Dalle “bande” “baby gang” in un allarmante silenzio educativo

La parola a Giuseppe Maiolo, psicoanalista, docente di psicologia delle età della vita, Università di Trento

Un tempo le chiamavano “bande” quelle aggregazioni di ragazzini che combinavano guai o sfidavano le regole e i divieti dei grandi. E in genere si trattava di adolescenti che con il gruppo di riferimento facevano scorribande nei quartieri, spaventavano i pari o terrorizzavano gli adulti. Niente al confronto di quelle di oggi che accoltellano, feriscono, uccidono senza alcun motivo. Del resto ora le definiamo “baby gang”  e sono gruppi di minori violenti che rasentano la criminalità organizzata.
Per fortuna ciò che sta accadendo a Napoli, pur essendo grave e allarmante, non è ancora somigliante a certe realtà americane o sudamericane di criminalità minorile. Da noi in Italia il fenomeno è più espressione di un diffuso bullismo e sta interessando bambini e adolescenti che, oggi come oggi, vengono esposti sempre di più a una cultura della violenza e inseriti in una realtà di rapporti fortemente conflittuali.
Si tratta spesso di bambini e adolescenti abbandonati a se stessi che sperimentano assenza di normatività e vuoti incolmabili di autorità educativa che è una funzione necessaria a chi deve diventare adulto e autonomo. Ragazzini che non hanno il senso del limite né strumenti di autocontrollo perché nessuno glieli ha forniti.  Bulli che non sanno distinguere tra bene e male, a cui manca l’idea di responsabilità e che per lo più sono analfabeti da un punto di vista emozionale e incapaci di empatizzare con gli altri. In prevalenza sono teenager annoiati che cercano di ingannare il tempo con azioni provocatorie e offensive, che usano  armi e coltelli per gioco o divertimento. Non necessariamente provengono da realtà degradate o da famiglie problematiche. Sono assai spesso figli di genitori qualunque, educati con carenza di regole e cresciuti con dosi massicce di permissivismo e indifferenza.
Le vicende napoletane, gravissime, però mettono in evidenza un ulteriore elemento di grande significato: la condizione giovanile sta diventando allarmante perché nel terzo millennio stiamo crescendo le nuove generazioni con grandi quantità di gratificazioni e consensi e, soprattutto, con un assurdo silenzio educativo. L’omertà, che caratterizza i fatti che stiamo leggendo e copre le responsabilità dei protagonisti della violenza, è certamente espressione di un ambiente malavitoso, ma potrebbe essere anche la rappresentazione estrema del vuoto dei modelli educativi e delle carenze di una comunità non più educante che, priva di autorevolezza, è ogni giorno di più incapace di intervenire, controllare e presidiare il processo di crescita dei minori.

Foto, Giuseppe Maiolo

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