Che cosa sono le “Baby gang”

Che cosa sono le “Baby gang”

di Giuseppe Maiolo – psicoaanalista

Al nome italiano che definiva quelle che i genitori chiamavano “le brutte compagnie” abbiamo sostituito un termine inglese che corrisponde al significato americano

Non vi è dubbio che preoccupino le imprese vandaliche degli adolescenti che si susseguono e sembrano aumentare di frequenza. Quanto meno fanno sempre notizia sui giornali. Che poi spaventino e mettano allarme, può essere. Anche se il fenomeno non è nuovo: ruberie e furti nei supermercati, imbrogli e azioni illegali, in adolescenza si sono sempre fatti, anzi ne hanno caratterizzato l’epoca.

Un tempo si chiamavano bande quelle dei ragazzini che sfidavano le regole e i divieti dei grandi. Si trattava infatti che con il gruppo l’adolescente si metteva alla prova, sfidava l’autorità per vedere fino a dove poteva arrivare e così facendo cercava di capire come poteva cavarsela. Nulla di nuovo sotto il sole. Dunque. Al nome italiano che definiva quello che i genitori un tempo chiamavano lebrutte compagnie abbiamo solo sostituito un termine inglese che da noi non corrisponde al significato americano. Lo abbiamo preso dal mondo anglosassone e soprattutto dagli Stati uniti dove il fenomeno, davvero assai diffuso, ha caratteristiche particolari simili a quello della criminalità organizzata.

Da noi in Italia non è così per fortuna. Non si tratta di microcriminalità, quanto piuttosto di ragazzini senza limiti, incapaci di capire ciò che è bene e ciò che è male.

Il fenomeno italiano rispetto alla realtà americana, ove prosperano le gang, presenta delle caratteristiche esistenziali diverse. In particolare, si tratta spesso di gruppi di giovani annoiati che cercano di impegnare il tempo per potersi divertire.

In effetti da noi, le cosiddette baby gang sono gruppi di giovani o giavanissimi che non provengono da realtà degradate né da famiglie problematiche. Sono i figli di genitori qualunque. Solo che sono stati educati con una carenza di regole e limiti, cresciuti con dosi massicce di indifferenza verso i confini da rispettare. Così spesso questi adolescenti annoiati e apatici non conoscono il punto in cui è necessario fermarsi, ma al contrario hanno metabolizzato la convinzione che tutto è possibile, basta pensarlo e volerlo.

Perché noi adulti li abbiamo educati con una parola che imbroglia: bravata. Per ogni trasgressione abbiamo usato questo vocabolo come un mantra facendolo passare per approvazione o quasi per un premio. Sicuramente abbiamo trasmesso che è possibile essere indifferenti e non avere responsabilità. Loro ci stanno ricambiando con un’ apatia emotiva e l’indifferenza a tutto ciò che è bene o male.

Insomma, se un tempo la trasgressione e la sfida era un fatto generazionale, un modo per andare oltre i confini definiti, oltre le Colonne d’Ercole, ora è un modo per provare a se stessi che la noia si può vincere con quote di adrenalina sempre crescenti. Non è più una questione di fare braccio di ferro con l’adulto normativo e regolativo, perché si è allontanato e ha lasciato il campo vuoto, ma una sfida con la propria onnipotenza.

Credo che non dobbiamo premiarli per queste azioni inconsapevoli. Nemmeno però serve colpevolizzarli se prima non abbiamo insegnato loro cosa sono le regole e come si rispettano. Solo se saremo capaci di riprenderci il principio di autorità, saremo in grado di promuovere la loro crescita e la loro autonomia responsabile.

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