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ESCLUSIVO. Il candidato al Nobel Francesco Benozzo: “La libertà non è mai una concessione”

10 Dicembre 2021

ESCLUSIVO. Il candidato al Nobel Francesco Benozzo: “La libertà non è mai una concessione”

Si è autosospeso da ottobre, non intendendo accettare l’imposizione del Green Pass. Già nel marzo 2020 fu praticamente il solo tra gli accademici a lanciare l’allarme sul rischio della deriva democratica e, nello scorso mese di luglio, ha pubblicato (unitamente al professor Luca Marini) il libro “Covid-prove tecniche di totalitarismo”, edito da La Vela. Professore associato di filologia e linguistica romanza presso l’Università di Bologna, fondatore dell’Etnofilologia, candidato al Premio Nobel per la Letteratura dal 2015, il modenese Francesco Benozzo è uno degli intellettuali più significativi del nostro tempo. Anarchico, poeta raffinato e grande musicista, considerato originale e rilevante interprete contemporaneo dell’arpa celtica.
 
Professore, perché ha detto “no” al Green Pass?
“Ho detto “no” sia perché la ritengo una misura giuridicamente aberrante, che sanziona il cittadino pur in assenza di un illecito, sia perché sono contrario al fatto che i vaccini anti-Covid siano imposti come l’unica modalità possibile per uscire dalla pandemia. Considerato che possono causare reazioni avverse, non è ammissibile la loro obbligatorietà, perciò mi rimetto al Codice di Norimberga”.
 
Lei sostiene che la libertà non è una concessione: può illustrarci il concetto?
“Ultimamente tutti si riempiono la bocca con la parola “libertà”. A un anarchico come me fa piacere, tuttavia, nella situazione attuale in cui il popolo come soggetto politico (démos) non esiste più, non si può non notare che al popolo è stato dato in pasto un modello di libertà proveniente dal potere, cioè proprio dall’organismo che arbitrariamente gliela toglie. Il concetto di libertà è stato più volte banalizzato, con la classica espressione “la tua libertà finisce dove inizia la mia”: uno slogan utilizzato oggi totalmente a sproposito, e che è facilmente ribaltabile: con le limitazioni imposte al lavoro, ad esempio, io ho perso insieme libertà e stipendio proprio in virtù della libertà esercitata da altre persone di vaccinarsi. La libertà non è un affrancamento, ma una condizione innata in ciascuno di noi, nel momento in cui veniamo al mondo. Invece la libertà come concessione rispetto a un’emergenza ha prodotto delle deformazioni”.
 
Cosa potrebbe celare il Green Pass?
“Insieme al professor Marini abbiamo costituito l’Osservatorio contro la Sorveglianza di Stato (che è ora un’articolazione dell’ECSEL – European Centre for Science, Ethics, and Law: http://www.ecsel.org), perché nel momento in cui la popolazione è assuefatta all’idea della libertà concessa, il potere può imporre qualsiasi cosa, e soprattutto togliere quando vuole ciò che gli si consente di concedere. L’assuefazione è pericolosa, in quanto costituisce il presupposto del controllo politico: oggi c’è il virus, domani chissà…! Personalmente, ritengo che la forma di protesta più efficace sia la disobbedienza civile. Il ricatto si basa sull’affamare l’individuo, perciò naturalmente sospendo il giudizio nei confronti di chi cede poiché non è in grado di sostenersi. Senza stipendio è assai dura anche per me, ma in compenso non sono più ricattabile”.
 
Qual è stata la risposta del mondo accademico al Green Pass?
“Molto tiepida. In Italia, su 70.000 docenti universitari, 1200 hanno firmato la petizione contro il Green Pass, ma alla fine soltanto il sottoscritto e un collega si sono autosospesi. Nel luglio 2020 avevo parlato di “tradimento degli intellettuali” e tra questi annovero pure gli artisti. Il mondo accademico è blandamente insorto solo quando il Green Pass ha colpito l’orticello di qualcuno”.
 
Parliamo della paura: accettando le limitazioni la gente ha più paura della vita o della morte?
“La strategia del potere si fonda sulla paura, che si rivela efficace proprio perché insinua nelle persone il timore di rimanere fuori dal branco. La scelta individuale è più difficile, perché ti esclude dal branco, che occupa un ruolo protettivo. Non credo che i miei colleghi abbiano paura della morte, bensì di perdere il riconoscimento del posto di lavoro per cui hanno lottato. Paradossalmente in questo momento si sta percependo di più la paura della vita. Pure gli organismi religiosi hanno abdicato: pensiamo ai funerali negati nei primi mesi di lockdown. Chi è morto non ha potuto ricevere nemmeno una carezza o una parola di conforto. Sta accadendo qualcosa di molto grave a livello antropologico, ed è incredibile constatare che tante persone hanno improvvisamente scoperto che un giorno moriranno solo in questi due anni”.
 
Qualcuno ha paragonato la situazione attuale ai periodi più bui della Storia, quali la persecuzione degli Ebrei sotto il regime nazista e il loro sterminio nei campi di concentramento. La similitudine ha suscitato aspre polemiche e forti critiche. Qual è il Suo parere, al riguardo?
“È sempre rischioso fare certi confronti, sebbene i campi Covid siano una realtà in Australia e tra i nativi del Québec. Ciò che però sostiene anche Agamben è il rischio di arrivare a queste situazioni a piccoli passi. Le forti affermazioni di alcuni intellettuali di notevole statura dovrebbero suonare come un monito. Non so fino a che punto i governi dell’Occidente vorranno spingersi, tuttavia è lecito rimanere con il beneficio del dubbio”.
 
Vent’anni fa, senza i social, saremmo arrivati ugualmente al Green Pass?
“Credo di sì. Adesso la problematica preminente riguarda la perdita del lavoro: sotto il profilo antropologico sta cambiando tutto. Con gli smartphone, ad esempio, abbiamo accettato un meccanismo in cui i dispositivi tecnologici fanno parte di noi. Siamo di fatto già dentro al transumanesimo”.
 
C’è chi, preso per fame, ha ceduto al ricatto e chi si è vaccinato semplicemente per concedersi una vacanza. Come giudica il comportamento dei giovani? Le nuove generazioni hanno perso lo spirito critico?
“Le nuove generazioni sono le più tartassate: inizialmente ci si è accaniti sui giovani, attribuendo loro la colpa, ad esempio, di partecipare alla movida, poi li si è relegati alla didattica a distanza. In poche parole i ragazzi non possono fare più nulla. Nei confronti dei minorenni noto un’ostinazione liberticida barbarica, degna di una seconda Norimberga. In generale, tuttavia, i giovani maggiorenni hanno mantenuto un atteggiamento molto positivo: numerosi studenti, per esempio, continuano a manifestare, oltre ad avermi apertamente sostenuto, tant’è che senza il loro supporto non avrei forse avuto un comportamento così risoluto. Un poeta è abituato a dialogare con gli anziani e con i morti (i poeti morti di cui legge i libri), ma oggi se, tra i ragazzi, serpeggia un certo fermento, non si può dire lo stesso tra gli anziani. Del resto è comprensibile: nella loro vita questi ultimi hanno dovuto affrontare avversità di ogni genere. Spesso mi rispondono: “Cosa vuoi che sia un ago?”. La vera difficoltà, però, anche per loro, consiste nell’isolarsi dal branco, dai residui di branchi in cui ancora esprimono una vita di relazioni sociali”.
 
Assistiamo alla crisi della politica: il Parlamento è assente, la gente non vota più…
“Dal mio punto di vista si tratta di una vittoria. Sono anarchico, perciò non ho mai votato, perché a mio avviso qualsiasi organismo di potere si trasforma in una forma di soggiogamento. Comunque provo un certo sgomento ad assistere a questo sfacelo: attualmente abbiamo un mono-partito che obbedisce agli ordini impartiti da alcuni medici, accademici, i quali obbediscono a loro volta ad altri ordini. Personalmente tratto queste tematiche con la satira: penso che pure San Francesco, se fosse finito in Parlamento, si sarebbe comportato come tutti gli altri. Le famose lotte di sinistra non erano altro che un metodo per giungere al potere e fare ciò che volevano le destre. Comunque constatiamo l’assenza di un’opposizione in Parlamento ed è grave. Tuttavia, per quanto mi riguarda, l’astensionismo che si è verificato nelle ultime elezioni è un buon segnale”.
 
Il diritto al lavoro è stato soppresso, la libertà di scelta non c’è più: che fine hanno fatto le organizzazioni sindacali?
“Le organizzazioni sindacali, attraverso le loro lotte benemerite, hanno fatto la fine che dovevano fare: sono pedine. Persino gli anarchici e i centri sociali, pronti a scendere in piazza per qualsiasi cosa, adesso si sono tirati indietro e non esprimono nemmeno solidarietà nei confronti di chi ha perso il lavoro. Sugli anarchici un po’ contavo, sui sindacati no”.
 
Spesso Lei cita Dino Campana: “Tutto va per il meglio nel peggiore dei mondi possibili”. Perché?
“L’ho citato con Luca Marini nel libro “Covid-prove tecniche di totalitarismo”. Ora siamo ben oltre le prove tecniche. Campana era un grande camminatore e la sua vita è stata per certi versi simile a quella di Van Gogh. La citazione si riferisce al periodo in cui avrebbe preferito non uscire dal manicomio, proprio perché il mondo peggiore non era lì dentro: la follia collettiva stava fuori. E, a mio parere, il mondo peggiore possibile è quello che sta andando in onda oggi”.
 
Come immagina il futuro? Dosi su dosi e libertà a tempo? Quanto durerà il Green Pass?
“Ho una duplice visione: per come è strutturato, il Green Pass è stato concepito per soggiogare all’infinito, in quanto la “nuova normalità” non finirà con la pandemia. Non è un caso l’utilizzo dell’aggettivo “green”, che lascia presagire la prossima emergenza, legata all’ossessione del cambiamento climatico. D’altro canto, però, la narrazione è talmente grottesca da essere prossima a implodere. È come un castello di carte destinato a crollare. La modalità narrativa è diventata talmente seriale da suscitare il risveglio delle persone dall’ipnosi: la gente si trova di fronte alla sospensione dell’incredulità, pur di sentirsi branco. Ormai, però, è tutto estremamente ripetitivo e gli effetti speciali sono sempre gli stessi, e non va abbandonata la fiducia in un crollo imminente di questa messa in scena”.

Foto, Francesco Benozzo