Alto Adige. “Molti piangono gli ebrei morti, ma non accettano quelli vivi”

Per la giornata della memoria riceviamo un comunicato della Comunità Ebraica di Merano in cui si ricorda si appello alla memoria per non dimenticare gli errori del passato e non ripeterli nuovamente. Pubblichiamo volentieri quanto ci perviene dalla Comunità Ebraica meranese e partecipiamo con solidarietà alla giornata della memoria.

Eccoci qui davanti ai muri del campo di concentramento di Bolzano e del sottocampo di Merano . Muri grigi, compatti.

Siamo cambiati nel corso degli anni, è cambiato quello che oggi c’è dietro a questi muri ed è cambiata la nostra capacità di immaginare cosa è avvenuto qui.

Noi non siamo in grado di immaginare le grida di terrore di Alexander Loew Cadonna mentre il suo aguzzino gli tiene la testa schiacciata per terra. La testa di un uomo anziano piagata e sporca, con ferite doloranti procurate dalle pesanti chiavi di metallo che regolarmente ogni mattina il suo aguzzino gli sbatteva in testa. Noi non sentiamo l’afrore del suo corpo scosso dal dolore. Noi non immaginiamo i suoi pensieri mentre viene minacciato dalla ruota di un carro che rischia di stritolargli lentamente la testa.

Noi non ascoltiamo il grido muto di disperazione della mamma del rabbino Giuseppe Laras (rabbino capo di Milano per 25 anni) transitata per il campo di concentramento di Bolzano. La donna era stata denunciata dalla portinaia del suo stabile a Torino. Per salvare il figlio , che allora aveva solo nove anni , aveva consegnato 30.000 Lire ai militi fascisti che stavano per deportarla. Noi non comprendiamo la  preoccupazione per suo figlio, che all’ultimo momento, mentre il milite fascista lo teneva ben stretto, si era liberato con un violento strattone  mentre la guardava per l’ultima volta. Lei non poteva sapere se era riuscito a scappare e dove fosse. Non sapeva che Giuseppe non avrebbe parlato per mesi interi dopo quell’ultimo loro momento insieme.
Rav Laras è morto pochi mesi fa e nel suo ultimo messaggio ricorda così quel periodo e sua madre: “Era bella mia madre, era la mia mamma. Era bella la nostra famiglia. Era bella la fanciullezza. Il 2 ottobre del 1944, a nove anni, persi tutto questo. Fu una perdita irreversibile. Ancora oggi , quando sono molto agitato o sotto pressione , mi capita ancora, mentre dormo, di sentire bussare forte alla porta e svegliarmi di soprassalto”.

Noi siamo qui , davanti a questi muri, ammantati nei nostri ruoli, fieri dei nostri successi e delle nostre carriere e non comprendiamo niente di tutto ciò. Noi non siamo redenti dalla Shoah perché ci guardiamo bene dall’aver finalmente compreso quanto il razzismo alla sua base sia mortale per noi esseri umani.

Noi non siamo capaci ancora oggi di accettare umilmente nessuna lezione. NOI NON IMPARIAMO.

Oggi piangiamo per i morti, andiamo nei cimiteri, con bandiere e labari sicuri di onorare giustamente delle vittime innocenti e sicuramente lo facciamo anche sinceramente.

Ma nelle strade d’Europa e in Italia vediamo vecchi e nuovi fascismi, vecchi e nuovi antisemiti, nascosti sotto il falso nome di antisionisti, marciare al grido di “morte agli ebrei” nell’indifferenza assoluta dei governanti, della politica, delle bandiere e dei simboli. Non abbiamo imparato che dopo le urla e le minacce  qualcuno alzerà la mano e comincerà ad uccidere. NOI DIMENTICHIAMO.

Oggi in molti piangono gli ebrei morti ma molti non accettano quelli vivi, la lora vita, la loro fede, la loro lingua, la loro patria, il loro diritto ad esistere.

Noi ebrei parliamo tanto, discutiamo e litighiamo su tutto, ma abbiamo un modo semplice di definirci : AM ISRAEL CHAI , IL POPOLO DI ISRAELE VIVE.

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