LUB ED EURAC, MANTENERLE ENTRAMBE?

Se c’è un meccanismo positivo, uno dei pochi, che la crisi acuisce è certamente quello del riflettere sui risparmi, sugli eccessi, sul superfluo e sui doppioni. Vale nelle corsie di un supermercato ma anche tra le linee di un bilancio provinciale. Così nel mondo della formazione e della ricerca ci si comincia a interrogare su un’abbinata che oscilla tra il dualismo e la coppia. Si parla, chiaramente, della Libera Università di Bolzano e dell’Accademia Europea, più sinteticamente Lub ed Eurac. Entrambi enti dal cordone ombelicale pubblico lunghissimo con sovvenzioni ingenti ricevute negli anni dalla manus provinciale. Non si intitola una biblioteca a un Landeshauptmann a caso, per intenderci.  L’Eurac riceve un contributo per la ricerca fissato a 8,5 milioni di euro nell’ultimo bilancio facilmente consultabile su un budget complessivo di 18 milioni onestamente e faticosamente rimpinguato anche da fonti esterne. L’Università ha una galassia di numeri molto più complessa e le voci in cui interviene la Provincia sono svariete per cui emettere una cifra totale è probabilmente limitante. Se a ricerca e funzionamento aggiungiamo anche l’aspetto immobiliare con relative operazioni arriviamo, logicamente, a centinaia di milioni di euro su più annualità.

Ha senso mantenere questi due enti? Questa la domanda che spesso ronza nelle teste e che proveremo a valutare da un lato del campo e dall’altro.

La sede dell’Eurac

PERCHE’ SI’. Lub ed Eurac, ma ci si potrebbe anche aggiungere il Tis o il Centro di Laimburg, seguono percorsi accademici decisamente diversi. I corsi, infatti, sono piuttosto differenti e tendono, salvo alcuni casi inevitabili dati dalla conformazione del territorio su cui insistono, a seguire strade diverse. Chiaramente la progettazione prevede specificatamente questo. Le mummie, il soccorso in montagna o l’aspetto più strettamente costituzionale dell’Autonomia sono nuclei centrali dell’Eurac senza particolari doppioni alla Lub così come, per dire, in viale Druso nessuno si diletta con Design o Tecnologie Informatiche. Tedesco e inglese, logicamente, dominano entrambe così come alcuni aspetti di agraria e studio dei terreni alpini. Dal punto di vista sociale, poi, rappresentano opportunità differenti per l’approfondimento culturale con diverse connessioni, anche se non sempre sufficienti, con il mondo della scuola. Nella prospettiva occupazionale, inoltre, sopprimere uno dei due (presumibilmente l’Eurac) significherebbe anche cancellare uno sbocco non ampissimo, ma comunque presente. L’indipendenza di Eurac e la sua voglia di affrancarsi, per esempio, emerse con grande forza quando nel suo cda ci fu la volontà di inserimento di Konrad Bergmeister e Pietro Borgo, esponenti dell’università ma anche elementi di spicco della grande imprenditoria altoatesina. Era una richiesta di autonomia e forse una paura di assimilazione legittimata, però, da un bilancio che vede crescere sempre di più il contributo di soggetti esterni nel capitolo ricerca con grande ruolo del Fondo Sociale Europeo. L’Accademia, insomma, dimostra di essere incisiva anche con le proprie gambe, mentre l’Università dovrebbe già esserlo di default. Se si soddisfa la capacità di fare rete, insomma, i due enti sono in grado di coprire un orizzonte di ricerca assai ampio e approfondito portando contatti e prestigio alla realtà altoatesina ovunque nel mondo.

 

La sede della Lub

PERCHE’ NO. La prima obiezione è di carattere sociale. In una realtà in cui si tira la cinghia e non si trovano nemmeno i fondi per una dotazione organica sufficiente a coprire la scuola primaria ha senso andare a spendere milionate per interrogarsi quanto resistano i maiali immersi nel gelo? L’Eurac, da questo punto di vista, non sempre tocca argomenti di grande impatto per la popolazione che lo ospita e lo sovvenziona. Vero, studia per esempio la distribuzione della ricchezza tra i Comuni o gli interventi  di sicurezza più efficaci aprendo le proprie porte all’approfondimento generale ma non tutti gli altoatesini ne hanno frequentato le stanze assiduamente. Nella vox populi molte sono funzioni includibili nell’Università andando, probabilmente, a spendere meno e infilando qualche maestra in più dietro la cattedra. E’ sicuramente vero che un lavoro di rete efficiente tra i due enti rappresenta un potenziamento non indifferente, ma una recente statistica nazionale curata dall’Osservatorio Intesa Sanpaolo valuta il lavoro interconnesso altoatesino agli ultimi posti in Italia. E’ una tirata d’orecchi per le imprese, certo, ma anche per gli istituti di ricerca. Un aspetto che, chiaramente, viene guardato con un sopracciglio alzato da Assoimprenditori ed Eos. La stessa vicenda del cda unico rivela in modo lampante la disponibilità di Eurac di aprirsi verso l’ateneo, ma fino a un certo punto. “Il 50% del bilancio è di mano pubblica” le parole spesso sentite in quel periodo all’Accademia come a voler segnare un confine. Confine che non è troppo nel bene dello sviluppo altoatesino. D’altronde se non esistessero problemi di connessione su un piano generale la Provincia non avrebbe mai ipotizzato un serio accorpamento Lub-Claudiana come, invece, ha avuto intenzione di fare per un buon periodo. Dal punto di vista occupazionale, invece, è vero che molto spesso i posti di lavoro offerti da ateneo ed Eurac sono mordi e fuggi. “Lezione, ricerca, progetto o breve periodo in Alto Adige e poi ritorno a casa” è il tragitto classico di moltissimi ricercatori o docenti che, come logico sia, non possono essere tutti nostrani. Non è un mistero che tra i corridoi accademici qualcuno pensi che il denaro girato a Eurac possa essere sufficiente a regolarizzare e stabilizzare qualche docente a progetto di troppo.

 

Le prospettive, insomma, sono molteplici e rispondere alla domanda iniziale è davvero complesso. L’importante, a questo punto, è che non si crei un nuovo istituto di ricerca per dirimere il dubbio.

Alan Conti

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