Pubblicate le nuove raccomandazioni per la sindrome da sospensione

I medici d’emergenza di Eurac Research hanno svolto esperimenti con 20 climber.

L’imbrago salva la vita di alpinisti, addetti alla pulizia dei vetri dei palazzi e muratori sui ponteggi. Tuttavia se a seguito di una caduta la persona rimane appesa alla corda può subentrare la sindrome da sospensione. Le vittime svengono e nei casi più gravi muoiono. Uno studio degli esperti di medicina d’emergenza di Eurac Research ha provato che questa sindrome è dovuta a un meccanismo vasovagale e dà delle raccomandazioni per scongiurarla. I risultati sono stati pubblicati recentemente sulle riviste “European Journal of Applied Physiology” e “Wilderness & Environmental Medicine”.

A partire dagli anni settanta la comunità medica ha iniziato a studiare alcuni casi riportati dalla stampa: i soccorritori non capivano come mai alpinisti che cadevano e rimanevano appesi alla corda morissero improvvisamente anche se non avevano riportato traumi significativi.
Per capire come funziona la sindrome da sospensione gli studiosi di medicina d’emergenza di Eurac Research hanno effettuato un esperimento con 20 climber. Li hanno sospesi per un massimo di 60 minuti sia dopo aver arrampicato sia a riposo. I test si sono svolti in collaborazione con il Soccorso Alpino dell’Alpenverein Südtirol (AVS) e con l’Università medica di Innsbruck nella sede della Scuola provinciale antincendi di Vilpiano. I medici hanno svolto vari monitoraggi sul sistema cardiocircolatorio e nel 30 per cento dei casi hanno osservato i segnali di una presincope.
“Abbiamo verificato che le vene delle gambe si dilatano e vi si accumula sangue”, spiega Simon Rauch, medico rianimatore e responsabile dello studio. “A differenza di quanto si credeva questo accumulo non porta a uno shock ipovolemico, cioè lo shock che si verifica quando c’è meno sangue nella parte superiore del corpo e il cuore pompa più velocemente e ‘a vuoto’, fino a crollare. Abbiamo osservato che invece il cuore lavora in modo regolare fino al crollo improvviso. Siamo quindi giunti alla conclusione che si tratti di un riflesso del nervo vago, lo stesso che fa svenire i soldati che rimangono a lungo immobili durante i turni di guardia”. Uno svenimento all’apparenza banale che può però avere risvolti tragici se la vittima si trova in posizione verticale o inarcata sulla schiena, come succede a chi è appeso a un imbrago: il sangue non riesce a rifluire al cervello e può subentrare un arresto cardiaco.
“La crisi si scatena all’improvviso senza segnali premonitori”, spiega Rauch. ”Per questo i soccorritori devono essere veloci a staccare alpinisti o operai, anche se sembrano in forma”. Tra le altre raccomandazioni i ricercatori suggeriscono di distendere le vittime in posizione orizzontale, e non semiseduta, per favorire l’afflusso di sangue al cervello. In attesa dei soccorsi, raccomandano di muovere quanto più possibile le gambe. “Non ci è chiaro il meccanismo che governa questo meccanismo vasovagale, ma alleviando l’accumulo di sangue venoso nelle gambe crediamo si possa ritardare la crisi”, precisa Rauch.

L’articolo scientifico si può consultare gratuitamente: https://doi.org/10.1007/s00421-019-04126-5

Foto/c-Eurac Research/Simon Rauch.  

 

 

 

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