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Peppino Impastato, una vita dedicata alla lotta contro la mafia

15 Gennaio 2017

Peppino Impastato, una vita dedicata alla lotta contro la mafia

Le sue idee non moriranno mai.

Recentemente ho rivisto il film di Marco Tullio Giordana “I cento passi”. Un film dedicato alla vita e all’omicidio di Peppino Impastato, impegnato nella lotta alla mafia nella sua terra, la Sicilia. Il titolo non è scelto a caso, ma prende il nome dal numero di passi che occorre fare a Cinisi (un comune di 12.200 abitanti della città metropolitana di Palermo) per colmare la distanza tra la casa della famiglia Impastato e quella del boss mafioso Gaetano Badalamenti, soprannominato don Tano e morto nel 2004 nel centro medico federale del penitenziario di Devens nel Massachusetts.

Giuseppe, conosciuto come Peppino Impastato nasce nella piccola Cinisi nell’anno dell’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana, appena tre anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale da una famiglia mafiosa. Suo padre Luigi durante il Fascismo era stato inviato al confino. Lo zio di Peppino, il cognato del padre, Cesare Manzella era il capomafia e fu ucciso nel 1963. Si trattò del primo attentato con un’autobomba nella storia della mafia. Un episodio che segnerà la vita di Peppino che molto presto rompe i rapporti con il padre per opporsi attivamente contro la mafia e la famiglia. Durissima la reazione del padre che lo caccia di casa, ma Peppino convinto delle sue idee nel 1965 fonda il giornalino L’idea socialista e aderisce al Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria. Successivamente partecipa alle attività dei gruppi comunisti in qualità di dirigente e conduce le lotte dei contadini espropriati per la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Palermo in territorio di Cinisi, degli edili e dei disoccupati. Pieno di fiducia e convinto delle sue azioni, nel 1976 costituisce il gruppo Musica e cultura e fonda Radio Aut, una radio libera autofinanziata per denunciare i crimini e gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini, in particolare del boss Gaetano Badalamenti, denominato da Peppino il «Tano Seduto». La satira non piace ai potenti e non piace neanche ai mafiosi, tanto è vero che la trasmissione satirica Onda pazza a Mafiopoli, con cui Peppino sbeffeggiava mafiosi e politici, ha colpito in particolare Badalamenti, colui che ordinerà l’omicidio di Peppino Impastato poco tempo dopo la nascita della radio. Nel 1978 Peppino sfida con ancora più determinazione i mafiosi di casa sua e si candida nella lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali di Cinisi, ma nel corso della campagna elettorale, tra l’8 e il 9 maggio, viene assassinato brutalmente. Gli uomini di Badalamenti per far sembrare la morte di Peppino un suicidio, pongono il suo cadavere sui binari della ferrovia con una carica di tritolo sotto il corpo. Gli elettori di Cinisi però lo voteranno lo stesso, riuscendo ad eleggerlo simbolicamente al Consiglio Comunale. Purtroppo dopo la morte di Impastato la stampa, le forze dell’ordine e anche la magistratura parlarono di atto terroristico in cui l’attentatore sarebbe rimasto vittima di suicidio. Gli inquirenti trovano una lettera di Peppino scritta molti mesi prima della morte. Inoltre, la stampa allora aveva ben altro su cui concentrarsi, considerando che in quelle stesse ore fu ritrovato il corpo senza vita del presidente Aldo Moro in Via Caetani a Roma. Ma grazie a chi fu individuato il vero assassino di Peppino? Grazie alla madre Felicia Bartolotta e al fratello Giovanni Impastato, nonché ai compagni di militanza e del Centro siciliano di documentazione di Palermo fondato nel 1977.

Un anno dopo la morte di Impastato il Centro siciliano di documentazione organizza, con Democrazia Proletaria, la prima manifestazione nazionale contro la mafia della storia d’Italia, a cui parteciparono 2000 persone provenienti da tutto il Paese. Sette anni dopo la morte di Peppino l’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, sulla base delle indicazioni del giudice Consigliere istruttore Rocco Chinnici, che aveva concepito ed avviato il lavoro del primo pool antimafia, poi assassinato nel luglio del 1983, emette una sentenza, firmata dal Consigliere Istruttore Antonino Caponnetto, sostituto di Chinnici dopo la sua morte, in cui si riconosce la matrice mafiosa del delitto Impastato, attribuito però ad ignoti. Un primo passo importante contro Gaetano Badalamenti, condannato nel 1987 a 45 anni di reclusione per traffico di droga dalla Corte di New York, nel processo alla Pizza connection, un’inchiesta giudiziaria sul traffico di droga condotta dal Federal Bureau of Investigation con il sostegno di Giovanni Falcone e Gioacchino Natoli. Dopo una comunicazione giudiziaria inviata al boss Badalamenti nel 1988 dal Tribunale di Palermo, nel maggio di quattro anni dopo lo stesso tribunale dispone l’archiviazione del caso Impastato, ribadendo la matrice mafiosa del crimine, escludendo la possibilità di individuare i responsabili, ipotizzando tuttavia la possibile responsabilità penale dei mafiosi di Cinisi alleati dei corleonesi. Grazie a interventi della madre di Impastato e petizioni popolari, nel 1996 in seguito alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Salvatore Palazzolo, in precedenza affiliato alla mafia di Cinisi, nel 1997 viene emesso un ordine di cattura contro Gaetano Badalamenti, incriminato come mandante del delitto Impastato. Finalmente, dopo anni di lotte ininterrotte di Felicia Bartolotta, del fratello Giovanni, del Centro Impastato, di Rifondazione comunista e del Comune di Cinisi, Gaetano Badalamenti finisce davanti alla Corte d’Assise di Palermo che lo riconosce colpevole e lo condanna all’ergastolo, dopo aver condannato a trent’anni Vito Palazzolo un anno prima. Peppino Impastato come altri ha avuto l’acume e il coraggio di lottare contro la mafia, ha dimostrato al mondo che non tutti i siciliani sono mafiosi e soprattutto ha chiarito che non si è mafiosi perché figli di mafiosi. Le sue idee non moriranno mai.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Giornalista pubblicista, scrittore.