Di Giuseppe Maiolo, Psicoanalista

Ogni giorno è un buon giorno per indignarsi! È lo slogan dell’Unicef per la Giornata mondiale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza che si celebra il 20 novembre. Credo si debba condividere. Anzi anch’io, come tanti altri che si occupano di abusi sui minori e di prevenzione, lo penso da anni. Perché fa indignare moltissimo la storia triste di una madre alla quale, dopo 5 anni di allontanamento dal figlio perché ritenuta maltrattante, viene riconosciuto che il “fatto non sussiste” e che suo figlio ha dovuto crescere senza il suo supporto.

Celebrare la giornata dei diritti del fanciullo è inutile se non proviamo a riflettere quanto i bambini siano ancora vittime che pagano direttamente alti costi derivanti dalla violenza degli adulti. Domandiamoci a che punto siamo con quei diritti dei bambini che l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato proprio il 20 novembre 1989. Se lo facciamo ci accorgiamo che, nonostante sia condivisa ampiamente l’importanza dei diritti dei piccoli, ancora oggi nel mondo e in Italia sono molti i minori sui quali gravano abusi e soprattutto negli ultimi tempi, maltrattamento psicologico.

Un’ allarmante conferma ci viene dal rapporto di organizzazioni come Terre des hommes e CISMAI che in un’indagine pilota del 2014 ha fotografano la realtà del nostro paese. Secondo il dossier “Indifesa”, sono quasi 100mila in Italia i bambini vittime di maltrattamenti e la metà è costituita da femmine”. Impressiona però non poco che da questa ricerca svolta sui servizi territoriali di 31 comuni italiani emerga come la trascuratezza materiale e affettiva sia la tipologia di abuso più elevata (52,7%) seguita dalla violenza assistita (16,6%) e dal maltrattamento psicologico (12,8%). Indignano allora questi dati perché ci dicono quanto ancora i bambini e gli adolescenti siano vittime dirette di adulti incapaci di prendersi cura di loro e di considerali degni di quei diritti fondamentali che vanno dal rispetto del loro corpo a quello della mente e della loro psiche.

Troppo spesso, purtroppo, il palcoscenico dove si compiono le maggiori violenze è quello della famiglia dove carenza e povertà di relazioni autentiche e positive generano maltrattamento, dove la conflittualità elevata delle separazioni infligge ai minori sofferenze profonde e ferite difficili da sanare.  Se, come si calcola, la violenza sui bambini è cresciuta di circa il 56%, forse dobbiamo domandarci quanta prevenzione stiamo facendo con gli adulti e quali risorse stiamo mettendo in campo per dare strumenti ai minori per riconoscere le situazioni a rischio e per loro pericolose.

Perché se è vero che deve svilupparsi la rete positiva di una società capace di non offendere ma anche di proteggere e difendere i diritti dei minori, è altrettanto necessario riconoscere che il panorama della violenza sta cambiando profondamente. Se si sono ridotti gli abusi fisici diretti, sono in vertiginoso aumento le esperienze altrettanto traumatiche di violenza a cui li costringiamo e a cui li facciamo assistere, per l’incapacità di gestire i problemi di relazione.

E allora serve non solo registrare i danni che provocano questi e applicare norme specifiche a tutela di chi è più indifeso, ma urge soprattutto dare sostegno alla famiglia nelle sue funzioni educative e far crescere una genitorialità responsabile insieme a una comunità educante capace di strumenti di protezione. È urgente e doveroso, in un tempo di crisi come il nostro, puntare sulla prevenzione. Forse gli studi sui costi sociali che annualmente lo Stato italiano deve sostenere per i minori vittima di violenza e che ammontano a circa 13 miliardi di euro, ci debbono far dire quanto sia necessario investire in questa direzione.

In foto: “piccolo profugo siriano” di Claudio Calabrese

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