di Giuseppe Maiolo

Festeggiare la mamma è ormai una consuetudine. Adulti e bambini in questa ricorrenza ne omaggiano il ruolo e i compiti che oggi, per la verità, sono divenuti più impegnativi e gravosi. Se la funzione materna è sempre stata complessa, ora è ancora più difficile sintetizzare un fenomeno profondo come quello dell’essere madre. Sul rapporto madre-figlio, uno dei più studiati, si è scritto tantissimo così che è il rapporto più esaltato e insieme demonizzato.

In passato e fino a non molto tempo fa si è pensato che l’essere madre fosse collegato a un destino biologico e fare la madre un fatto istintivo. In altre parole esisteva come una sorta di equazione: donna = madre. Oggi diventare madri fa parte di un progetto, di una scelta che, al pari della paternità, dovrebbe essere autonoma, matura e responsabile. Purtroppo non sempre lo è. I tanti casi di bambini maltrattati e abusati, violentati e trascurati, dimostrano quanto la genitorialità perché non sia carente o addirittura mancante richieda una preparazione specifica. Così alla maternità ci si prepara. Non si improvvisa.

Certo il rapporto che una madre ha con il proprio figlio fin dall’epoca della gestazione è intimo, senza mediazioni, viscerale. La relazione con il feto prima e poi con il bambino, corre e si snoda attraverso una complessa serie di identificazioni senza le quali non è possibile costruire quella comunicazione profonda ed empatica che permetterà al proprio figlio di crescere e di svilupparsi. Se questa comunicazione si instaura come scambio tra i due fin dalla vita prenatale, allora la relazione è possibile e la donna saprà assumere quella funzione di cura e accudimento che fa crescere un figlio e lo rende capace di accettare, al momento giusto, la sua separazione. Del resto di separazioni reciproche da affrontare ce ne sono diverse nel corso della crescita: dalla nascita e dal parto fino all’adolescenza e oltre. Tutti questi distacchi, pur se difficili, sono funzionali allo sviluppo e necessari per il benessere di un figlio, ma anche di una madre.

La complessità della funzione materna è pertanto tale da richiedere una grande attenzione ai propri vissuti. L’immagine della mamma solo dolce, affettuosa e amorevole, rimanda allo stereotipo dell’istinto materno che è del tutto fuori luogo. Diventare madre significa fare i conti anche con gli aspetti ambivalenti che sono positivi e protettivi ma pure aggressivi e distruttivi. Bisogna saperli  riconoscere e imparare a gestirli.  E questa non è un’esperienza semplice soprattutto quando, come accade oggi, vi è nelle madri un diffuso desiderio di perfezione. La percezione degli aspetti negativi del proprio materno può spaventare e riempire di angoscia, oppure impedire lo sviluppo di tutte quelle funzioni materne che sono fondanti per lo sviluppo di un bambino.

La maternità, dice lo psicoanalista Donald Winnicott, si fonda sulla “preoccupazione materna primaria” e nasce dal rapporto empatico che una madre ha con il proprio figlio. È questa che assicura la costruzione di una fiducia di base e dà quella sicurezza interiore che il bambino acquisisce attraverso il rapporto di gratificazione e di affetto che ha con lei. Ma perché tale fiducia si stabilizzi e possa permanere tutta la vita è necessario che la madre sia capace di autentica disponibilità e nello stesso tempo rinunci a volersi realizzare come madre perfetta. Viceversa è importante che accetti di essere una “mamma sufficientemente buona”.

In foto: Le due madri, 1889 di Giovanni Segantini

 

 

 

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