Marcella Casagrande: non esiste perdono

Ero un bimbo che ancora non andava a scuola, ma nella mia mente rimase scolpito quel viso di ragazza adolescente, mi colpì quel maglioncino, molto simile a quelli che mi confezionava mia nonna. Mi rimase in testa quel viso sorridente, senza un vero perché. Stretta in un maglioncino forse simile in una giornata di vacanza dell’inizio di gennaio 1985 Marcella fu strappata alla sua famiglia, al suo essere ragazza in crescita. Rimane quella foto del giornale, di una ragazza sorridente, che non ha potuto viversi il resto della propria vita.

Arrivai all’età della ragione e per motivi casuali mi ritrovai in biblioteca, circa nel 1999, a leggere i giornali di quei giorni cupi del 1985. Riaffiorò quel viso dolce, di ragazza appena quindicenne, pura nei suoi sentimenti ancora fanciulleschi: Fu il fato avverso a farle incontrare il mostro. Un mostro travestito da ragazzo più grande, più interessante come vuole quel periodo della vita ove si vuol “esser considerati adulti”. Badate non si è ingenui, si è giovinette o giovinetti pieni di buoni propositi, propositi che tra pari finiscono in bacio o litigata. Quando invece entra in campo l’adescatore seriale, abile psicologicamente, pieno di maschere e specchi con l’obiettivo ben in vista è molto complesso per un fanciullo cavarsela (contando che ci cascano anche adulti, magari in momenti di debolezza, delusione od altro). Marcella purtroppo fu la prima vittima di un meccanismo perverso che fece di Bergamo un portatore di morte violenta. Bolzano ne fu terrorizzata. Il coltello la sua arma. La rapidità e la sorpresa dei fendenti. Il suo sentirti realizzato dopo l’atto, l’onnipotenza prima celata e poi esplosa sulle vittime. Quella onnipotenza che questi soggetti nella vita di tutti i giorni accarezzano soltanto. Spesso sono timidi, riservati, ingannano all’apparenza. La povera Marcella non ha avuto la possibilità di vivere la propria vita, è stata freddata, fermata nel momento forse più bello della vita. Le altre vittime medesima sorte. Il tema centrale del mostro è la donna. Donna vista come essere debole, eliminabile, sacrificabile. Ci sono poi le patologie, le attenuanti e tutte le belle quanto inutili parole del dopo, non esiste giustificazione plausibile, attenuanti varie o perdono. Perdonare è difficile, in questo caso mi è impossibile. La pena capitale per mia forma mentis non è da paese civile, non la contemplo nemmeno e credo nel recupero, ma in carcere per certi reati. Il recupero è per i “ladri di galline”, non per i serial killer. Credo sia doveroso rispettare la memoria di queste donne uccise da un mostro senza un vero motivo: Marcella Casagrande di anni 15, Annamaria Cipolletti di anni 40, Renate Rauch di anni 24, Renate Troger di anni 18, Marika Zorzi di anni 18. Marcella la più giovane, il simbolo di questa strage di donne, l’ambasciatrice involontaria della follia omicida di un mostro. Sono sincero, nel mio cuore per il perdono del mostro non c’è posto, ogni anno, nell’anniversario della morte di Marcella un pensiero va a queste donne, ai loro cari, alle cose, anche piccole, che in vita avevano fatto, particolari, ne sono convinto, che riecheggiano nei cuori di chi le conobbe.

Marco P.

Giornalista pubblicista, originario di Bolzano si occupa di economia, esteri, politica locale e nazionale

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Marco P.

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