La famiglia del terzo millennio è passata attraverso varie mutazioni e ora coniuga una grande quantità di relazioni diverse che danno vita a complesse variabili sia della genitorialità che dell’educazione. Sempre parafrasando il sociologo polacco Zygmunt Bauman possiamo dire che oggi ci troviamo in presenza di una “famiglia liquida” dove i contorni dei ruoli e i confini delle relazioni interne sono labili, sfumati e difficili da definire. La genitorialità risulta fluida e mobile, mutevole nei tratti o addirittura incoerente e contraddittoria nei contenuti.
L’ immagine di liquidità fa pensare a qualcosa di dinamico ma anche di sfuggente come l’acqua che si sposta in continuazione, si infiltra e scivola ovunque, occupa tutto e niente, passa dal pieno al vuoto e fa rumore o un lugubre silenzio. Così genitori e educatori “liquidi”, ora sono presenti e rumorosi, oppure immobili e silenziosi se non decisamente assenti.
Non si tratta di colpevolizzare la famiglia e chi educa, ma è un dato di fatto che oggi la generazione degli adulti esprime comportamenti polarizzati di accudimento e affetto, ma anche di distrazione e distanza. Rispetto a un tempo i nuovi genitori sono accudenti, affettuosi e capaci di prestare attenzione alla vita emotiva dei figli, meno corazzati e più impegnati a soddisfare i bisogni prima di tutto affettivi. Poi con il crescere della prole, un po’ tutto sembra cambiare. La famiglia rimane il luogo dove prevalgono approvazioni e gratificazioni e anche un’estesa permissività, ma nel corso dell’adolescenza la relazione educativa si impoverisce, diviene “pallida” e sbiadita, sottile di spessore e di poca sostanza, sovente silenziosa. I genitori non intervengono più di tanto. Rinunciano ad educare o si appartano lasciando i figli orfani di educatori. Tacciono o parlano poco perché non sanno che fare. Alcuni si distraggono e altri si assentano, ma per lo più dicono cose che si contraddicono. Non raccontano di sé e non si narrano ai figli. Ma neanche a loro quei genitori liquidi chiedono pensieri ed emozioni, men che meno li ascoltano e si ascoltano. Così facendo costruiscono una comunicazione povera fatta di rapidi tweet che non lasciano tracce.
A volte dentro quelle relazioni c’è un silenzio assordante. Quello delle parole non dette ma pure quello dei desideri mancanti, il vuoto dei pensieri anch’essi “liquidi” e indefiniti. Non si danno risposte neppure le necessarie ad acquietare la curiosità e la ricerca di chi sta crescendo. Le poche che rumoreggiano, vanno a soddisfare i bisogni materiali più immediati, e più di tutto sono anticipazioni che azzerano il tempo dell’attesa e del desiderio. Poi c’è il silenzio di chi manca perché se n’è andato o di chi è sempre da un’altra parte con il pensiero e con il cuore, distratto, assente o lontano dalle sue funzioni. E in adolescenza uno dei vuoti più difficili da colmare è quello del padre, la cui funzione di accompagnamento e guida, di sostegno e orientamento, è densa di valori simbolici, per lo più insostituibile come strumento regolativo del comportamento.
Allora i vuoti e le mancanze che crea la liquidità rendono insicuri e spaesati ma soprattutto inchiodano al presente gli adolescenti che non si fanno un’idea di futuro ma solo infinite domande ingombranti a cui nessuno risponde. Non sorprende che l’immaginario dei giovani di oggi abbia più stabili i contorni dell’ansia e accarezzi con insistenza desideri di fuga o illusori ritiri dal mondo.
Giuseppe Maiolo – Doc. Psicologia dello sviluppo – Università di Trento – www.officina-benessere.it
In foto, Giuseppe Maiolo
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