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LEGATO A UN CANCELLO, TORTURATO E TRATTATO COME UN ORINALE3 min read

7 Dicembre 2015 2 min read

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LEGATO A UN CANCELLO, TORTURATO E TRATTATO COME UN ORINALE3 min read

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La stampa nazionale e i social network danno notizia di uno spaventoso fatto di violenza avvenuto nel Salento e perpetuatosi per innumerevoli mesi su un ragazzo disabile impossibilitato a reagire. Legato ad un cancello veniva torturato e addirittura sbeffeggiato e usato alla stregua di orinale. La violenza avviene sotto gli occhi di molti, ma tutti tacciono guardano e tacciono. Finché una giovane ragazza denuncia il fatto atroce e la notizia esce sui social network. 

Qui si manifesta una violenza immane: non solo quella che viene esercitata ripetutamente sulla vittima inerma, anche quella degli osservatori complici che assistono allo spettacolo. Che fare di fronte di fronte a questa nuova frontiera della violenza, della disumanizzazione di chi si rende compartecipe con il silenzio?

Lo psicoanalista Giuseppe Maiolo ci invia una riflessione che volentieri pubblichiamo.

BULLISMO: LA VIOLENZA DEL SILENZIO

Colpisce l’orrore delle sevizie contro un minore di 13 anni che viene legato ad un cancello e trattato come un urinale. Ma sbaraglia la coscienza se la vittima è un disabile incapace di reagire e per anni subisce senza dire nulla e senza accusare il gruppo bullo che conosce. E poi spaventa l’omertà dei tanti che sapevano e sono rimasti in silenzio.

Il bullismo a Lecce scoperto qualche giorno fa è identico a quello di Bolzano, di Brescia o di un qualsiasi altro posto al mondo. Perché la depravazione degli aggressori è uguale. L’abuso dei carnefici è assurdo, banale come il male che si ciba, come sempre, di inconsapevolezza e di distanza emotiva. La vittima tace, non si ribella perché trova inutile farlo e il sadico gode della sua silenziosa angoscia.

E ancora una volta il rituale si ripete: i bulli prima offendono verbalmente, poi colpiscono e feriscono giorno dopo giorno, senza timore di essere scoperti. Spavaldi. Il silenzio di chi è ferito non meraviglia, è la costante della vergogna e della paura. Appartiene alla storia delle umiliazioni che non trovano alcuna giustificazione soprattutto se si rivolgono a chi ha una disabilità o porta con sé una qualche difficoltà fisica o psichica.

Contrapposti, bullo è vittima sembrano agli antipodi. Eppure sono un binomio terribile e inscindibile della violenza, legati l’uno all’altro proprio da quel silenzio perverso che unisce seviziatore e seviziato, con la complicità incredibile di chi osserva e non dice, di chi ascolta senza proferire parola.

Ed è qui che la storia del disabile di Lecce si fa ancora più comune. Ancora più simile alle tante storie di offese e prevaricazioni che rimangono nascoste per tempi infiniti agli occhi della gente. Circolano invece. Molti le conoscono. Ma sembrano non coglierle. Invece oggi le “imprese” del cyberbullo si moltiplicano e si alimentano in rete dove tutti possono vedere, sorridere e tacere. Quando la violenza fa spettacolo, intrattiene e alla lunga non fa più orrore né repulsione.

La nuova frontiera agli atti di violenza è proprio questa: far uscire dal silenzio non solo chi è vittima del male, ma ogni forma di condivisione esplicita o implicita che sia. E non c’è altra strada che quella di educare, precocemente, alla partecipazione e al riconoscimento delle emozioni proprie e di quelle altrui. Poi, per arrestare il male, non c’è altro mezzo che quello di sentirsi tutti offesi dalla compiaciuta maggioranza silenziosa di chi passivamente rimane a guardare.