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Sindacati in piazza: va superata la sindrome del giorno dopo5 min read

12 Aprile 2019 4 min read

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Sindacati in piazza: va superata la sindrome del giorno dopo5 min read

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La manifestazione (riuscita) che ha portato in piazza Magnago (presso Bolzano) il comparto pubblico tutto (dalla scuola agli amministrativi fino alla sanità ed al servizio strade) non deve trasformarsi in una sorta di Pearl Harbor. Nel 1941 in giapponesi s’ illusero d’aver messo in ginocchio gli Usa, senza rendersi conto che il seme della loro sconfitta fosse germinato nella travolgente vittoria di quel lontano dicembre. La pancia va in piazza, il cervello alle contrattazioni. Infatti è alla pancia che la parte pubblica si rivolge nel comunicato in risposta alla manifestazione, che può essere sintetizzato brutalmente tramite in una frase: “possiamo ricollocare una certa somma che però va sottratta ad altri settori, quali?”. La domanda è retorica e pericolosissima, si completa con una coda delicata quanto fondamentale: “forse bisogna sottrarli agli assegni di cura?” Il dado è tratto. Il guanto di sfida ai sindacati (uniti per ora) è gettato e la responsabilità da qui in poi enorme. Esiste una realtà oggettiva: il bilancio di fine anno sarà inferiore di 70 milioni rispetto ad i precedenti. Il dato è a conoscenza di tutti e verrà sbandierato ad ogni incontro futuro. Dal 2009 però il personale provinciale è praticamente invariato al fronte di servizi erogati in aumento. La parte pubblica sviluppa un ragionamento “generale” che rischia di mettere in crisi l’unione d’intenti della parte sindacale. Esiste forse un settore sacrificabile o che può aspettare? Assolutamente no, ma il rovesciamento della medaglia prospettato nel comunicato punta ad un sottile “dividi et impera”. I settori più corposi sono quelli più appetibili, s’accontentano più persone a costi relativamente contenuti e si vanno a “salvare” eventuali tagli di welfare, l’opinione pubblica esploderebbe insieme alle categorie private se la questione andasse in una direzione del genere, comprensibile ovviamente. Da evitare. La strategia è chiara ed è su questo che la parte sindacale non deve mollare: gli adeguamenti stipendiali e di diritti devono essere settoriali ma proporzionalmente equi. Creare una sorta di fondo di stanziamento ed iniziare un percorso che porti risorse “ove ve ne fosse più bisogno” rischia di trasformare il tutto in una Via Crucis. La differenza con le relazioni industriali è che la parte pubblica non può agire come Marchionne, ovvero uscire (da Federmeccanica in quel caso, quindi dal CCNL Unitario) dal contratto collettivo e rientrare con una new company in grado d’ applicare un contratto nuovo di zecca, di fatto mettendo in angolo le sigle sindacali. In quel caso lo scollamento fu tra FIOM ed altre sigle (che poi firmarono) e soprattutto tra CGIL e FIOM che diedero vita ad una spaccatura all’interno del sindacato italiano per antonomasia. Il guaio fu che i lavoratori (come già accadde negli anni’ 80) seguirono l’azienda e tradirono i buoni (ma forse a tratti ingenui) intenti del segretario Landini (oggi segr. Gen. Cgil). Nel nostro caso specifico invece, visti i numeri di sindacalizzazione non bulgari, la parte pubblica tenta (per logica) una spaccatura tra fronte sindacale e base, oltre che tra sigle. La delegazione di contrattazione dovrà portare avanti un lavoro collettivo ma coinvolgendo la base (allo stremo, dal 2009 in “blocco” praticamente, omettendo gli obiettivi di sigla. In questo delicato contesto un sindacato territoriale potrebbe esser in una posizione privilegiata e farsi tentare, a quel punto a fronte infranto ogni sigla perseguirebbe il proprio obiettivo, in base alla forza della categoria nella propria confederazione di riferimento. Una piattaforma d’intenti andrebbe creata al più presto con tanto di protocollo programmatico: in pratica la delegazione (in questo caso per questioni strategiche la meno folta possibile) dovrebbe presentarsi con inderogabili punti ed obiettivi da raggiungere. L’iter per la creazione della piattaforma dovrebbero avere in linea teorica uno od al massimo due rappresentanti (è provato gli accordi arrivino prima e meglio tra pochi e preparati interlocutori), dopo l’iter di costruzione dell’intervento, dovrebbero cercare di portare a casa i punti concordati in precedenza tra tutte le sigle in campo. Un fronte compatto e poco numeroso risulterebbe più chiaro alla base, oggi non completamente in scia. La quaestio non è rappresentata dai milioni in ballo, ma da una contrattazione che va messa su binari moderni, quindi va portata dalla pancia al cervello. Va superata quindi “la sindrome del giorno dopo”, ovvero quella pratica di ragionamento che porta, dopo le manifestazioni, ad un momento di stallo, che se non gestito scolla la base. Nel passato recente è capitato parecchie volte: le iniziative contro l’art. 18 e la Fornero in piazza non si tradussero in risultati concreti e da classica arma a doppio taglio portarono al sindacato sfiducia quasi ai massimi. Da quella sfiducia bisogna ripartire, veicolarla in contrattazione, far comprendere l’importanza della partecipazione di base. Ricordiamo che la manifestazione non è stato uno sciopero (vera prova di forza sindacale, oggi delicata) e che deve raggiungere in tempi brevi dei tangibili risultati. Il dirigente sindacale moderno deve saper usare il microfono in pubblico quanto la dialettica in contrattazione, oltre che lavorare quotidianamente per recuperare credibilità sindacale e svincolarsi dalla protesta folcloristica che spesso è fatua. La complessità della società liquida (e dei social) trasforma il consenso in dissenso e viceversa, la fiducia in sfiducia nel giro di pochissimo tempo, quindi l’azione sindacale deve essere profonda, concreta (proposte suffragate da dati), lontana da slogan e non politica. Non è più tempo d’ alternative, tavoli di riflessione e filosofia spiccia: serve azione seria e ponderata, il sindacato in questo caso si gioca tutto, anche la residua credibilità e deve essere consapevole di partire in svantaggio, in caso di sconfitta questa volta si rischia la perdita completa di peso specifico. Una dramma che verrà capito tra qualche anno e che genererà percorsi al buio, che si tradurranno in diritti al lumicino e retribuzioni lumaca. Il sindacato è un corpo intermedio tra potere e base, l’individuo senza rappresentanza è solo e fragile, privo di forza soccombe nella propria individualità, che per definizione non porta a ragionare con lungimiranza.

Giornalista pubblicista, originario di Bolzano si occupa di economia, esteri, politica locale e nazionale