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Ignavi d’Italia? Cesare Battisti, il patriota tradito

13 Luglio 2016

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Ignavi d’Italia? Cesare Battisti, il patriota tradito

Da ragazzino in qualche libro di storia casalingo vidi per la prima volta questo signore, con il “pizzo” che s’incamminava al patibolo. Mi meravigliò il suo mento ritto, lo sguardo tranquillo, non da persona che s’accinge al patibolo.  “Evviva l’Italia. Evviva Trento italiana”, con queste parole si congedò il martire italiano e trentino Cesare battisti nell’estate di 100 anni addietro. Non vide mai il Piave, non vide mai Vittorio Veneto ed il 4 Novembre, non vide la Vittoria ma contribuì a conseguirla, idealmente il Piave lo guadò con i nostri Arditi, nudi con il pugnale tra i denti, disperati all’assalto, mai domi. Ma chi era Cesare Battisti? Era un socialista, uomo di sinistra vero, serio, puntiglioso e coerente, italiano orgoglioso d’esserlo (spesso sembra che essere di sinistra non vada in parallelo con l’orgoglio d’essere italiani, è un male, questo atteggiamento gonfia il petto d’altri, miope non capirlo, grave rinnegarsi). Battisti era un giornalista, geografo, politico con in mente un obiettivo: ricongiungere Trento all’Italia. L’Italia di quel periodo lo aveva deluso, siglando la Triplice Alleanza, di fatto metteva fine ai sogni degli irredenti come Battisti. Cesare collaborò anche con Mussolini, allora socialista ed in cerca di fortuna. Il futuro Duce durò poco, fu espulso per troppo anti clericale nei suoi scritti (storie a puntate molto osé con protagonisti alti prelati). L’Austria bigotta non poteva tollerare, ma in realtà a Vienna lo fecero più per combattere l’irredentismo sempre molto attivo di Battisti. A Bolzano il borgomastro Perathoner e relativa pletora di pangermanisti lavoravano come pazzi per dimostrare l’identità tedesca della zona, a volte subdolamente, esempio ne è il poeta Walther, a cui rispose Trento con Dante (i poeti si guardano senza saperlo negli occhi…). Oltre a Battisti anche Tambosi ebbe un gran subbuglio per aver messo i bastoni tra le ruote agli austriaci. Poi esistevano i moderati come De Gasperi, che mai avrebbero preso le armi e che puntavano a più autonomia trentina dal Tirolo del Nord. I trentini non erano ben visti a Vienna, come tutte le minoranze dovevano adattarsi all’Impero, molto fantasiose alcune ricostruzioni idilliache a posteriori della realtà trentina che non è il caso di citare. Battisti nel 1914 non vide altro che intervenire in prima persona, i socialisti di quel tempo erano cosi, tutti d’un pezzo, senza mezze misure, idealisti convinti, non di comodo. Il 10 luglio del ’16 fu catturato in azione dai Landesschützen di Cecco Beppe. L’attacco italiano era mirato a conquistare il Monte Corno, sul Pasubio, una vera spina nel fianco per il Regio esercito, poiché da lì gli austriaci potevano orientare il fuoco su ogni obiettivo nella vallata (e da questo dettaglio s’evince il motivo per cui i confini asburgici risultassero pensati per sfavorire gli italiani, motivo per cui dopo la Grande Guerra i nostri comandi ci misero mano). Gli venne negata sia la fucilazione che la divisa militare. Gli procurarono un ridicolo vestito a quadri, troppo largo per lui, alto e allampanato com’era. Lo fecero sfilare per le vie di Trento, molti gli insulti (si scopri poi a pagamento) a colui che il Trentino lo ebbe nel cuore da sempre, una passerella inopportuna, squallida. Il boia di Vienna, Josef Lang, più faccia da oste che da boia, salendo su una scala, arrivò a gettargli il cappio al collo. Tolto lo sgabello, lui tenne gli occhi aperti per qualche istante, poi li chiuse, respirò ancora mentre Lang gli storceva lentamente la testa, infine posa per una delle foto più agghiaccianti. Cosa ci rimane oggi del Battisti? Ci rimane quel mento ritto. In quel mento tutta la coerenza intellettuale del Battisti, la sua fierezza di morire per l’Italia, inutile girarci intorno, gli dobbiamo molto come persona, come esempio virtuoso d’intelletto, d’onestà mentale. Nessuno scranno per Cesare, nessuna “penna frizzante”, la prima linea, la trincea con i nostri fanti, la fatica, il sudore e l’odore di morte che daranno la spinta all’Italietta, timida e furbetta, giolittiana d’animo, di scalare la montagna, di farsi Italia. Morte e distruzione per una Vittoria che qualcuno vorrebbe cancellare per svendite politiche da bottega, dimenticandosi che l’essere italiani non si può o si deve barattare (e si badi, nel rispetto di tutti i morti, di tutte le guerre, onde evitare sciocche strumentalizzazioni da parte di terzi, pronti all’ululato accademico sterile quando pernicioso) Cesare Battisti prese le armi (e non la penna come molti, come gli scribacchini, gli stessi che oggi prendono la tastiera) e  si lanciò  in prima linea (il Regio Esercito sconsigliò…pensate), fu catturato e non batté ciglio, si consegnò con generalità  originali, non tentò di barare, di fare il furbo, di fare l’italiano come sostengono molti oggi, pur conoscendo il proprio destino segnato si consegnò. Il fascismo lo mitizzò contro il volere della sua stessa famiglia, pagò questo, pur senza averne colpe, durante la Repubblica. Considerato poco “comodo”, il povero Battisti spesso fu dimenticato, quasi a vergogna. L’unica vergogna, per quel che è stato Cesare Battisti è vergognarsene.

 

 

 

 

 

 

Giornalista pubblicista, originario di Bolzano si occupa di economia, esteri, politica locale e nazionale