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Eccidi nazisti – Platea catturata, al teatro di S. Giacomo, dal giornalista d’inchiesta Udo Gümpel

14 Ottobre 2022

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Eccidi nazisti – Platea catturata, al teatro di S. Giacomo, dal giornalista d’inchiesta Udo Gümpel

Foto, il colonnello Roberto D’Elia e Udo Gümpel/c-Stefano Odorizzi
Gümpel con la curatrice dell’evento Mara Da Roit e la moderatrice Francesca Gonzato/c-/c-Stefano Odorizzi

Ha lasciato tracce profonde la serata proposta dal Centro culturale S. Giacomo che vedeva come protagonista il noto reporter investigativo tedesco Udo Gümpel; colui il quale cioè, identificando e stanando grazie a una ricerca certosina massacratori impuniti, ha fatto partire le inchieste degli anni duemila in tema di eccidi del ’43-‘45 in Italia (Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto, eccetera) e i relativi processi, tradottisi in decine di condanne.  

Accade che molti mesi or sono mi frulli per la testa un’idea forse un po’ pretenziosa, sulla carta: invitare a raccontare la sua esperienza al pubblico altoatesino, nell’ambito delle proposte del Centro culturale San Giacomo, un giornalista d’inchiesta che unisce in sé caratura professionale e spessore morale; un giornalista cui va il merito di avere contribuito a scrivere fondamentali pagine di verità storica nell’ambito dei grandi crimini di guerra.

E accade che egli mi risponda, con disarmante semplicità: «ben volentieri; vengo certamente».

È nato così il concept sfociato nella incredibile serata che ha recentemente portato al Teatro di San Giacomo di Laives (da Roma, dove vive) Udo Gümpel, persona grazie alla quale nei primi anni 2000 si è aperta una nuova stagione, ovvero l’ultima, dei processi per i crimini di guerra riferiti al secondo conflitto mondiale. Nel caso specifico, processi a carico dei nazisti – appartenenti alle SS, ma anche alla Wehrmacht e ad altri corpi dell’esercito tedesco – resisi responsabili delle stragi che insanguinarono l’Italia dopo l’8 settembre 1943. ‘Perpetratori’, come li chiama Udo (in tedesco: ‘Täter’) che, per poter essere processati, evidentemente andavano prima identificati e trovati. E bisognava farlo presto, se si voleva impedire che dopo una vita post-bellica trascorsa dietro un’aura di rispettabilità, integrati addirittura nell’élite della società tedesca, se ne andassero da questo mondo senza aver risposto in alcun modo delle atrocità commesse (qualcuno era stato messo sotto processo anche prima; ma in proposito vi rimando all’ultima parte di questo mio contributo).

Cumulativamente parlando, le incolpevoli vittime erano state migliaia: donne, bambini, anziani sterminati senza pietà, spesso barbaramente. Lo storico Carlo Gentile, di cui leggerete fra breve, conferma una stima di circa 25.000 civili. Laddove il pensiero corre a comunità duramente colpite come lo sono state Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto, ma anche a accadimenti meno diffusamente noti come la strage di San Polo e svariate altre.

«Gli assassini della porta accanto», il titolo concertato tra Udo e me per la serata, racchiudeva tra le pieghe proprio la facciata di “normalità” dietro cui i rei di tali abomini si celavano. Ma si ispirava anche al fatto che due dei peggiori criminali oggetto del suo giornalismo investigativo, egli li abbia individuati nella sua città natale, Amburgo, dove per l’appunto risiedevano; e dove lo hanno ricondotto le articolate ricerche a cavallo di Italia, Gran Bretagna e naturalmente Germania.

È stato un racconto, il suo, che ci ha tenuti inchiodati alle poltrone per due ore. Ci ha fatti ora rabbrividire, ora sgranare gli occhi, a tratti (ascoltando il racconto dei superstiti) soffrire interiormente, e ci ha a più riprese annichiliti. Al tempo stesso, ci ha catturati nella dinamica delle investigazioni condotte da Udo sia in fase di ricerca che sul campo, al punto da sorprenderci di cosa possa il giornalismo d’inchiesta.

La narrazione di Gümpel a San Giacomo ha tra l’altro anticipato – e come non sentirsene onorati – la diffusione nel web del sito attualmente in preparazione che tirerà le fila sul “Täterprojekt”, progetto italo-tedesco d’alta valenza, frutto della collaborazione – già collaudata agli effetti delle ricerche – tra Gümpel e lo storico di rango Carlo Gentile. Un progetto centrato sul lavoro dei due, assieme a chi altri vi ha collaborato, impostato sempre dal punto di vista delle vittime; e che, come ha preannunciato Udo sul palco, traccerà le biografie di innumerevoli massacratori e ripercorrerà con dettagli sinanche sconosciuti circa trenta eccidi perpetrati nel nostro Paese fra il ’43 e il ’45 dai nazisti, non senza partecipazioni ascrivibili a milizie della Rsi.

Un aspetto, quest’ultimo, evidenziato anche dalla moderatrice Francesca Gonzato del giornale Alto Adige. La quale nell’introdurre la conferenza ha richiamato l’opera morale portata avanti con le sue inchieste giornalistiche dal collega tedesco, in termini di ricerca di verità, dovere della memoria e assunzione di responsabilità.

Udo Gümpel ha esordito dal canto suo spostando da sé il baricentro e accendendo invece prima di tutto i riflettori sui meriti di quella parte di apparato investigativo italiano che, certamente partendo dalla avvenuta individuazione dei carnefici, ha consentito alla giustizia di fare il suo corso. «Senza di esso, i processi celebrati a La Spezia e poi a Roma che hanno portato alla condanna di decine di criminali nazisti non vi sarebbero stati.»

Ed ecco la sorpresa: due delle straordinarie figure destinatarie del suo elogio, erano presenti in sala. In prima fila sedevano infatti il generale di brigata dell’Arma dei Carabinieri Roberto D’Elia e il maresciallo dei Carabinieri a riposo Franz Stuppner, già delegati alla Procura Militare come funzionari di Polizia Giudiziaria. I quali nella complessa fase investigativa sviluppatasi principalmente a cavallo di Italia e Germania, furono in prima linea a supporto della Procura di La Spezia, ivi destinati sia per le eccelse capacità professionali in senso stretto che per la carta in più data dall’essere perfettamente bilingui, quali altoatesini di stanza a Bolzano, agevolati quindi nel relazionarsi a indagati e testimoni massimamente di lingua tedesca.

Ma riavvolgiamo il nastro, come ha fatto lo stesso Gümpel in conferenza: tuffandosi a capofitto in una ricostruzione degli accadimenti dal punto di partenza.

È il ‘98/’99 quando, quattro anni dopo la scoperta di quello che nell’immaginario collettivo viene definito ‘armadio della vergogna’ («una narrazione tesa a nascondere l’inattività», precisa) si reca alla Procura di La Spezia, allora competente per il 90% dei casi aperti, traducibili in qualcosa come duemila fascicoli: circa 700 dei quali riguardanti omicidi i cui responsabili erano verosimilmente ancora in vita. Chiede conto, da giornalista, di come stiano le indagini sulla moltitudine di massacri, soprattutto quello di Sant’Anna di Stazzema (395 vittime). Gli rispondono che gran parte dei presunti rei si assume essere ormai deceduta. Ragionando sulla bassa età media dei vari ufficiali, maggiori e anche colonnelli nazisti implicati a suo tempo negli eccidi, non se la beve per un istante.  

Il suo scetticismo nasce anche dall’essere a conoscenza del fatto che tra i documenti richiesti e gli interrogativi posti dall’Italia alla Germania nell’ambito della collaborazione tra le polizie dei due Paesi, una domanda concernesse “il luogo di residenza di tale KesseRLing”. Non era la prima volta che il nome del famigerato Feldmarschall Albert Kesselring veniva trascritto male; «ma che ancora negli anni ‘90 si chiedesse alla giustizia tedesca dove trovarlo, ci era sembrata, più che superficialità, una sciatteria massima, considerato che a quell’epoca il capo dell’esercito tedesco avrebbe dovuto avere un’età di 110 anni – se non fosse che era già morto nel 1960…».

Udo comprende che la lentezza (per usare un eufemismo) regna sovrana. «A Berlino, presso la redazione del magazine televisivo “Kontraste”, ci siamo detti che vi era tutto lo spazio per un lavoro giornalistico investigativo». Assieme al collega René Althammer propone una ricerca inizialmente documentale e archivistica, poi mirata sulle persone individuate come potenziali responsabili dei reparti interessati.

Da qui il dipanarsi dei suoi ricordi successivi, inanellando i vari tasselli. Col che, ci è sembrato francamente di essere in un film. Va da sé che non posso che sintetizzarvi i contenuti della serata, anche per lasciare spazio a quella che sarà a tempo debito la campagna divulgativa da parte di Gümpel e di Gentile, una volta pronto il sito web. Ma penso che un’idea ve la potrete fare.

Sostanzialmente il lavoro di Udo Gümpel parte da un foglietto trovato al Museo di Sant’Anna di Stazzema: una ‘prova’ determinante, ritornata nel paesino toscano da archivi inglesi. «Col collega René ci rechiamo allora in Inghilterra», racconta, «dove veniamo indirizzati nientemeno che al Museo delle Guerre imperiali. Ci andiamo; e chiediamo di poter prendere visione di ciò che gli inglesi hanno trovato su Sant’Anna. L’incaricata ci consegna un fascicolone, e poi mi chiede… non vuole anche gli altri documenti che abbiamo raccolto? Ma ben volentieri!, le rispondo.»

Qui si inserisce il secondo piano di ricerca incrociata. «Cosa fai – racconta Udo riannodando il filo del suo ragionamento di allora – se dei 50.000 effettivi in Italia appartenenti alle SS vuoi sapere chi era in servizio e dove il giorno x? Pensi che, dopo la guerra, i nazisti assassini dovevano aver chiesto il riconoscimento a fini pensionistici dei giorni in cui avevano servito la Germania. Ci rechiamo allora (era il 2001) all’archivio di Berlino della omologa tedesca dell’Inps italiano e chiediamo accesso ai documenti: che sulle prime ci vengono negati. Ci rivolgiamo allora a un giudice – e fortunatamente capitiamo bene – spiegandogli che sospettiamo le persone sul cui conto ricerchiamo, di essere assassini plurimi di non meno di 3.000 civili; al che, questi ordina con effetto immediato di consentire il nostro accesso alla documentazione. A stretto giro, entriamo così in possesso di un elenco: 800 nomi di SS che a quel punto sapevamo dove e quando collocare in servizio. La vera base di partenza. Certo non potevamo metterci a rintracciarli tutti. Ci siamo scelti quelli per noi più importanti: Sant’Anna di Stazzema e Marzabotto, che volevamo risolvere come primi casi».

Nasce il reportage del 2002 per la tv tedesca, capace di creare sussulti tali all’interno della Procura Militare di La Spezia, da tradursi in un cambio al vertice. E fortunatamente in una enorme accelerazione delle indagini. Alla guida dalla Procura subentra Marco De Paolis, e nel nuovo assetto il macchinario si mette seriamente e professionalmente in moto, vedendo come punta di diamante agli effetti delle indagini il nucleo dei Carabinieri altoatesini guidato dall’allora tenente colonnello Roberto D’Elia. Indagini che sfoceranno, a partire dal 2004, nei processi e relative condanne a carico dei finalmente “indagati”, che ormai si sentivano certamente oltre il problema, o addirittura non lo avevano nemmeno mai considerato tale; abbiamo appreso del resto dal colonnello D’Elia e da Robert Stuppner, intervenuti su domanda di Udo posta in teatro, che fra i 400 SS sentiti, i pentiti sono risultati essere… “uno, forse due”.

La decodifica morale rispetto al punto delle età ormai avanzate dei rei ce l’ha data Udo in un passaggio fondamentale della sua esposizione, là dove ha così ricondotto ad un preciso assunto i propri intendimenti e il suo operato: è stato un lavoro svolto «non tanto perché ormai servisse mandare in galera degli ottantacinquenni; serviva fare una giustizia storica».

Ecco il punto: SERVIVA FARE UNA GIUSTIZIA STORICA.

Il perché lo ha ben compreso il pubblico presente (qualora a qualcuno non fosse sufficientemente chiaro il concetto), ripercorrendo gli eventi tramite le testimonianze che Udo ha racchiuso in un filmato approntato per l’occasione e trasmesso a metà conferenza, documento che a propria volta ha anticipato il materiale che sarà sul sito integralmente. Un susseguirsi di spezzoni tratti dai reportage investigativi realizzati a suo tempo per il menzionato magazine “Kontraste” da Gümpel. Come, è presto detto: bussando alla porta dei perpetratori equipaggiato di telecamera e microfono. Sconvolgenti interviste che nel video sono state alternate a drammatiche ricostruzioni di alcuni degli eccidi, tramite le testimonianze di superstiti.

Significativi, all’interno del documentario, sono stati anche i commenti del co-curatore del Täterprojekt, Carlo Gentile, ad esempio là dove lo storico ha evidenziato la “normalità disarmante” dei criminali, a fronte delle loro azioni giustamente percepite come “mostruose”.

Quanto alle affermazioni dei perpetratori intervistati da Gümpel, dei quali già è stato impressionante, per noi che c’eravamo, sentire la voce con le nostre orecchie, almeno un paio di passaggi mi pare doveroso riportarli:

«Non ho voglia di parlarne. Per me quei tempi sono chiusi e non ho assolutamente nulla da rimproverarmi.» [Gerhard Sommer, condannato in via definitiva per l’eccidio di Sant’Anna di Stazzema].

«Le persone erano impaurite, intuivano quella che sarebbe stata la loro fine.» Eppure: «La faccenda oggi non mi tocca più di tanto; non mi sono mai sentito colpevole.» [Klaus Konrad, Ufficiale di Stato maggiore del reggimento di fanteria responsabile dell’eccidio di San Polo].

C’è stato spazio, dopo la visione dell’esclusivo collage, anche per entrare in un ulteriore aspetto non irrilevante: come cioè abbiano potuto soldati di 20-25 anni sparare a sangue freddo a civili incolpevoli. Gümpel ha demolito uno degli argomenti fatti circolare a posteriori, e secondo cui… se non avessero sparato li avrebbero passati per le armi.  «Non è vero», ha affermato. Come a dire che una scelta ce l’avevano. Cita un caso riferito alla strage di Sant’Anna, dove le testimonianze hanno fatto emergere il dissenso di alcuni soldati. Ma vero è che, nella pressoché totalità, il senso di colpa o di rimorso non pare essere stato un fenomeno conosciuto. A quanto riferito da uno dei criminali (Göring) e riportato da Udo, scendendo da Sant’Anna dopo l’eccidio i soldati tedeschi fischiettavano, fieri del loro operato. Significativa la riflessione che ha aggiunto: «la forza dello stragista era la volontaria partecipazione». E, a giudicare dalle parole del colonnello D’Elia, anche il senso di gruppo: «quando spara uno, sparano gli altri», ha affermato.

Tra i momenti forse più “leggeri” della serata, quello in cui Udo Gümpel, capace di suscitare anche in questo empatia, ci ha messi a parte di come è arrivato a Gerhard Sommer, fra pedinamenti e domande ai vicini di casa con il coinvolgimento… di sua mamma: per non dare nell’occhio. «Scusate se vi ho rubato il mestiere», ha chiosato all’indirizzo del colonnello D’Elia e di Franz Stuppner.

E a proposito: questo report, misto a emozioni personali, non potrebbe chiudersi senza rammentare il prezioso apporto dato alla serata dai ricordi di prima mano proprio dal colonnello Roberto D’Elia.

Tasselli della fase investigativa e del suo sentire che ha voluto informalmente condividere con gli spettatori. Ad esempio il suo inquadramento dei personaggi, per percezione diretta: «erano l’essenza assoluta del male», ha detto. E in merito al suo approccio alla cosa: «quando ho cominciato a lavorare su Sant’Anna di Stazzema, per una settimana non ho dormito la notte, al pensiero di quello che avevo letto e visto».

Ecco, a questo punto potrebbe davvero essere tutto. Ma alcune domande a margine, fuori onda, ho voluto ancora porle a Udo Gümpel, per approfondire alcuni punti.

In conferenza, Udo, hai accennato a ciò che ha preceduto l’inizio della tua e vostra inchiesta giornalistica. Ripercorriamo brevemente quegli eventi?

«Senz’altro. Qualcuno degli ufficiali nazisti era stato in effetti già chiamato a responsabilità. Ricordiamo tutti il processo a Erich Priebke, “scoperto”, per così dire, da una troupe dell’emittente americana ABC nel 1994 in Argentina, a Bariloche, e condannato all’ergastolo nel 1998 al termine di un tormentato percorso giudiziario. Anche un altro processo si deve alla segnalazione di un giornalista, l’italo-americano Joseph Agnone, il quale segnalò alla Procura (ordinaria) di Santa Maria Capua Vetere i documenti per la strage di Caiazzo del 13 ottobre 1943; il che portò già nel 1994, grazie al lavoro investigativo del PM Paolo Albano, alla condanna all’ergastolo del tenente della Wehrmacht responsabile, Wolfgang Lehnigk-Emden. Dopo il processo Priekbe tornò tuttavia a scendere il “silenzio giudiziario” sulle indagini a carico degli autori degli eccidi perpetrati dai nazisti in Italia. Solo a Torino il Procuratore militare Paolo Rivello, a fine ’99, fece condannare all’ergastolo l’Obersturmbannführer (mio “vicino di casa”) Friedrich Engel, capo SS e SD di Genova, per le 250 vittime civili e i prigionieri politici uccisi a fini di rappresaglia. Per i giornali italiani ciò era valso un trafiletto. Personalmente l’ho considerato un caso “modello”: un SS ricercato internazionalmente come grande criminale di guerra, ma mai incriminato in Germania. E sì che non era difficile da trovare, visto che figurava sull’elenco telefonico».

Tornando al tuo operato, quale molla ti ha spinto?

«Il mio impegno personale è nato a Sant’Anna di Stazzema. Ero appena diventato padre di una bambina di nome Anna; e a Sant’Anna vedo che la vittima più giovane (coincidenze…) era stata Anna Pardini, di appena poche settimane di vita. Ma: nessun colpevole. Mi sembra incredibile. E allora parto con la mia inchiesta. Il caso Engel, il “boia di Genova”, va in onda nel 2001 in quanto pronto per primo, ma il mio vero obiettivo era Sant’Anna. Quando incontro Sommer non mi è ancora chiaro il suo ruolo, salvo sapere che era stato sul posto come uno dei comandanti delle quattro compagnie del 35° Reggimento 16^ Divisione SS. Che fosse stato l’unico a comandare la strage in piazza della Chiesa lo dissero negli interrogatori di Stoccarda, a partire dal 2004-5, alcuni dei suoi sottoufficiali ai Carabinieri che abbiamo avuto ospiti in sala».

Come hai percepito il tutto interiormente, portando avanti le inchieste e le tue ricerche? Te lo chiedo anche perché a fine conferenza, a caldo, alcune persone presenti mi hanno detto di essere rimaste perfino scioccate da quanto appreso, visto e sentito.

«Lo capisco. È stato scioccante anche per tutti noi che ci abbiamo lavorato. Anche perché mai per un secondo abbiamo dimenticato gli eventi che vi erano alla base. E le testimonianze dei superstiti, le voci dei parenti delle vittime. Il loro dolore.»

Come dire: quando l’umanità contribuisce a muovere il cammino della storia. Grazie anche per questo, Udo Gümpel; e per averci arricchito di conoscenza su una pagina dura, cruda, ma che meritava di essere appresa anche proprio come dovere di memoria. E come farlo meglio, se non attraverso il racconto di prima mano di chi, una parte importante di quella pagina, l’ha scritta.

Foto, apertura: Udo Gümpel e la moderatrice Francesca Gonzato, di fronte al folto pubblico/c-Stefano Odorizzi