Politicamente corretto: dittatura del pensiero?

Partiamo dalla bizzarria: negli Usa Ovidio è stato bandito dalle università perché offensivo e violento. Oggi dopo 1968 e relativa ribellione dei baby boomers, fine della guerra fredda ed imperante globalizzazione (anche del pensiero…) l’Occidente sempre più relativista e scettico è spezzato in due: da una parte il popolo, dall’altra tutto l’apparato culturale ed economico. Quelli che un tempo erano fieramente anticonformisti, ovvero artisti, intellettuali, giornalisti oggi paiono spesso molto conformi (al pensiero politicamente corretto). Vietato pensare a volte, ipocrisia spesso allo stato puro e “mente unica” che “sa”, “educa”, “corregge” ed in caso “elimina con la censura”. Il paradigma d’approccio cavalca antiche tecniche, dal benaltrismo più becero alla deliberata e pubblica delegittimazione d’ interlocutori non conformi al “pensiero comune”. La retorica che diventa morale, veicolata da eserciti di presunti “efori della verità”, somiglianti a veri Torquemada da media o social. Chi “pecca” viene escluso, dopo un processo distruttivo. Gogne mediatiche, fake news, veri e propri assalti alla diversità di pensiero o critica. Gli efori sono cultori della dottrina: la pretesa di rappresentare la parte buona, vera ed universalmente riconosciuta della migliore società. Il popolo è ben accetto, a patto s’adegui. Il singolo pensante è invece da dileggiare, bollato come “sovversivo”. Il socialismo della diversità, ovvero l’applicazione d’ eguali diritti e l’accettare bene o male le idee altrui (cardine del pensiero libero) è sostituito da una dittatura dell’uguaglianza standard, grottesca e spesso folle. Possiamo parlare di “catechismo civile” (Capozzi- Politicamente corretto, storia di un’ideologia). Le ideologie sono ormai rifiutate dall’Occidente che però censura e giudica ideologicamente, barricandosi nella presunta “correttezza universale”. Ideologia bizzarra, che fa d’ogni desiderio un diritto (sempre Capozzi che descrive l’Homo Gaudens) e che porta a estremismi particolari, spesso camuffati con l’ecologia più angolare: l’uomo non serve, è un corollario (dannoso) d’una Terra che non lo sopporta più. Ora, pur riconoscendo al genere umano immani difetti, portare avanti una negazione d’uomo da parte dell’uomo stesso è particolare. La guerra all’identità (culturale in primis) fa parte del progetto un po’ folle del globalismo del pensiero che passa inevitabilmente da concetto dogmatico di politicamente corretto. Portare all’ennesima potenza i desideri, avere un rapporto privilegiato con chi comanda, disintegrando i corpi intermedi, applica il paradigma di Orwell alla lettera: essere umani soli, individualisti ma tremendamente standard, senza possibilità d’uscita dalla gabbia senza sbarre del pensiero che li avvolge ed asseconda. La società piatta ove vige il patto supremo con potere: tanti fratelli e sorelle, tutti uguali, con parabole uguali e dove le variabili (i pensieri divergenti) sono eliminate senza pietà. Asimov teorizzò una tecnologia che prevedesse il futuro delle masse umane, matematicamente infallibile (ma possono gli algoritmi tenere a freno la mente umana e soprattutto comprenderla?) la teoria naufragò a causa di una variabile non prevista: il comportamento non previsto di un singolo influenzò la massa. Oggi i social, con le più svariate scuse, censurano comportamenti che ufficialmente sono quindi sommersi. In realtà la mente ed il pensiero non si possono censurare, la teoria del pensiero unico e bello, universale quanto liberticida è destinato ad essere sconfitto. Il rischio? Una deriva altrettanto poco libera, ma unica arma di “massa”. In Italia un qualcosa di molto simile accadde tra il 1919 ed il 1922, anche in quel caso le classi liberali sottovalutarono il distacco tra loro ed il popolo, considerato ignorante, ingrato e da “educare”. Popolo che aveva combattuto, che si era sacrificato per il paese e che si precipitò da chi disse d’ascoltarlo e comprenderlo. La Germania fece la stessa fine, con percorsi diversi anche la Russia. Totalitarismi che combattono altri totalitarismi. Oggi il popolo, come cento anni addietro, si reca da chi lo ascolta, forse val la pena fermarsi, ascoltare e comprendere le istanze delle persone comuni, lo richiede il vero pensiero libero.

Marco P.

Giornalista pubblicista, originario di Bolzano si occupa di economia, esteri, politica locale e nazionale

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