Torino. Zagrebelsky, presidente emerito della Corte costituzionale “Se Renzi, vince le primarie è altissimo il rischio che il partito cada nella fossa.”

Nell’intervista al quotidiano La Stampa il giurista smentisce una serie di luoghi comuni.

Gustavo Zagrebelsky è impegnato attualmente alla preparazione della V edizione della  “Biennale Democrazia” che si svolgerà a Torino dal 29 marzo al 2 aprile. “Uscite d’emergenza”, questo il titolo della Cinque giorni di quest’anno, un’ampia riflessione sulle crisi del nostro tempo, alla ricerca delle risposte necessarie, ma anche di nuove strade da percorrere e di possibilità inesplorate. Quindi una riflessione dedicata agli usi e agli abusi di questa parola “emergenza”, uno dei termini  più evocati nel linguaggio politico contemporaneo.  A ciò che questo termine nasconde e a ciò che manifesta. Alla sua capacità di segnalare l’insorgere imprevisto di un problema, di un’eccezione, di un allarme. Ma anche di trasfigurare, come una maschera, le realtà e i corpi che ne sono toccati: il corpo dei migranti, il pianeta aggredito dall’uomo, le città “sotto assedio”, le economie in dissesto, le nuove povertà, le aree del mondo dove dilaga la guerra.

“L’emergenza è il pericolo incombente che si affronta con lo stato d’eccezione per non naufragare – risponde Zagrebelsky al giornalista che lo interroga sul significato del termine. “Ma emergenza è anche la vita nuova che si affaccia e chiede d’essere riconosciuta, – chiarisce – ma  la prima è figlia della disperazione; mentre la seconda della speranza”.

Richiestogli di spiegare a quale emergenza appartiene l’Europa, Zagrebelsky risponde che quando il pensiero s’inaridisce, pullulano gli slogan. “Oggi trionfa il populismo – dice il giurista – e fino a qualche tempo fa l’antipolitica, di cui si parla sempre meno, perché quelli che usavano questa parola accusatrice hanno dimostrato di avere essi stessi poco a che fare con la politica”

Gli viene chiesto se consideri anche il populismo solo uno slogan. Risponde secco di smetterla con le etichette perché anche le parole appartengono ad aspetti degli scontri politici in atto in determinati momenti storici.

“Ma chi è il populista? osserva il costituzionalista – Populisti erano i socialisti russi della seconda metà dell’800 che si battevano per l’abolizione della servitù della gleba; Simón Bolívar che lottava per il riscatto delle plebi in America Latina; Perón e suoi descamisados; ma anche Napoleone I e III con i loro plebisciti; Hitler è stato detto populista da papa Francesco e la stessa parola è stata usata per Obama, Clinton e ora Trump. Da noi Berlusconi e Renzi non sono populisti, così come Grillo, ciascuno a modo suo? Finiamola con le etichette!”

Alla domanda a bruciapelo come vede Renzi, risponde benevolo di vederlo sfibrato e sempre più isolato, “vittima d’una certa viltà di coloro che gli sono stati intorno non senza adulazioni e connessi benefici e ora, nella difficoltà, lo stanno abbandonando”. E che, soltanto per questo, “merita simpatia”.

Quanto alle primarie del Pd, Zagrebelsky prevede un gran rischio. ”Corre un gran rischio il Pd. Se Renzi, malgrado ciò che sta accadendo vince le primarie – afferma – è altissimo il rischio che il partito cada nella fossa, e perda definitivamente la sua identità.

Pinuccia Di Gesaro

Giornalista, scrittrice, editore.

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