L’uomo è nato libero – ma dovunque è in catene

“In dubio pro reo”, letteralmente . «nel dubbio, si giudica in favore dell’imputato» Questa locuzione latina usata in ambito del diritto penale, tra l’altro tratta da un Digesto giustinianeo, indica a chiare lettere che quando non v’è certezza di colpevolezza è meglio che il giudice accetti il rischio di assolvere un colpevole piuttosto che quello di condannare un innocente. Forse non a caso il nostro Ordinamento costituzionale sancisce “il divieto di presunzione di colpevolezza”. Fino a qui, tutto bene, anche fin troppo. Quando però tocchiamo il concreto, il mondo reale, scopriamo che le cose non stanno proprio così. Dove sono queste garanzie di cui andiamo tanto orgogliosi? Non mi pare che gli innumerevoli media si facciano tanto scrupolo nell’informare la gente, sempre che di informazione si possa parlare. Certo, la cosiddetta libertà di cronaca è intoccabile, cosicché qualche buon cittadino potrebbe anche finire in prima pagina erroneamente. Tanto, poi si può smentire! Ma chi osserva le dinamiche sociali sa che non è così. Quante volte pur di dare la notizia si sbatte il reo (presunto però) in prima pagina sacrificandone la dignità. Non serve una laurea in giurisprudenza per distinguere una indagine da una condanna passata in giudicato, ma cosa non si farebbe per incrementare le vendite di un giornale o le visite di un portale internet. Come se infangare la dignità di un essere umano fosse cosa da poco o emendabile. Perché sono previsti tanti gradi di giudizio, garanzie e possibilità d’appello? A cosa servono i processi se si celebrano sui giornali e in piazza? Ogni persona ha il diritto di essere giudicato da un tribunale imparziale, di potersi difendere e di non essere consegnato alla gogna pubblica ancora prima che inizi un regolare processo. Con amarezza apprendo dalle testate locali nome e cognome di un giovane avvocato meranese che “avrebbe” commesso reati per cui sarebbe indagato e tratto in arresto. E’ stato condannato? No! Eppure per l’opinione pubblica basta una parola, una foto in prima pagina e qualche commento perché l’impegno e la dignità di una vita scompaiano nel nulla.

In uno Stato di Diritto la magistratura deve poter svolgere il proprio lavoro in modo sereno, proprio come le persone devono potersi sentire difese dai mezzi di informazione. E’ la magistratura che deve giudicare, non la stampa. Sperando che questa nostra società sempre più fragile e senza punti fermi, ritrovi la certezza del diritto, mi limito a citare Jean Jacques Rousseau L’uomo è nato libero, ma dovunque è in catene”.

 

Claudio Calabrese

Giornalista pubblicista, scrittore.

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