Cultura e società

Lo spettacolo nello spettacolo4 min read

18 Gennaio 2013 3 min read

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Lo spettacolo nello spettacolo4 min read

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di Jimmy Milanese

 

Hänsel und Gretel: 

bambini all’Opera!

 

 

 

Un teatro dell’Opera colmo di bambini, senza popcorn, senza patatine, caramelle e coca cola, disciplinatamente incollati alla loro sedia con gli occhi sbarrati sul palco, in attesa dell’arrivo della strega cattiva e, soprattutto, di vedere liberati Hänsel e Gretel, miti antichi d’altri tempi.

 

 

E’ uno spettacolo nello spettacolo, un teatro che sembra vuoto solo per l’altezza del suo pubblico, piacevolmente inferiore alla solita media. Uno spettacolo per il quale anche la nostra ricca e bella lingua non ha adeguati termini capaci di esprimere questa incredibile emozione. Si potrebbe sintetizzare in questo modo la prima produzione della Fondazione Teatro Comunale di Bolzano: Hänsel und Gretel, per la regia del londinese Michael Hunt, un omone tanto alto quanto eccentrico, che ha ancora negli occhi e appiccicata ai suoi sgargianti vestiti quell’Isola che non c’è.

Hunt ama i bambini, e lo si capisce immediatamente, perché le scenografie, i costumi, il ritmo imposto alla più celebre tra le opere dell’allievo di Wagner, Engelbert Humperdinck, per più di due ore tengono i numerosissimi bambini presenti in sala con il “nasino all’insù”, parafrasando un’indimenticata manifestazione pensata e creata per i bambini dal guitto meranese Tony Pacher che, anche lui, è invecchiato dimenticandosi di crescere.

E proprio a lui, scomparso di recente, che ho pensato, domenica sera, perché in ogni adulto che soffre c’è un bambino che ha  vissuto prima l’atrocità della vita poi la bellezza dell’esistenza. Tra questi, alcuni rimangono imprigionati dentro a quel passato, altri vanno avanti e lo superano, anzi, lo trasformano in musica, pittura, cinema, teatro o quant’altro.

Questo Hänsel e Gretel di Hunt a questo superamento s’ispira, consapevole dell’ inganno degli adulti che ogni sera assopiscono i loro figli con una ninna nanna, li fanno addormentare tra le bambole e giochi, li educano all’insipienza del silenzio e riparano alle loro assenze con regali e lecca lecca. Fino a spingerli talmente lontano nel deserto, nel bosco incantato, nelle viscere della notte, da confondergli la via del ritorno e spedirli dritti nelle mani della strega cattiva. E’ in quel luogo che per non morire Hänsel e Gretel – come ogni bambino in ogni epoca – apprendono l’arte dell’inganno.

Questo luogo descritto da Humperdinck per mezzo di motivetti popolari e canzonette, dove Hunt immagina si debba coniugare la sete di conoscenza del bambino con la paura infantile dell’ignoto, è un Luna Park abbandonato, appunto, da quegli adulti che lo hanno costruito per divertire i loro figli, abbandonarli, infine, spaventarli. E’ una produzione pensata da un bambino che si ritrova per caso nel corpo e nel ruolo di un adulto, forse per questo motivo gli applausi finali del giovane pubblico in sala superano in velocità e spregiudicatezza quelli dei genitori accompagnatori, come Beep Beep sperava beffardamente Wile E. Coyote.

Il viaggio di Hunt è a ritroso, nel tempo e nello spazio, perché sono gli adulti ad essere catapultati nelle tenebre del loro passato, costretti accanto ai loro figli, almeno per una sera, a vedere il mondo dalla parte dell’infanzia offesa. Adulti, anche loro, che si sono dimenticati d’esser stati bambini, con le loro ansie infinite, le loro preoccupazioni ciclopiche, i loro desideri irrealizzabili, costantemente sciolti in un bicchiere d’acqua come si fa con una compressa o un’aspirina.

Hänsel und Gretel sarebbe l’ammonimento per un non luogo a procedere, l’avviso ultimo alla specie umana in lento declino. Insegna, come tutto il teatro, pur senza più esser capace di educare, il danno irreparabile imposto a un bambino che per salvarsi dalla violenza della vita è costretto a diventare adulto, presto e male. Indurre un bambino a porgere a sua disperata salvezza un bastoncino a chi lo aveva accolto con apparente amore, in luogo del dito ingrassato a pasticcini e mandorle, è la metafora perfetta di questo scempio.

E si chiude qua, senza nessun commento sui bravissimi cantanti, ma con l’amarezza per una cattiva promozione di questo evento da parte del Teatro Comunale di Bolzano. Riflettiamo, ogni volta che per piegare un bambino alle nostre esigenze usiamo la minaccia, perché con quella minaccia lo spingeremo impaurito nella foresta. Riflettiamo, ogni volta che è la nostra pazienza a mancare, non le sue capacità a difettare, perché in quella foresta ci sono tentazioni e scorciatoie troppo allettanti.

 Jimmy Milanese