Medico di famiglia da oltre quarant’anni, Riccardo Szumski è inoltre sindaco di Santa Lucia di Piave, Comune di poco più di novemila abitanti, in provincia di Treviso. È balzato agli onori della cronaca nazionale quando, all’inizio della pandemia, comprese che, per sconfiggere il Covid, non ci si poteva affidare alla tachipirina. Infatti il dottor Szumski è stato uno dei primi medici italiani a sostenere l’importanza delle terapie domiciliari precoci, per il trattamento dei pazienti affetti da Covid. I risultati parlano chiaro: da marzo a oggi ha curato circa duecento persone (di cui molte a distanza), senza perderne nemmeno una. “A dire la verità mi hanno contestato un decesso”, dichiara il medico, che precisa: “Si trattava di una persona ricoverata d’urgenza in ospedale a causa di una crisi cardiaca e spirata prima che riuscissi a visitarla. A differenza dei suoi familiari, risultò positiva al tampone. In realtà, in ospedale giunse per via dell’infarto”.
Dottore, quanti pazienti ha curato esattamente?
“Per questioni di tempo non sono riuscito ad elaborare una statistica precisa. Posso però affermare di averne curati circa duecento: di questi, la maggioranza non sono miei assistiti (che ovviamente ho seguito), ma persone dei Comuni limitrofi. Ho inoltre fornito tantissimi consulti telefonici e online a malati che mi contattavano da tutta Italia”.
Partiamo dall’inizio. Cosa fece quando esplose la pandemia, nello scorso mese di marzo?
“Mi misi a studiare. Consultai la letteratura e osservai le esperienze degli altri medici, sparsi per il mondo. Mi soffermai, in particolare, sulle indicazioni del professor Raoult e sugli studi di altri scienziati, giungendo a una conclusione importante…”.
Quale?
“Un virus così aggressivo, come quello del Covid, non poteva essere analizzato soltanto limitatamente alla componente virale. Se ne deduceva che il SARS-CoV-2 causasse problemi infiammatori, che andavano perciò trattati di conseguenza. Cominciai pertanto a curare i malati con idrossiclorochina, azitromicina e cortisone. Successivamente, quando si appurò che il virus poteva scatenare trombi ed embolie, i colleghi introdussero anche l’eparina. Fortunatamente, per i miei pazienti non fu mai necessaria, poiché riuscivo a curarli a casa tempestivamente, prima che si aggravassero”.
Qual è, allora, l’approccio corretto contro il Covid?
“Diagnosticare in tempo la malattia è fondamentale. A marzo, purtroppo, i malati venivano sottoposti al tampone in forte ritardo, quando ormai versavano già in gravi condizioni. Ora la situazione è diversa, sebbene sia la clinica a fare la differenza: è proprio attraverso la clinica che il medico distingue un’influenza dal Covid. Quando la diagnosi è chiara, bisogna intervenire immediatamente, entro 72 ore dall’insorgenza dei sintomi, altrimenti si rischiano guai seri”.
Perché, ai malati Covid, non va prescritta la tachipirina?
“La tachipirina è un antipiretico, che non cura l’infiammazione. Al contrario, può ridurre il livello di glutatione, un potente antiossidante. Nei primissimi giorni della pandemia prescrissi invece l’aspirina”.
Le linee guida ufficiali suggerivano a medici e malati Covid di rimanere in “vigile attesa”, trattando i sintomi febbrili proprio con la tachipirina. Come se lo spiega?
“All’inizio credevo fossero tutti impreparati e colti alla sprovvista. Ben presto non lo ritenni accettabile. Ancora oggi c’è chi insiste applicando quei protocolli, nonostante il professor Giorgio Palù (neo-presidente di Aifa, ndr) abbia da poco dichiarato che, per un malato Covid, la tachipirina sia del tutto inutile, se non addirittura dannosa. I malati Covid vanno visitati in tempo: faccio il medico da una vita e mi reco sempre a casa dei miei pazienti. Ne visito al loro domicilio almeno 10 o 15 al giorno, non mi sono fermato nemmeno il giorno di Natale. Mascherina, gel disinfettante e via: non ho tempo di infilarmi la tuta. Poco prima di Capodanno mia moglie mi ha obbligato ad andare in ferie: il 2 gennaio, però, ero nuovamente di guardia”.
Durante la prima ondata avrà quindi avvisato le autorità sanitarie, per comunicare loro ciò che stava accadendo…
“Certo, già nello stesso mese di marzo. Il 23 di quel mese uscì una mia intervista, in cui parlavo delle terapie corrette: qualcuno lo definì il “protocollo Szumski”. In realtà io non avevo inventato un bel niente, non mi considero certamente un genio. Semplicemente desideravo rendere partecipe la popolazione dei risultati ottenuti. Purtroppo, negli ultimi mesi noi medici di “campagna” siamo stati derisi, rimproverati, quasi minacciati, in quanto non ci siamo attenuti alle direttive ufficiali, che si ostinavano a negare i risultati della nostra esperienza sul campo. Delle offese subite e delle falsità divulgate a mio danno si occuperanno i miei legali”.
Lei è stato tra i firmatari del ricorso promosso dinnanzi al Consiglio di Stato per chiedere la reintroduzione dell’idrossiclorochina, in modalità off label, per il trattamento del Covid in fase precoce. Perché?
“Fui contattato dall’avvocato Erich Grimaldi (promotore del ricorso, vinto, e creatore del gruppo Facebook #terapiadomiciliarecovid19 in ogni Regione, ndr), il quale mi mise in contatto con il professor Luigi Cavanna, il pioniere delle cure domiciliari anti-Covid, attraverso una videoconferenza organizzata dal legale stesso (il dott. Szumski è attualmente componente del Consiglio Scientifico del “Comitato per la cura domiciliare del Covid in fase precoce”, presieduto dall’avvocato Grimaldi e ha partecipato, unitamente a più di duecento medici, alla relazione dello schema terapeutico “Terapie domiciliari Covid-19”, condiviso anche dai professori Harvey Risch e Peter Andrew McCollough, ndr). Oltre al professor Cavanna e al sottoscritto, tra i firmatari c’erano anche il dottor Mangiagalli e tanti altri medici sparsi sul territorio e che avevano sperimentato con successo le cure precoci. L’idrossiclorochina è un farmaco commercializzato da settant’anni, le cui controindicazioni sono ben note. Malati di altre patologie lo assumono per periodi prolungati: a coloro i quali si ammalano di Covid-19 si prescrive solo per pochi giorni. Ho assistito con successo persone di 90 anni, pochissimi pazienti sono stati ricoverati, per brevi periodi. Se non li avessi curati tempestivamente, molti malati sarebbero finiti in ospedale o, peggio, sarebbero deceduti”.
In qualità di sindaco, come si è adoperato per i suoi concittadini, durante la pandemia?
“Ho cercato di infondere loro un po’ di speranza. Purtroppo, la narrazione della pandemia, manipolata per altri fini, si è rivelata devastante sul piano psicologico ed emotivo. Alcuni mi hanno rimproverato di non aver fermato i runners, che correvano tra i vitigni, in solitaria: stiamo scherzando? A maggio avrei voluto dare la possibilità ai parrucchieri di aprire i loro saloni, ma non mi fu concesso. In compenso, quando sono stati riaperti i parchi e qualcuno voleva impedire ai bambini di giocare all’aperto, sono riuscito a impormi. Avevo invitato la Polizia Locale ad usare il buonsenso. Mantenere il distanziamento e la mascherina, nei luoghi chiusi, è corretto. Quando però vedi gente camminare in montagna, da sola ma con la mascherina, non puoi credere ai tuoi occhi!”.
Foto, Riccardo Szumski