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Statuto di autonomia imbalsamato

Urgenti le riforme, ma fanno paura

Lo Statuto di Autonomia parla chiaro – dice il futuro Presidente Kompatcher – la giunta deve rispecchiare la composizione del consiglio provinciale e quindi un solo posto per il gruppo linguistico italiano in aggiunta al rappresentante ladino (previsto ex legge) e ai 7 del gruppo tedesco”. E aggiunge: da questa composizione la SVP non si sposta.

Tralascio le analisi e i commenti già riportati dai quotidiani, la fondata euforia dei vincitori, la bocca amara e asciutta dei vinti, le delusioni, la resa dei conti, le ragioni dell’astensionismo, il dato disastroso per la comunità italiana, la destra italiana in frantumi, il viaggio a Padova in cerca di grazia, le richieste – improvvide o tardive – di dimissioni del responsabile locale del Pd e per ultimo la furbesca ipotesi della figura, in Giunta provinciale, del “gregario consulente esterno“. Invero, se non si volesse aggirare lo spirito della norma richiamata da Kompatcher, un’ipotesi “trasparente” potrebbe essere quella di designare quale effettivo Assessore esterno – ad esempio – il Sindaco di Bolzano – personaggio che alle ultime elezioni comunali del 2010 ha stravinto – e impiegare i due eletti consiglieri nell’attività politica del consiglio. Mi si dirà: Non se ne esce… è altrove quasi tutto deciso e ogni diversa idea conduce a un bel niente. E’ così?
Il modello sudtirolese ha ben retto al tempo e alle trasformazioni ma oggi ha in sé limiti precisi. L’autonomia speciale è un astratto strumento normativo predisposto per la risoluzione di difficoltà storiche e per l’amministrazione del territorio: ha senso e funzione se esiste il primato della politica quale guida per il buongoverno della locale società. Se ciò non avviene e anzi se la politica si sofferma su quel che è avvenuto e non affronta i problemi nuovi con riforme necessarie (anche istituzionali) perde “il treno”: il modello autonomistico si ferma, rimane statico, appare arcaico, non si adatta alle esigenze dell’attualità e si chiude nella propria autoreferenzialità.
Che non sia il caso di rivedere e forse di cassare alcune regole statutarie da oltre 40 anni in auge? Perché non spronare la politica? Perché non riconoscere dignità e valore al principio di democrazia rappresentativa? Perché il locale modello politico-istituzionale ancora riflette in scala la natura numericamente etnica? Perché la tutela della omogeneità etnica assicura democrazia? Perché non aggiornare il punto di equilibrio statutario tra rappresentanza politica e sistema proporzionale? Perché le riforme e l’aggiornamento dello Statuto fanno paura?
Sono domande non retoriche e – senza venir meno alle ragioni dell’autonomia altoatesina e alle sue storiche rivendicazioni e quindi alla tutela dei locali gruppi etnico-culturali e del loro autogoverno – diciamo che il punto e le posizioni sono squisitamente politiche: l’attuale organizzazione va certamente bene soltanto a quei difensori del modello imbalsamato d’identità “numerica o collettiva”.
Se è così e se i maggiorenti della locale politica temono il rinnovamento, allora viva la “democrazia etnica” e tanta salute all’implacabile e originale principio della proporzionale come regola base con sembianze di uno steccato.

Se è vero che ogni elezione fotografa la realtà del momento, è anche vero che ogni nuova rappresentanza politica è capace – se lo vuole – di presentare sensibilità e orgoglio per esprimere e per realizzare la necessaria modernità e la storica rivendicazione. Perché non essere ottimisti?

Antonino Papa

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