Milano. Maltrattamenti e abusi all’asilo nido

Di Giuseppe Maiolo

Quali giustificazioni eticamente accettabili per questi operatori?

A Milano l’ennesimo caso di maltrattamento infantile in un asilo nido nel cui sito lo staff educativo si presenta come“…altamente qualificato ed esclusivamente dedicato alla cura dei bambini…” Accade ancora. Purtroppo. Il maltrattamento si realizza e si sviluppa  con troppa frequenza. Si esprime proprio quando il compito di accudimento e di cura richiederebbe particolare attenzione, professionale amorevolezza, ma soprattutto autentico rispetto del bambino e dei suoi diritti. E allora la prima cosa che ci accade di pensare è che quegli operatori che falliscono il loro mandato, quegli insegnanti che si rivelano incapaci di fare il difficile mestiere dell’educatore, sono impreparati. Con le maestre, siamo ancora più severi, perché nell’immaginario collettivo le femmine ce le figuriamo per natura dotate di competenze educative.

Eppure una cosa è la preparazione professionale e un’altra la capacità di gestire la relazione e governare se stessi e l’universo affettivo ed emotivo. Ho insegnato per anni all’Università proprio a chi dopo starebbe diventato insegnante della Scuola dell’infanzia o primaria e in gran parte delle mie lezioni ho insistito sul fatto che, nel processo educativo, è importante un rigoroso rispetto e una grande l’attenzione ai bisogni del minore. Ho sentito un reale desiderio di aumentare il sapere e riflettere sui comportamenti a rischio che possono avere gli adulti nella relazione con i bambini. Ho trovato sempre un grande interesse a conoscere e approfondire le dinamiche dell’abuso e del maltrattamento dei bambini, familiare o extra-familiare che sia, come appunto può accadere nei contesti scolastici.

Il problema vero allora non è quello della preparazione teorica, quanto quello di formare gli insegnanti nella gestione del proprio mondo interno e aiutarli a conoscere le dinamiche inconsce delle emozioni e dei sentimenti che ogni individuo si porta dentro. Perché si insegna e si educa con quello che noi siamo, con la  capacità che abbiamo di “amministrare” la nostra vita psichica e con il nostro universo affettivo. La relazione non si gestisce con la testa né con le competenze didattiche acquisite ma dipende  esclusivamente dall’elaborazione che abbiamo fatto delle nostre esperienze infantili e adolescenziali. Nulla conta di più nell’educazione di “come siamo dentro ” perché, diceva Jung, “i bambini vengono educati da quello che gli adulti sono e non dai loro discorsi“.

A giudicare dalla frequenza con cui questi fatti si registrano, dobbiamo pensare a quanta  fragilità emotiva vi sia negli adulti che sono preposti ai processi educativi e pertanto alla necessità di formare e addestrare gli addetti alle relazioni di cura alla gestione della loro emozionalità e alla conoscenza di se stessi. Contemporaneamente è necessario pensare che la scuola sia in grado di sostenere il carico emotivo degli insegnanti, aiutarli a gestire lo stress, accompagnarli a riconoscere le loro risposte affettive. In una parola sostenere il loro impegnativo lavoro educativo.

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