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Al di là del bene e del male

29 Settembre 2016

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Al di là del bene e del male

Nietzsche nella società occidentale moderna torna prepotentemente di moda. Il filosofo tedesco era un ribelle, un anticonformista, si prese in toto la responsabilità dei suoi atti senza sconti o scuse. Oggi molti ci provano ma naufragano miseramente. Nietzsche era il contrario dei bonshommes, ovvero di quelle dette “brave persone” che pongono come dogmi universali i propri valori, di fatto andando a squalificare il resto del creato. La nostra società ha questo problema: è sleale. Improntata e disegnata su fondamenta democratiche, pretende con qualsiasi mezzo d’imporre un pensiero, definito benevolo, in realtà unico. I suoi efori sono le classi elevate, spesso democratiche a parole, abilissime rispetto ad un tempo nel catturare apostoli tra gli intellettuali. La crisi di questi, specialmente in Italia, pare irreversibile. La classe intellettuale di fatto, è completamente assorbita, o meglio risucchiata, dal politicamente corretto imperante. Capita che qualcuno sbotti, definendo il popolo “stupido”, “inadatto”, “ignorante” quando i fili di questa democrazia non prendono la piega voluta dalla classe dirigenziale (anche se il termine è inappropriato). La classe dirigenziale ottocentesca e poi novecentesca traboccava di difetti ma aveva un pregio: si assumeva le proprie responsabilità Lo fecero i reali austriaci dopo la sconfitta nella Grande Guerra, lo fecero gli italiani, i tedeschi, i francesi, i russi e gli inglesi insieme agli americani. L’imputato non era il popolo, considerato massa, una denigrazione certamente, ma che però esentava da colpe. Oggi invece è diverso. Le governance moderne, infarcite di tanti buoni e finti propositi, non riesco a prendere decisioni definitive, non riescono ad iniziare o finire discorsi, sono liquide in ogni senso. Prendono come l’acqua, la forma del contenitore in cui la versiamo. La Brexit ha fatto scuola: il risultato sorprendente, per molti detti democratici è frutto dell’ignoranza del popolo, lo stesso popolo che a parole (sempre le loro) dovrebbe appunto essere il protagonista della società “di tutti”. Il populismo aiuta, lo sa bene Trump (la Clinton pure), ma lo sanno in Italia anche Renzi, Salvini e Grillo. I tre “campioni” della politica nazionale che di fatto hanno preso il posto di Silvio Berlusconi. Protagonista assoluto degli ultimi vent’anni italiani, ora ferito ma non sconfitto del tutto, in realtà gli sconfitti sono i post comunisti italiani, ormai assenti quanto autoreferenziali nelle sporadiche apparizioni. I tre “tenori” utilizzano il populismo a macchia di leopardo e spesso come distrazione di massa. “Più le cose cambiano e più rimangono le stesse” recitava il protagonista di un famoso film ambientato in un futuro non tanto distante dal nostro presente, la società in cui viviamo ama scindere in buoni e cattivi, bolla, spesso grazie ai media, eventuali scomode voci fuori dal coro. Papini, D’ Annunzio, Marinetti od Ungaretti, diversi ma dotati di un quid intellettuale in più, non si sono mai posti il problema del non divulgare il loro pensiero, lo facevano perché appunto il loro io intellettuale andava oltre la morale della società. Una delle ultime persone, in Italia, a porsi di traverso, fu una certa Oriana Fallaci, finita nella tomba con un processo in corso per aver pubblicato un libro nel 2001, dopo l’attentato dell’11 settembre. Il libro può piacere o non piacere, la Fallaci la si può odiare od amare, ma la gogna 2001-2006 fu oltre i limiti. In Italia la condanna fu unanime, senza appello. La corsa alla cattiva Oriana fu orchestrata e gestita come una campagna militare. Nessun intellettuale di grido ebbe il coraggio d’ affermare “non sono d’accordo ma finiamola”. Pena? Forse la stessa sorte. L’ intellettuale di solito è un osservatore privilegiato della società, a volte un ribelle che si scaglia contro altri ribelli, che respinge la giustizia di massa demagogica e s’impegna a portar avanti le voci minoritarie. Oggi invece, molto spesso, si schiera con i poteri forti, offende il popolo e soprattutto infanga le voci fuori dal coro, con l’aiuto dei media. Il relativismo culturale non è morale, da questa fusione errata si genera il peccato originale della confusione vissuta oggi. Senza lanciarsi in grandi analisi è forse una sola grande qualità ad essere assente a più livelli: la dignità.

Giornalista pubblicista, originario di Bolzano si occupa di economia, esteri, politica locale e nazionale