Se analizziamo il recente rapporto della fondazione Ismu (Iniziative e Studi sulla Multietnicità) possiamo notare alcuni dati interessanti.
Tra il 2003 e il 2010 l’aumento di immigrati in Italia è stato abbastanza costante, con una media d’aumento di circa 400 mila stranieri ogni anno (irregolari inclusi). Analizzando invece gli ultimi anni ci troviamo di fronte ad una interessante evoluzione dell’immigrazione. Ebbene il flusso migratorio in entrata persiste, ma la variazione negli ultimi due anni ha avuto un’incredibile flessione. Tra il 2010 e il 2011 l’aumento è stato di circa 69 mila stranieri, mentre tra il 2011 e 2012 l’aumento è stato del solo 0,5%, ovvero solo 27 mila nuovi immigrati nel nostro paese.
Ma non è tutto, analizzando i dati dell’AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero) possiamo notare un aumento del 30% di cittadini che nell’ultimo anno hanno scelto di emigrare in altri paesi.
Le motivazioni di questi cambiamenti risultano piuttosto chiare: le severe politiche economiche anti-crisi hanno reso l’Italia una meta meno ambita per gli immigrati e una casa scomoda per i cittadini autoctoni.
Leggendo questi dati si sarebbe portati ad essere contenti per la prima novità e preoccupati per la seconda, ma valutiamola da un’altra prospettiva.
Innanzitutto troverei d’ora in avanti assurda qualunque notizia che desse credito all’invasione degli stranieri o ad altre insulse considerazioni riguardanti la “minaccia degli immigrati”; come seconda riflessione utilizzerei i dati sugli emigrati per una visione positiva di ciò che ci aspetta nei prossimi anni.
Thomas Robert Malthus analizzò come l’aumento ciclico della miseria (la cosiddetta “crisi”) provocasse un riequilibrio del rapporto popolazione/risorse.
Ciò significa che anche guardando all’occupazione, un calo dell’immigrazione e un aumento dell’emigrazione può presagire una diminuzione della pressione sull’occupazione attuale, quindi, in teoria, un calo della disoccupazione.
Non stiamo certo ad esultare per il fatto che il nostro paese appaia tanto scomodo agli occhi di tanti, ma impossibile non vedere qualche beneficio nei cambiamenti provocati dalla crisi.
E quindi finirà? Senz’altro dovrà cambiare il nostro modo di vivere, la nostra visione della società civile e dell’economia dovrà evolversi e con essa anche la crisi. Non dovremo semplicemente prendere atto di questi segnali e aspettare. Alcuni sacrifici sono essenziali, spesso scomodi, ma richiesti. E’ vero, la maggior parte della popolazione non ha colpa di tutto ciò, ma i problemi ci sono e purtroppo lo Stato non può risolverli improvvisamente. Il lavoro non può essere creato dal nulla.
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