Perché mimose solo l’otto marzo?

Domani è l’otto marzo, la Giornata internazionale della donna, comunemente conosciuta come Festa della donna. Ogni anno in questa giornata si ricordano le conquiste sociali, politiche e naturalmente economiche delle donne, nonché le discriminazioni e le violenze cui ancora oggi troppe donne in varie parti del mondo sono costrette a subire. Già questo fatto giustificherebbe una maggiore coscienza che vada oltre la retorica legata all’otto marzo in cui improvvisamente tutti sembrano sentirsi in obbligo di solidarizzare con le donne e i loro diritti. Tuttavia, se non altro, almeno l’otto marzo ci si ricorda delle donne o si fa finta a secondo dei punti di vista. Storicamente questa celebrazione risale al 1909, anno in cui si iniziò a festeggiarla negli Stati Uniti. A prescindere dal noto Womans’s Day negli Stati Uniti che certamente non va dimenticato con tutti i necessari risvolti storici, viene da domandarsi se è il caso di conservare tutt’ora il consueto rito di regalare delle mimose alle donne l’otto di marzo. Ma andiamo con ordine. Come noto, nel settembre del 1944 a Roma si creò l’Unione Donne in Italia per iniziativa di donne appartenenti al PCI, al PSI, al Partito d’Azione, alla Sinistra Cristiana e alla Democrazia del Lavoro e grazie all’Unione Donne in Italia fu istituito l’otto marzo 1945 come prima giornata della donna nelle zone dell’Italia libera, mentre a Londra si approvò e inviò alla Società delle Nazioni una Carta della donna contenente richieste di parità di diritti e di lavoro. Dopo la guerra, in Italia, l’otto marzo 1946 fu celebrato in tutto il territorio nazionale e comparve per la prima volta la mimosa come simbolo, poiché fiorisce nei primi giorni di marzo. Ad avere l’idea furono la partigiana e politica antifascista Teresa Noce, la parlamentare comunista Rita Montagnana e la più giovane eletta all’Assemblea Costituente Teresa Mattei. Successivamente nei primi anni cinquanta, anni di guerra fredda, la distribuzione della mimosa in quel giorno per molti considerato solenne, nonché la diffusione di “Noi donne”, storico mensile dell’Unione Donne Italiane, divenne un gesto considerato atto a turbare l’ordine pubblico, così come fu considerata occupazione abusiva di suolo pubblico tenere un banchetto per strada. Senatrici di polso, come la comunista Luisa Balboni, Giuseppina Palumbo e Giuliana Nenni di area socialista nel 1959 presentarono una proposta di legge per rendere la giornata della donna una festa nazionale, senza però ottenere il risultato desiderato. Con il movimento femminista e il clima politico diverso le cose negli anni settanta cambiarono. Difatti l’otto marzo 1972 a Roma, in piazza Campo de’Fiori, si tenne la manifestazione della giornata della donna cui partecipò persino Jane Fonda, pronunciando un discorso di adesione al raduno, mentre in presenza di poliziotti schierati numerose donne manifestanti  esibivano cartelli con scritte provocatorie. Allora ci furono anche dei disordini, certo altri tempi e se oggi non ci si scandalizza più di fronte a scene irritanti, negli anni settanta le cose erano ben diverse. Oggi la situazione della donna è migliorata, ma non credo che si possa affermare che le donne trovino ovunque lo stesso trattamento degli uomini. Anche nella bella Italia in cui partendo dalla Costituzione la parità è garantita, nella vita pratica di ogni giorno le cose sono molto diverse. Beh, possiamo renderla viva la nostra Carta fondamentale, magari distribuendo meno mimose e rivolgendoci con maggiore rispetto a coloro che ci completano. E senza perdermi in un’inutile retorica, auguro a tutte le donne, non un buon otto marzo, ma di essere rispettate ora e sempre. Viva le donne!

Claudio Calabrese

Giornalista pubblicista, scrittore.

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