ESCLUSIVA. Paolo Romani (Fi) “il No alla riforma è preciso e nel merito. Forza Italia? A Stefano dico solo due cose…”

Referendum, manovra, Europa e società civile. “non sono un colonnello. sono un operaio della politica”

 “E’ una riforma complessa, fumosa. Sembra più un trattato costituzionale che una legge, che dovrebbe avere frasi brevi, chiare e facilmente comprensibili da tutti”

“La manovra… Già chiamarla manovra mi sembra una definizione troppo rilevante rispetto alla legge di stabilità: è una “manovretta”,

“siamo un partito che ha 22 anni di storia e non è tutto da buttar via. A parte i parlamentari e i dirigenti del partito, abbiamo sul territorio circa 6mila eletti per nome e conto di Forza Italia che sono la vera struttura, il vero scheletro portante di Forza Italia”

“Non sono così convinto che la società civile oggi possa dare un contributo al cambiamento della politica. Ha poca voglia di sperimentarsi”

“Colonnello? Proprio no, Mi sento un operaio della politica”

di Dario Tiengo – Paolo Romani ha vissuto tutto il percorso di Forza Italia fin dal 1994 quando è entrato nel Parlamento come deputato. Una lunga carriera a fianco di Silvio Berlusconi. Molti gli incarichi politici, tra cui spicca quello di Ministro per lo Sviluppo nel 2010. E’ presidente del Gruppo parlamentare alla Camera dei Deputati di Forza Italia. L’intervista che ha rilasciato in esclusiva a tribunapoliticaweb.it ha al centro il tema del prossimo referendum, ma si è parlato anche della manovra di Forza Italia e dell’operazione che vede Stefano Parisi come protagonista. Ecco le sue risposte.

Lei è parlamentare di lungo corso: 22 anni, varie cariche di governo e una grande esperienza di lavoro parlamentare. Oggi è Presidente del Gruppo parlamentare di Forza Italia al Senato. Che cosa pensa della riforma che voteremo il 4 dicembre con il referendum?

Questa riforma è stata inizialmente da noi condivisa e oggi ci vede votare no per alcune precise ragioni.

Tutto è iniziato con il patto del Nazareno. Cosa vi ha portato a dare indicazione per il no?

Con il patto del Nazareno, a partire dal gennaio 2014, s’era convenuto che avremmo partecipato a un percorso di riforma costituzionale. Abbiamo affrontato un anno faticoso e sofferto per la condivisione di questa riforma costituzionale. Nel frattempo partiva un’altra riforma, quella della legge elettorale. Arrivati al dunque, nel gennaio 2015, il patto del Nazareno conteneva sostanzialmente tre elementi: un percorso di riforma condivisa del nuovo assetto costituzionale, una nuova legge elettorale condivisa e un metodo condiviso per la scelta del Presidente della Repubblica, che era un elemento di garanzia per l’accordo stesso. Nel gennaio 2015 siamo stati obbligati, pur di mantenere fede alla riforma, a condividere uno strappo rispetto all’accordo iniziale sul premio di maggioranza alla lista – e non più alla coalizione – e, nel frattempo, è venuto meno anche il metodo condiviso per la scelta del Presidente della Repubblica

A quel punto si è rotto l’accordo …

Sì, a quel punto si è interrotto il percorso concordato e ovviamente anche tutto ciò che avevamo dovuto accettare. Un percorso condiviso significa condividere o accettare anche scelte e decisioni che altrimenti non si ammetterebbero.

Nel merito della riforma?

Per prima cosa, l’articolo 57 è un metodo pasticciato per la nomina dei senatori. Ci sono tre regole, fra loro inconciliabili. La prima, che i senatori devono essere rappresentativi dei consigli regionali e i consigli regionali sono regolati tutti da un premio di maggioranza. La seconda, che devono essere fatti in armonia con l’elezione dei consigli regionali, a cui è applicato il metodo proporzionale. La terza, che sono scelti – e questa è l’ultima aggiunta per la mediazione interna al Pd – in conformità alle scelte degli elettori. Tre regole fra loro in contrasto.

Il suo giudizio negativo tocca anche l’articolo 70 …

Esattamente. L’articolo 70 presenta una serie spaventosa di argomenti e di contenuti pasticciati. Il voto fiduciario riguarda solo la camera ma è talmente confuso che il meccanismo di produzione legislativa risulta compromesso. Moltissime materie rimangono di competenza anche del Senato, che in ogni caso ­con un terzo dei senatori – ha dieci giorni dall’approvazione alla Camera per richiedere una successiva lettura per il Senato. Sono solo due esempi ma potremmo aggiungere altro. E’ una riforma complessa, fumosa. Sembra più un trattato costituzionale che una legge, che dovrebbe avere frasi brevi, chiare e facilmente comprensibili da tutti.

Liberi dal patto del Nazareno è chiaro che si vota no. E’ questo il concetto?

No, non è così. Abbiamo collaborato e lo abbiamo fatto da protagonisti. Non rinnego nulla di quanto è stato fatto. Dico solo che, successivamente, la riforma è stata ulteriormente peggiorata, nei passaggi alla Camera ma anche nel percorso condiviso molte cose non sono state accettate. Noi proponevamo che il Senato – anche non più in presenza del bicameralismo paritario – venisse eletto, non nominato. Volevamo anche introdurre una riforma in senso presidenziale. Molte proposte fatte sono state respinte. Nel 2005 non arrivammo al presidenzialismo, ma a una forma di premieriato forte.

C’è chi sostiene che la vincita del sì sia d’ aiuto in Europa. Che ne pensa?

Renzi ha speso il fatto che quando va in Europa non può dire a quei tavoli: “Bene, abbiamo preso questa decisione, domattina è operativa”. Gli altri Paesi lo possono dire, lui no. Questo è falso, perché negli ultimi anni – proprio come parlamentare – ho potuto verificare che ormai la gran parte delle leggi viene fondamentalmente fatta in una Camera e formalizzata nell’altra e in tempi abbastanza ravvicinati. I tempi si sono fortemente accorciati. Certo, c’è un problema di rafforzamento del potere del premier ma, guarda caso, quella riforma, da noi proposta, non è stata fatta.

Visto che parliamo di Europa, parliamo anche della manovra…

La manovra… Già chiamarla manovra mi sembra una definizione troppo rilevante rispetto alla legge di stabilità: è una “manovretta”, perché più della metà annulla la clausola della salvaguardia e l’altra metà fa delle piccole operazioni. Non c’è nessuna aggressione al debito, non c’è nessuna riduzione delle tasse, non c’è nessuna concreta possibilità di capire come ci possa essere la spending review, la manovra per le entrate è fatta solo da un recupero di soldi dall’evasione e dal debito che viene incrementato dall’1,8 al 2,3. E’ una manovra molto semplice ma sostanzialmente inutile, che non cambia nulla dello sviluppo economico del nostro Paese.

Annoso problema quello della spending review. Uno Stato leggero deve passare dalla riduzione dei costi. In che modo?

Negli ultimi anni non abbiamo partecipato alla nomina dei commissari della spending review. Cottarelli, ai tempi del suo incarico, ha dato indicazioni precise ma, purtroppo, è come se non fosse mai passato da quelle parti. In secondo luogo, c’è da sottolineare che stiamo vivendo una stagione straordinaria per il costo del debito pubblico, che ora è molto basso. Questo periodo prima o poi finirà e i tassi torneranno a salire. Il fatto grave è che nessuno, in questi anni di vacche grasse (solo da questo punto di vista),si è peritato di studiare un qualsivoglia meccanismo di aggressione al debito. Si sono fatti tanti modelli, spesso ne abbiamo parlato con il Governo, ma siamo rimasti inascoltati.

Forza Italia sta vivendo un momento decisivo per riappropriarsi della leadership del Centrodestra. Quale è il suo giudizio sull’iniziativa di Stefano Parisi?

Penso che qualsiasi allargamento del Centrodestra sia positivo. Dico solamente due cose, molto serene, a Stefano, che è un amico da lungo tempo: la prima è che siamo un partito che ha 22 anni di storia e non è tutto da buttar via. A parte i parlamentari e i dirigenti del partito, abbiamo sul territorio circa 6mila eletti per nome e conto di Forza Italia che sono la vera struttura, il vero scheletro portante di Forza Italia. Rappresentano milioni di persone. In un partito, quando si vuole allargare l’area di influenza, non se ne butta via un pezzo. Si allarga aggiungendo.

Parisi dice che punta sulla società civile…

E’ la seconda cosa che volevo dire. Non sono così convinto che la società civile oggi possa dare un contributo al cambiamento della politica. Noi siamo tutti venuti dalla società civile, io per primo nel 1994. Ma che fatica abbiamo fatto per capire come funzionasse lo Stato e come si facessero le leggi! Non solo, l’impegno è stato enorme, anche per capire come migliorare e sviluppare il Paese. Ovviamente tutto questo passando per il Parlamento e dal Governo. Ci vuole esperienza che ritengo fondamentale qualsiasi sia l’età. Si può esser bravissimi da giovani e imbecilli da meno giovani e viceversa.

Non crede sia una scommessa vincente, quindi?

Il problema è che la società civile ha poca voglia di sperimentarsi, in secondo luogo non è detto che la società civile sia veramente in grado di farlo. Per avere successo bisogna fare tantissimo rodaggio.

La sua ricetta?

Allarghiamo il campo d’influenza, in questo il lavoro di Parisi è molto utile. Ma il punto rimane quello di riuscire a far capire che c’è una gran voglia di costruire un Centrodestra che abbia ancora maggior forza, rafforzando il Centro, rispetto alla Destra di Salvini e Meloni. Solo così si vincono le elezioni. Rimango convinto che il Centrodestra solo nella sua interezza possa vincere le elezioni. Se non si parte dalla cifra del 30% non si sarà mai competitivi.

Per finire, si sente un “colonnello” di Forza Italia?

Mi sento un operaio della politica, come ho sempre detto, La politica è servizio e senso di missione. Amo fare politica studiando. Penso che molti colleghi – sia nel mio che in altri partiti – almeno questo me lo possano riconoscere. Non amo né la retorica né la demagogia. Tantomeno parlare di cose che non conosco.

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