Avvincono e convincono, le strie, i salvans e le vivène di New Eos teatro-musica

Dall’Asta, Zindaco, Da Roit, Spampinato e Rossi

Poteva non essere scontato che uno spettacolo tematicamente ambientato in una valle dolomitica, ancorché valle di grande fascino, facesse presa a livello urbano. Invece il pubblico bolzanino ha risposto con entusiasmo alla proposta di New Eos teatro-musica «Di strie, salvans, vivène e altri misteri – La Val di Fassa tra fantasia e realtà». Dopo le prime repliche nel comprensorio fassano, ad ospitare la ‘prima altoatesina’ della performance è stato nei giorni scorsi il Circolo culturale Unuci di Bolzano, a propria volta gratificato dalla sala gremita.

Fra i presenti anche Alberta Rossi, autrice del libro “Misteri, avventure e magiche creature” (ed. AthesiaTappeiner / CurcuGenovese), di cui lo spettacolo rappresenta la riduzione scenica. Proprio da un incontro culturale fra la scrittrice fassana e la coordinatrice di New Eos teatro-musica, Mara Da Roit, è maturato il progetto teso ad applicare al libro la formula che da sempre caratterizza la compagine artistica altoatesina: traendone, quindi, una performance multimediale. Nel senso di effettuare un condensato dell’opera e portarlo in scena nell’inscindibile intreccio fra testi letti a due voci, musica e immagini. Da lì il coinvolgimento dell’intero gruppo New Eos e dei suoi altri due componenti Patrizio Zindaco, voce narrante maschile che si interfaccia sulla scena a quella della stessa Mara Da Roit, e Luca Dall’Asta per le musiche. Un organico che ha sempre fatto della multimedialità la propria cifra, concentrandosi totalmente su questo stimolante genere di rappresentazione.

Nel caso specifico si è partiti da un punto della situazione sui contenuti da affrontare. “Dopo esserci misurati nel tempo con tante tematiche diverse – dalla storia alla montagna e alla natura, dalla cronaca anche particolarmente drammatica alla cultura con la ‘c’ maiuscola – è stata per noi una sorta di prima volta”, racconta Mara Da Roit, “dato che mai prima vi era stata nei nostri lavori una componente ‘fantasy’ dominante. Se da un lato abbiamo subito individuato nel libro un risvolto perfettamente in linea con una delle nostre passioni, ovvero l’ambientazione montana, dall’altro non ci era ancora accaduto di relazionarci al ‘mistero’, né a personaggi a metà fra tradizione e fantasia: quali streghe, stregoni e magiche creature in genere – che soprattutto nei molti dialoghi diretti hanno chiaramente comportato moduli interpretativi ad-hoc, con tanto di frequenti cambi di voce. E anche le musiche hanno sondato nuovi terreni, soprattutto in relazione alla suspance”. 

“Una sfida che abbiamo raccolto con slancio”, prosegue Patrizio Zindaco, “ritornando in qualche modo, parlo in questo momento per me e per Mara, alla dimensione teatrale in senso stretto che entrambi abbiamo nel rispettivo background, ma senza venire meno ai nostri standard come New Eos: ivi compresa la staticità che ci contraddistingue sulla scena (una staticità apparente, in realtà, a quanto abbiamo scoperto grazie ai commenti del pubblico). Il tutto, per l’appunto in un lavoro di squadra con Luca, il musicista del gruppo. Perché la musica è un elemento imprescindibile dei nostri progetti, alla pari di testi e immagini. È l’insieme, che fa sì che si compia l’alchimia – almeno per come noi la percepiamo.” 

Una formula intrigante, e che dà effettivamente molto spazio agli stimoli visivi e auditivi, alle percezioni interiori del pubblico. “Ci consideriamo una sorta di tramiti di ciò che raccontiamo”, fa notare Luca Dall’Asta. “Quello che arriva alla platea sono le due voci narranti con i testi che interpretano, le immagini su cui l’occhio si concentra e appunto la mia musica che si fonde al parlato, oltre a emergere in precisi momenti fungendo da raccordo sonoro fra le situazioni. È accaduto che alcune volte abbiamo espressamente ‘consigliato’ agli spettatori, iniziando lo spettacolo, di ‘dimenticarsi di noi’ – inteso: come figure sulla scena… – e concentrarsi su tutto il resto. Sentendoci poi confermare, al termine, che era stato un buon consiglio, e che erano stati catturati dai contenuti in sé, a più livelli.”  

A proposito di contenuti, vediamo di capirne di più riavvolgendo il nastro con l’autrice del libro da cui lo spettacolo è tratto. “Alla base di tutto vi è il fatto che tempo addietro mi sono posta un interrogativo; mi sono chiesta cioè come mai gli abitanti dei paesi della Val di Fassa, ma a volte perfino di frazioni degli stessi, portassero determinati appellativi”, spiega Alberta Rossi. “Ho quindi affrontato un lavoro articolato di indagine sul territorio e anche a livello di documentazione, animata sia dalla curiosità che dall’amore per la mia terra. E dopo avere scavato e indagato, i risultati delle mie ricerche storico-etnografiche li ho tradotti in racconti sullo stile delle leggende, integrando con la fantasia le acquisizioni fatte. Il libro è nato così. E il percorso è proseguito con lo spettacolo che ne è derivato, dove tutto ovviamente è più ‘concentrato’ – senza però, a quanto ho constatato, che qualcosa si perda a livello emozionale. Infatti le parti di testo necessariamente condensate per ragioni di tempistica teatrale, nella selezione e riduzione intraprese da Mara, semplicemente non vengono intuite da chi ascolta, e il tutto conserva una sua fluidità a prescindere. Guadagnando inoltre gli aspetti visivo e sonoro.” 
“Fermo restando, naturalmente”, aggiunge Mara Da Roit, “che questa vita parallela data all’opera in virtù dell’adattamento multimediale non impedisce poi allo spettatore di completarsi egli stesso il quadro, se catturato dal tema, leggendo il libro intero. Anzi, nei nostri progetti tratti appunto – tutti – da opere letterarie, vediamo proprio come effetto collaterale una implicita, sana promozione della lettura”. 

Difficile a questo punto dare maggiori particolari sullo spettacolo senza svelare troppo. Ma sicuramente si può dire che la performance conduce lo spettatore su un terreno insolito e inatteso, a metà tra afflati magici e addentellati fortemente reali; questi ultimi, sotto forma di immagini contemporanee della bellissima Val di Fassa. Col risultato di imbrigliare nelle spire di ciò che viene narrato anche chi si reca a vedere lo spettacolo senza sapere realmente cosa attendersi. 

Merito forse anche del fatto che fra ciò che ‘arriva’ allo spettatore non mancano le pillole di conoscenza da fare proprie e portare poi con sé. Gli emozionanti racconti albergano infatti nelle loro pieghe, e ritrasmettono, veri e propri spizzichi di tradizione montana e dolomitica. Da un lato vi è la dimensione stregonesca coniugata ai curiosi personaggi graficamente riprodotti dalla disegnatrice Elena Corradini – la stria, la vivèna, il salvan, il pelendron... –, a cui le interpretazioni danno vita riportandoli sorprendentemente nel nostro tempo. Di pari passo non mancano piccoli affreschi di cultura popolare e di tradizione altra, con flash di un passato valligiano riferito al vivere semplice di un tempo, ai lavori agresti, al modo di interpretare la vita nelle vallate alpine fino a quando non vi erano né web, né ‘social media’, né tecnologie relative. 
A punteggiare il tutto, anche la visualizzazione, dove richiamati dai testi, di oggetti d’epoca come il calzedrèl, la pazeida, una vecchia botte: un modo per tenere viva la memoria. Non è un caso se le immagini di tali testimonianze sono state messe a disposizione dello spettacolo dall’Istitut cultural ladin di Sèn Jan di Fassa. 

E a proposito: un capitolo a sé, in questo report, non possono che meritarlo le immagini paesaggistiche che supportano la narrazione, firmate da fotografi principalmente fassani ma non solo. A loro e ai loro scatti, il merito di consentire alla platea di calarsi nelle situazioni narrate, visualizzando su schermo l’ambientazione di ciò che va via via ‘accadendo’. Laddove, quanto a bellezza e a fascino dei luoghi, c’è solo l’imbarazzo della scelta: cime montuose imponenti (dalla Roda di Vaèl alla Marmolada, passando per il gruppo dei Monzoni, eccetera), specchi d’acqua che fiabeschi lo sono già di proprio, e che in più si trasformano in teatro d’azione da parte di magiche creature (un esempio: il Lago di Antermoia, che alla fine del racconto relativo sarà diventato… il “Lac de Dona”), e poi boschi, prati e radure ora in veste invernale, ora baciati dal sole dell’estate. Per non parlare delle perle di bellezza che sono i paesi in sé, lungo un itinerario che, sull’onda dei racconti, conduce da Forno di Moena a Canazei. 

Completano la suggestione, come detto, le musiche plasmate sul parlato in modo da regalare ai testi quasi la tridimensionalità; inoltre, effetti sonori e alcuni artifici tecnologici. Come a dire che anche le modernità del nostro tempo hanno saputo contribuire al risultato d’insieme. All’insegna comunque, per quanto trapela all’osservatore attento, della volontà di ‘costruire attorno’ senza snaturare.

Fotoservizio: Stefano Odorizzi

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