Anche gli italiani amano l’Alto Adige

Ringraziamo il signor Roberto Bressanin per la sua riflessione che pubblichiamo con piacere.

La Redazione

Un anno di leva a Bruneck nel 1982, a fianco di molti compagni tirolesi mi ha permesso di conoscere lo spirito di appartenenza di popolazione alla propria terra come non avevo mai incontrato. Sono stato per taluni uno scheisse spaghetti come per altri un ospite trattato da re a casa loro. Ma ogni volta il concetto mi è arrivato diretto, chiaro e netto, mai con le dietrologie e le doppie facce di cui erano abili molti vicini di casa mia.
In libera uscita una sera gustavo una grappa in un bar di Toblach, ed un signore molto anziano mi chiese il permesso di sedersi accanto a me per scambiare con me due parole (l’unica volta capitata in vita mia). Mi venne la curiosità di chiedergli: “Lei si sente più italiano o tedesco?” e mi rispose “Come me, qui può incontrare molti il cui padre è nato austriaco ed è dovuto morire italiano”. Avrei voluto di colpo potergli parlare in tedesco, ma ho potuto solo sentir crescere dentro un profondo senso di rispetto, ed essergli stato grato per il fatto di avermi aperto gli occhi con una semplice frase e per avermi strappato da quel marasma di italica ignoranza e pressapochismo, che alimenta la presunzione di pretendere il dialogo in italiano e di biasimare chi fatica a farlo col suo forte accento tirolese. Peccato che in Sicilia o in Sardegna gli accenti sono sempre accolti con simpatia, e che nessuno si oppone ad un veneziano che ti parla solo nel suo dialetto spesso poco comprensibile… anzi, diverte.
Così sono sempre tornato da turista, ma in punta di piedi, bussando e chiedendo il permesso di entrare in uno scrigno fatto di bellezza paesaggistica, quella che sui prati e i boschi mostra la mano di chi li ama e li cura senza risparmi sul lavoro che da secoli questo richiede, uno scrigno fatto di cultura da leggere sulle case e i masi, fatto di una storia travagliata che oggi consegna un esempio di una comunità capace di affrontare le difficoltà di questa era difficile, senza piagnistei, senza trucchi, senza elemosinare, senza depredare e offendere la sua stessa terra. Percorrendo le valli ed i paesi tutto concorre a trasmettere questa sensazione di forza intrinseca, di identità ben cementata; ma percepisco solo un elemento che stride e contribuisce a sfregiare tutto questo: le tracce della voluta italianizzazione fascista stampate sui cartelli, sulle vie, sembra quasi irridente e presuntuosa, comunque così banale, brutta, stonata, ignorante e volgare; persino infantile in tragici tentativi di cercare delle assonanze con i duri ma musicali nomi tirolesi. E più ancora stride quella sensazione che al popolo (pare) che poco importa, che dimesso sembra accettare questo sgarbo e di convivere solo con delle scritte pur sempre estranee. Mi chiedo se è una visione tutta mia o se invece i sudtirolesi vogliono e possono alzare il capo e chiedere con la stessa forza di identità usata e dimostrata per plasmare la propria terra, di sanare questa ferita. Perché è una ferita.
Vorrei tornare a Brunico la prossima volta e leggere sul cartello BRUNECK (Brunico), il minimo dovuto ai suoi abitanti, ma in fondo anche a chi comunque solo come Brunico la conosce, e per sancire anche che il Südtirol è l’esempio più chiaro di terra – ponte fra nord e sud Europa. E come tale fruire della enorme opportunità di essere a pieno titolo TIROLO pur nei confini italiani, come il Tirol e l’Osttirol lo sono in Austria.

Roberto Bressanin

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