalla parte che era anche quella di suo marito.

Purtroppo, però, con l’avanzare della malattia Evita fu costretta a rinunciare al suo proposito e lo comunicò attraverso un messaggio radiofonico rivolto all’Argentina. Queste le sue parole: “Ho solo un’ambizione personale: che il giorno in cui si scriverà il capitolo della storia di Perόn, di me si dica questo: c’era al suo fianco una donna che si era totalmente dedicata a lui nel trasmettergli le speranze di un intero popolo”.
Alla fine di quell’anno, Evita fu convinta finalmente a sottoporsi all’intervento chirurgico presso l’ospedale “Avellaneda” di Buenos Aires, costruito anni prima dalla sua Fondazione. Nonostante le sue condizioni, nei giorni seguenti lei volle comunque votare per le elezioni in cui suo marito sarebbe stato eletto presidente per la seconda volta.

Il male, però, era ormai troppo avanti e a Evita sarebbero rimasti ancora pochi mesi di vita. Il 1° maggio del 1952, quando a fianco del marito saluterà per l’ultima volta l’Argentina dal balcone della Casa Rosada, lei peserà 37 chili e a malapena riuscirà a tenersi in piedi. E sarà proprio quel suo ultimo discorso che ispirerà in anni recenti la celebre canzone “Don’t Cry For Me Argentina” (qui il link dal film “Evita”).
Da lì in poi la fiaba di Evita Perόn si trasformerà in leggenda. Il suo corpo verrà imbalsamato ed esposto per 13 giorni al cordoglio della gente in una bara di vetro. I poveri, i disadattati e le persone semplici portarono fiori, candele e immagini sacre e la loro disperazione era quella di un intero popolo. La “Madonna degli umili”, com’era stata soprannominata, scompariva per sempre, ma il mito di Evita non sarebbe mai più tramontato e il pellegrinaggio incessante alla sua tomba ne è ancora oggi la conferma.

Foto/© – Maurizio Panizza 2020