La ragione non è di chi urla di più

Camminando per strada a Bolzano e a Merano è sorprendente notare quante persone non indossino la mascherina. È vero che la normativa a riguardo lascia spazi di interpretazione, considerando che impone l’uso della protezione di naso e bocca all’aperto in caso di impossibilità di distanza di un metro interpersonale. Senza entrare nei dettagli di certe formulazioni giuridiche che soprattutto in ambienti scolastici e simili difficilmente possono essere messe in pratica, c’è da chiedersi se l’introduzione di queste norme avvenga con l’attenzione di poterle anche correttamente applicare. Chi conosce un poco il mondo della scuola non può fare altro che rendersi conto del fatto che ad esempio durante le ricreazioni, quando i ragazzi possono mangiarsi l’adorato panino all’aperto, naturalmente non indosseranno la mascherina, ma ahimè il metro di distanza interpersonale difficilmente viene rispettato. Per farlo ci vorrebbe un esercito in tutte le scuole per controllare e imporre il distanziamento.
Sui mezzi di trasporto, in particolare sugli autobus di linea, da parecchio oramai le persone, almeno in Alto Adige, nel resto d’Italia d’ora in poi, dovrebbero indossare le mascherine FFP2. Sembra una barzelletta, ma la stragrande maggioranza indossa la copertura che ritiene più opportuna, a prescindere dalle indicazioni di legge. Anche in questo caso è questione di controlli, ovviamente. Ogni norma non ha senso senza la possibilità di verifica e di sanzione.
Una democrazia non deve trasformarsi in uno Stato di Polizia, tuttavia se si introducono delle regole queste dovrebbero essere il più possibile applicabili, altrimenti non ha senso imporle. Norme facilmente eludibili diventano diseducative.
Non entro nel merito di paragoni impropri che certuni hanno posto riguardo alle politiche in atto tirando in ballo le teorie filosofiche di Hannah Arendt sul totalitarismo e il diritto alla resistenza a fronte di norme autoritarie. Troppo spesso manca il dialogo pacato, purtroppo anche nei dibattiti televisivi di tutte le reti si impone prepotentemente chi riesce ad urlare più degli altri. Anche il moderatore di turno non raramente facilita questa pratica poco ortodossa. È ovvio che si tratti di comparsate e non di una dialettica civile.
Al di là di chi ritiene di essere il detentore della verità, fortunato o sfortunato, a secondo dei punti di vista, è certo che la nostra società abbia subito una profonda spaccatura. Per l’anno che sta arrivando mi auguro che gli uomini possano ritornare a dialogare e soprattutto, cosa per nulla scontata, ad ascoltarsi reciprocamente.

Claudio Calabrese

Giornalista pubblicista, scrittore.

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Claudio Calabrese

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