E quindi uscimmo a riveder le stelle

Di Carlo Azimonti

“E quindi uscimmo a riveder le stelle” è l’ultimo verso dell’Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri. Con queste parole il poeta si lascia alle spalle la profonda notte infernale e si prepara a scalare la montagna del Purgatorio.

Quest’anno si celebra il settecentenario della morte di Dante Alighieri e questa ricorrenza viene celebrata da tantissimi eventi, non solo in Italia, ma in tutto il mondo. Il sommo poeta con la Divina Commedia ha scritto una storia straordinaria, uno tra i capolavori più rappresentativi della cultura italiana. In essa Dante fa uso dell’astronomia per legaree il suo viggio simbolico e allegorico alla realtà.
“Stelle” è la parola con cui si concludono tutte e tre le Cantiche dantesche e sono più di 100 i riferimenti astronomici sparsi nella sua opera.

Le conoscenze astronomiche di Dante derivano dalla lettura delle opere di antichi autori e, di conseguenza, l’astronomia della Divina Commedia è basata sul sistema tolemaico, con la Terra immobile al centro dell’Universo, intorno alla quale ruotano Sole, Luna e i cinque pianeti all’epoca conosciuti, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno.

La mia attezione in questo articolo è dedicata alla Via Lattea. Dante la descrive con queste parole nel canto XIV del Paradiso: 

La Via Lattea è indicata con il termine Galassia con la G maiuscola. È la nostra galassia perchè è la galassia a cui appartiene il Sistema Solare e quindi anche la Terra. È l’unica galassia conosciuta ai tempi di Dante.

Dante propendeva per l’ipotesi del raggruppamento di stelle, poi confermata dalle osservazioni che Galileo Galilei fece con il suo cannocchiale nel 1609. Così scrive lo scienziato pisano nel Sidereus Nuncius:

«Quello che in terzo luogo osservammo è l’essenza o materia del cerchio latteo, il quale attraverso il cannocchiale si può vedere in modo così palese che tutte le discussioni che per tanti secoli hanno travagliato i filosofi, si dissipano con la certezza della sensata esperienza, e noi siamo liberati da sterili dispute. La Galassia infatti non è che un ammasso di innumerevoli stelle disseminate a mucchi; in qualunque parte si rivolga il cannocchiale sempre si offre alla vista un grandissimo numero di stelle, molte delle quali si vedono abbastanza grandi e ben distinte, mentre la moltitudine delle più piccole è del tutto inesplorabile.»

Con queste parole Galileo Galilei illustrando i risultati delle sue osservazioni, pone fine alle numerose “sterili dispute” filosofico-scientifiche delle epoche precedenti circa la natura della Via Lattea, affermando che essa non è che “un ammasso di innumerevoli stelle”.

Oggi sappiamo che la nostra Galassia (come tutte le galassie del cosmo) è un sistema costituito da un agglomerato di migliardi stelle e polveri interstellari molto dense e così lontane da noi che alla nostra vista appare nei cieli notturni come una striscia lattiginosa indistinta (nei luoghi ancora non raggiunti dall’inquinamento luminoso).

Tutte le stelle che vediamo in cielo appartengono alla Via Lattea con le quali poi l’Uomo, unendo tra loro alcune stelle come in un gioco della Settimana Enigmistica, ha creato le figure geometriche che costituiscono le costellazioni.

Noi non siamo in grado di vederla nella sua interezza, perché siamo all’interno di essa . Secondo gli studiosi essa è una galassia a spirale “simile” a tante altre sparse nel cosmo. A suggerirlo è il risultato di un nuova ricerca che ha permesso di rilevare una galassia strutturalmente molto simile alla Via Lattea (https://www.media.inaf.it/2021/05/28/la-via-lattea-ne-unica-ne-rara/)

Oggi a causa dell’inquinamento luminoso, più di un terzo della popolazione mondiale non riesce più a osservare la Via Lattea di notte, e in alcuni casi deve spostarsi per centinaia di chilometri prima di potere raggiungere un punto in cui è nuovamente visibile.
Secondo gli astronomi l’impossibilità di vedere la Via Lattea a occhio nudo è una grave perdita per tutti e così scrive l’astrofisica Patrizia Caraveo: “Si chiama inquinamento luminoso ed è, al tempo stesso, uno spreco economico e un danno estetico perché, illuminando male la notte, spegniamo le stelle e perdiamo uno degli spettacoli più emozionanti che la natura ci offre”.

Dopo il brutto periodo della pandemia, il verso di Dante “e quindi uscimmo a riveder le stelle” diventa un messaggio universale di speranza, di un nuovo cammino verso la luce.

Sono questi i versi che medici e infermieri dell’ospedale di Santa Maria Nuova di Firenze hanno letto il 25 marzo scorso, giorno celebrativo del Dantedì.
Un messaggio che va oltre la speranza e suona come importante promessa

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