Ragazzi normali, con famiglie altrettanto normali, e allora perché?
Il territorio dove più alta è la propensione al gesto estremo, secondo le rilevazioni Astat è il Tirolo del nord, con un tasso di 14,4 suicidi ogni centomila abitanti. Segue, subito dopo l’Alto Adige con il 10,6. L’aspetto che più colpisce è la giovane età delle vittime, che sono soprattutto maschi in età compresa tra i 16 e i 22 anni. Dell’argomento difficile, un tema spesso tabù anche per i professionisti dell’informazione, si è parlato nell’incontro organizzato dall’Ordine dei giornalisti del Trentino alto Adige, tenutosi ieri a Bolzano nella sala del Rainerum , dal titolo “Scrivere di cronaca nera, tra fatti e sentimenti: aspetti psicologici e deontologici”. La pedagogista e dirigente dell’Istituto professionale di Brunico Marlene Kranebitter ha esposto i termini della problematica. Solo in Val Pusteria dal 2015 ad oggi sono stati 8 i suicidi giovanili, tutti maschi e in età compresa tra i 16 ei 22 anni, mentre sono 7 i casi registrati nel resto dell’Alto Adige. “Si trattava di ragazzi normali, apparentemente felici– ha precisato – con famiglie alle spalle, con amici, progetti di vita di cui sembravano convinti, e tuttavia poi la decisione di arrendersi alla vita. Degli otto casi pusteresi, quattro frequentavano l’Istituto professionale, quindi Kranebitter conosceva i ragazzi, le loro storie, i loro contesti di vita e quindi esponeva riflessioni su questa problematica derivanti anche dall’esperienza professionale. La giovane età delle vittime è l’aspetto che più sorprende ed è difficile comprendere le ragioni concrete del gesto estremo. “Viviamo in una società estremamente esigente – ha osservato la pedagogista – che esercita una pressione al dover essere perfetti, ma questa aspettativa non tutti riescono a sopportarla. Per affrontare il tema in come scuola abbiamo deciso di fare rete tra insegnanti e genitori così da individuare come arginare una situazione rischiosa prima che degeneri.”
Sulla stessa lunghezza d’onda il sindaco di Brunico, Roland Griessmair, il quale concorda sul fatto che non tutti i ragazzi riescono a rispondere alle aspettative che si hanno di loro. “Non tanto per debolezza – dice Griessmair – ma per difetto di comunicazione. Nonostante familiari e amici, molti ragazzi non riescono a comunicare il senso di solitudine che sentono dentro di loro. Bisogna riflettere e fare rete per capire come evitare che questa situazione diventi fenomeno consolidato.”
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