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Storia e costume

9 Gennaio 2016

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Storia e costume

Dopo la pausa natalizia eccoci al secondo appuntamento con la storia d’Italia durante il periodo fascista. In questo articolo troverete spiegato a grandi linee un concetto fondamentale per comprendere il fenomeno “fascismo”: cosa fece breccia nel cuore degli italiani? Perché l’italiano medio si riconobbe nel Duce? A queste ed altre domande troverete risposta nell’articolo che segue, scritto tra il serio e l’ironico, pungente, che di fatto ci mette davanti allo specchio, nudi.

Il ciclo del fascismo (storia d’Italia a tutto tondo)

Parte Seconda

L’Italia in nero: il trionfo dell’italiano (medio), da un punto filosofico ed intellettuale

Avviso al lettore: questo articolo vi farà immedesimare nel pensiero filosofico gentiliano, seguitene le istruzioni e comprenderete l’italiano del tempo

Ottobre 1918: la pioggia fortissima, l’odore acre della terra bagnata stagnava nelle narici dei nostri fanti, ormai quasi al traguardo, giovanissimi alcuni, nati nel 1899 e battezzati “ragazzi del ’99). La belle Époque vagava come un fantasma dalle vesti stracciate tra le trincee di mezz’ Europa, senza più scopo, senza più senso, la fine di un secolo tra pidocchi, fango e puzza di morte. L’ Austria vacillava pericolosamente ed il 4 novembre si avvicinava. L’ultima offensiva del Regio Esercito spezzò del tutto la logistica austriaca e di fatto concluse le operazioni belliche sul fronte italiano, a Villa Giusti si completò la resa austriaca. In Italia l’emozione fu forte. Il paese si riversò in strada, dei “non interventisti” si persero le tracce. “O il Piave o tutti accoppati” così recitava una scritta su di un “pezzo di muro” a ridosso del fiume che di fatto contribuì ad unire il popolo italiano dopo quasi 2000 anni di batoste. L’Italietta di Giolitti, un po’ stracciona e neutralista era scomparsa. Al suo posto l’Italia guerriera, fiera, baldanzosa, a tratti presuntuosa. L’Italietta poteva da quel battito di cuore sedersi vicino alle “potenze”, quelle vere, Inghilterra e Francia contornate da Stati Uniti d’ America. L’ impero austriaco raso al suolo e la Germania al guinzaglio dei vincitori, tra cui appunto la ex Italietta. Inglesi e francesi, dopo averci visto all’opera tra le trincee avevano modificato atteggiamento, impressionammo anche gli Usa. Il fante italiano era mediamente coraggioso, disposto al sacrificio e si lamentava poco nonostante avesse pochissimo. Ci furono fucilazioni tra i reparti, diserzioni in linea con tutti gli altri eserciti, l’anno peggiore fu il 1917, ma la questione è complessa: in quell’anno per qualche mese fu l’intero paese a non crederci più. Nonostante tutto questo però al tavolo della pace fummo messi in secondo piano. Esclusi da qualsiasi compenso petrolifero in Iraq (la fecero da padroni gli inglesi, seguiti dai francesi) e messe in discussione da Wilson (presidente Usa che giocava al buon samaritano, sempre sulla pelle degli altri ovviamente) perfino le clausole previste dal patto di Londra non ci restò che abbandonare la Conferenza di Pace. In Italia esultarono tutti, in realtà fu l’errore che ci tagliò fuori dai compensi che contavano. Ma ciò, per miopia dei nostri governati, fu sottovalutato. Il popolo festante fece il resto. L’Italia sbatteva la porta e se ne vantava pure! Erano lontani i tempi in cui ci si spargeva il capo di cenere davanti ai sempre altezzosi inglesi ed ai mai amati francesi. In questo humus sguazzarono D’Annunzio prima, Mussolini poi. Il filosofo Gentile invece vide in tutto ciò l’applicazione del suo attualismo, pensiero da lui perfezionato più o meno nel mondo in cui lo descriverò, sarò spartano per non cadere nel baratro caotico a cui spesso portano le disquisizioni di carattere filosofico, diatribe lunghe millenni. Allora dovete sapere che il pensiero di Gentile è noto con il nome di idealismo attuale, od attualismo. Con questa formula intende difendere una concezione della filosofia come “pensare vivente”, capace di risolvere in sé dialetticamente ogni contenuto. Quindi il fascismo avrebbe conosciuto una autoevoluzione continua, non sarebbe mai spirato od esaurito. Come ogni buon filosofo che si ripeti anche Gentile iniziò dalla critica, a tutte le filosofie precedenti ovviamente, soprattutto a quella di Hegel. Il peccato principe? Quello di essere delle dottrine del “pensiero pensato”, ossia di una concettualità astratta e priva di vita, perché separata dall’attualità del “pensiero pensante” o dall'”atto in atto”. Sembrano giri di parole, ma fidatevi, non lo sono. Rileggete un paio di volte le ultime tre righe ed immedesimatevi nel pensiero di Gentile. Riletto? Ripartiamo: solo il pensiero pensante è dialettico, perché produttore dell’oggetto, che è propriamente il soggetto stesso in quanto diventa altro da sé. Il soggetto quindi ha bisogno solo di se stesso per diventare altro, come Mussolini, cambiò idee e dottrina più volte, si attualizzò di continuo fiutando l’odore delle masse. Incarnazione dell’uomo perfetto gentiliano, capace d’adattarsi al presente, come i quadri di Boccioni, come il futurismo, sempre in movimento, mai un passo uguale all’altro. Il pensiero, quando si autoproduce (autoconcetto, o autoctisi), sulle prime tratta il prodotto come assolutamente opposto a sé, come alcunché di estraneo, poi riconosce che l’oggetto nella sua alterità è il soggetto stesso oggettivato, e lo risolve in sé, cioè lo fa identico a sé. Il risultato dell’identificazione di soggetto e oggetto, però, rende di nuovo il soggetto privo dell’oggetto, cioè lo rende astratto. Allora il soggetto, dovendo superare la sua condizione astratta, fuoriesce nuovamente da sé. Ricomincia, perciò, una situazione oppositiva di natura dialettica, la quale stimola al trapasso in un altro momento sintetico, e così via all’infinito. In pratica “me ne frego” del prima e penso al dopo. Tre sono, dunque, i momenti della vita del pensare: 1. il soggetto nella sua iniziale separazione, o astrazione, dall’oggetto; 2. l’oggetto nella sua opposizione al soggetto; 3. la sintesi di soggetto e oggetto, come finale identificazione, o risoluzione, nel soggetto dell’estraneità dell’oggetto. Questi tre momenti della dialettica dell’atto sono anche i tre atteggiamenti fondamentali o le tre “forme” dello spirito, cui corrispondono, rispettivamente, l’arte, la religione (e il fascismo attiverà delle liturgie) e la filosofia. Collocazione incerta finisce per avere in Gentile la scienza, a volte assimilata all’arte, a volte alla religione. Avete mal di testa?  Comprensibile, ma era necessario per entrare nell’ italiano del tempo. L’attualismo si abbracciò benissimo con il fante-contadino deluso dalla guerra, maltrattato nonostante i sacrifici ed una vittoria “mutilata”. Sangue, pidocchi, morte per un pugno di mosce, questo gridava D’Annunzio agli italiani. Il Vate, senza saperlo, fu dell’attualismo un megafono. I suoi discorsi fecero crescere la stima del popolo italiano, che nel biennio 1919-21 non sapeva dove sbattere la testa. I socialisti, pur avendo una base filosofica di tutto rispetto e le masse rosse (che poi diventarono nere) non ottennero nulla, anzi si persero in lotte intestine. I comunisti ancora troppo acerbi non furono mai in sella, i cattolici al solito si misero sulla riva del fiume in attesa di tempi migliori. (Andreotti non per nulla lavorò per le biblioteche vaticane…). Rimanevano i fasci di combattimento, nome stimolante, da trincea. Schiena dritta, pugnale in bocca e mamma in testa prima dell’assalto: l’ardito era tornato! La cosa inebriò, non tutti a dir la verità. L’attualismo però aiutò Mussolini nel “normalizzare “il paese. Fino al 1936 gli entusiasmi furono più di regime, la vita dell’italiano media a tratti era migliorata rispetto al passato liberale, il regime si sforzò d’andare verso le masse, scese a patti con il Papa e iniziò una modernizzazione del paese che fu completata nel dopoguerra. L’animo degli italiani, da secoli ormai snazionalizzati, fu rimpinguato dalla trasvolate trionfali di Balbo, dai mondiali di calcio vinti, dai premi Nobel alla Letteratura della Deledda e Pirandello, da Marconi, dai record del Rex, da Nuvolari e Carnera. Molti partiti dal nulla, proprio come Mussolini, figlio di un fabbro. Il riscatto di una Nazione che Montanelli definì a posteriori “dei Capo caseggiato”. Questo perché tra le mille associazioni, albi etc. il fascismo diede a tutti qualche fettina di potere, minima, a volte simbolica ma quel che bastava per sentirsi importanti, per tornare la domenica a case con le “pastine” ed un bel sorriso dopo messa. Questa l’Italia al fianco d’inglesi e francesi, Mussolini era l’italiano atipico, preciso, serio e puntiglioso, quel tanto che bastasse ad imitarlo ed elogiarlo in mezzo mondo. Ci cascheranno in molti, presidente americano e Gandhi (lo definirà un grande uomo durante la sua permanenza a Roma) compresi, perfino il mondo arabo gli donerà la “Spada dell’Islam”. Ogni vittoria “attualissima” del Duce (il nuovo Cesare) è una vittoria dell’italiano medio, non più frustrato, sporco e diviso, ma rispettato. Molta retorica? Secondo i nostri immigrati del tempo no. Gli italiani d’America ed Australia sentivano questo riscatto secolare sempre più forte e se ne rallegravano. Il richiamo alla romanità fece il resto. Cesare, Virgilio, Augusto e tutto il nostro passato imperiale. I romani, un popolo attualissimo, gentiliano, sempre in divenire, 2000 anni “sul pezzo” per dirla alla moderna. Calendario, latino, diritto, impero, tutta “roba” nostra. Come novelli Lazzari gli italiani gonfiarono il petto. L’apoteosi giunge nel 1936: impero d’Etiopia. L’Italia ha il posto al sole tanto cercato, è potenza coloniale. Ne sarebbe stato felice Pascoli disse qualcuno, morto in polemica con l’Italietta impaurita. Nel giro di soli dieci anni il sogno però evaporò. Una guerra che ci vide soffrire, tirare la cinghia ed infine perdere spazzò via tutto quanto. Si aggiunse una guerra civile cruenta, che portò lutti all’animo degli italiani e diede ragione a Gentile: l’italiano medio è immerso nell’attualismo, infatti dal 1946 i fascisti evaporarono, pochissimi rimasero sulle loro posizioni, motivo per cui all’inizio gli Alleati storsero il naso e ci considerarono cobelligeranti a metà. Dopo il 1946 evaporò anche la nazione, per paura d’essere fascisti decidemmo di snazionalizzarci, l’inno con moderazione e la parola patria quasi vietata, da buoni filosofi “attualissimi” ci adeguammo. Ci vollero dei mondiali di calcio per cantare inno, sventolare bandiere e stringerci attorno al presidente Pertini, una vittoria sportiva ed un delirio collettivo che non si vedeva in Italia dal 1936… Ed oggi chi siamo? Siamo ancora “attuali”? La risposta la trovate in voi, cari italiani.

Giornalista pubblicista, originario di Bolzano si occupa di economia, esteri, politica locale e nazionale