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Trash e kitsch

3 Luglio 2020

Trash e kitsch

Su questi termini vi è confusione: vengono usati come sinonimi o in modo improprio. Cerchiamo allora di mettere un po’ d’ordine. Il termine trash si origina dall’inglese “immondizia, od anche rifiuti, spazzatura” (ma si usa anche “garbage”). Si parla di “cultura trash” per indicare delle espressioni artistiche di vario genere od anche forme di comunicazione di cattivo gusto, volgari, povere di contenuti. Appare subito evidente però che le definizioni non sono in grado di limitare i contorni e quindi la valutazione è molto soggettiva; richiede inoltre la valutazione di più aspetti.
A complicarla ulteriormente si aggiunge che il trash può originarsi anche da un autocompiacimento degli autori quando una produzione di qualsiasi titolo (letterario, cinematografico, televisivo, ecc.) utilizza questa modalità per fare sensazione, generare curiosità ed attirare il pubblico con proposte scadenti esibite come provocazioni. Un esempio per tutti di scelte consapevoli di uso del trash sono le trasmissioni che fomentano liti televisive mascherate da dibattiti. La maleducazione, l’insulto, la rissa diventano allora motivi di richiamo e gli autori sembrano compiacersi della esibizione trash.
Quindi il trash è una sorta di sottocultura ed  un elemento forte e caratterizzante gli anni recenti della comunicazione di massa. Purtroppo il fenomeno sembra estendersi ed anche i social network sono diventati terreno fertile per queste modalità.
Il kitsch è spesso associato ad imitazioni d’arte che tendono a fare presa su elementi scontati e pletorici. Un carattere costante è la assenza di qualcuno dei caratteri delle opere artistiche come originalità, creatività, coerenza. Il kitsch è spesso una imitazione  superficiale. Una definizione generica adottata nell’architettura e nel design indica come kitsch qualsiasi oggetto la cui forma non derivi dalla funzione, ma è una visione razionalista e funzionalista non sempre accettabile.
I termini trash e kitsch (più datato e consolidato il secondo) sono spesso sinonimi e possono essere attributi a molte espressioni contemporanee, dagli oggetti d’uso alla architettura. Secondo la definizione storica il kitsch consisterebbe prevalentemente nella imitazione priva di creatività, stucchevole, superficiale, esteticamente povera o anche contradditoria. Naturalmente si tratta di definizioni che rimangono per certi versi sempre vaghe. Secondo una prima definizione del design ciò che viene meno alla funzionalità ricercando solo una parvenza estetica, quello che sarebbe definito lo stilismo, sarebbe kitsch. E’ anche quello che Bruno Munari chiamava “antidesign” od oggi “stilismo”.
In una celebre “Enciclopedia del cattivo gusto” sono riportati alcuni oggetti noti come esempi di kitsch: molti souvenir (la gondola di venezia, la basilica di San Pietro o il Duomo di Milano fermacarte). Ed ancora peggio un artigianato locale che mescola stilemi vari in modo eclettico come la cartolina con le montagne circondate da pigne e cortecce. Una pipa fatta a carro o un carro fatto a pipa, tipici esempi citati da Munari. Famosa la oggettistica dei regimi nazista e fascista che riproduceva sulle suppellettili simboli come la croce uncinata o il fascio.
Ma quale è stato il propulsore del kitsch ? Io direi essenzialmente il consumismo perchè esso ha creato i presupposti e la domanda per la creazione del kitsch. Da noi in provincia di Bolzano il kitsch si è manifestato in modo pervasivo nello stile tirolese moderno con il quale sono realizzati garnì, ristoranti, malghe di montagna. Si tratta di una ripetizione, direi anche di una celebrazione, degli stilemi principali che possono interessare un pubblico di turisti attratti da un presuno ed ipotetico vivere a contatto con la natura e la storia contadina. Quindi l’utilizzo massiccio del legno, le bosierie a rilievo delle stube, l’imitazione di elementi architettonici e di arredo della tradizione riproposti in chiave modernista. Per questo possiamo parlare di kitsch tirolese. Fate caso che non c’è sala di bar o ristorante tirolese che non presenti un controsoffitto in legno intagliato che occulta l’impianto di condizionamento.
Nel kitsch si ritrovano così gli aspetti deteriori e conformistici delle tradizioni popolari e del folklore filtrati dalle aspirazioni estetiche più retrive; frequente il mito pacchiano della bellezza mutuato dalle immagini pubblicitarie e televisive; il piacere dell’ostentazione volgare e l’ammiccamento ai desideri ed alle fantasie del pubblico. L’apparente volontà di diffusione di massa dei fatti artistici si risolve così in un imbarbarimento del gusto che investe non solo le arti, ma tutte le forme del comportamento ed espressive.
Il kitsch porta quindi con sé una connotazione fortemente sentimentale. Milan Kundera in ”L’insostenibile leggerezza dell’essere” scrive: “Nel regno del Kitsch impera la dittatura del cuore. I sentimenti suscitati dal Kitsch devono essere, ovviamente, tali da poter essere condivisi da una grande quantità di persone. Per questo il Kitsch non può dipendere da una situazione insolita, ma è collegato invece alle immagini fondamentali che le persone hanno inculcate nella memoria.…un mondo dove la merda è negata e dove tutti si comportano come se non esistesse. Questo ideale estetico che si chiama Kitsch è quindi ipocrita: esso elimina dal proprio campo visivo tutto ciò che nell’esistenza umana è essenzialmente inaccettabile”.
Citerei anche uno dei più importanti studiosi di estetica, Gillo Dorfles, nel suo noto “Le oscillazioni del gusto” che trattava l’argomento già 60 anni or sono. Tra gli esempi del kitsch cita i romanzi da quattro soldi, il paesaggino dilettantesco, la canzonetta di moda. Cita anche una stratificazione del gusto e dei valori che è evidente nella cosiddetta mid-cult. Possiamo infatti pensare alle imitazioni americane dei capolavori europei (il Partenone, le ville palladiane, Venezia intera) imitate in una sorta di Dysneyland permanente. Dorfles conclude riconducendo il fenomeno del kitsch-trash all’enorme incremento nella produzione artistica dell’ultimo secolo ed al fatto che la stratificazione artistica non coincide più con l’allineamento delle classi sociali.