Non voltarsi mai dall’altra parte, ciò che oggi manca

Oggi viviamo in un’epoca in cui molti scelgono la via della fuga. 

Viaggiare è diventato spesso un atto di evasione, un modo per sfuggire al disagio, all’ingiustizia, al dolore del mondo e dalle proprie responsabilità.

Ci muoviamo da una parte all’altra del pianeta alla ricerca di bellezza, leggerezza, spensieratezza apparente e continua o benessere personale, ma quanto di tutto questo è anche una forma di disimpegno? 

Ma è così bello esplorare il mondo senza mai fermarsi a guardarlo davvero?

È vivere o vivacchiare?

Nel frattempo, le guerre continuano a devastare popoli e città, i diritti vengono calpestati, si preferisce andare al mare o in montagna anziché prendere una posizione attraverso un referendum ad esempio, e l’odio torna a serpeggiare sotto nuove forme. 

La storia sembra ripetersi, e la memoria di luoghi come Dachau dovrebbe insegnarci che l’indifferenza è già complicità. 

Fuggire dal dolore del mondo può essere umano, ma farlo senza mai provare a cambiarlo è molto pericoloso.

La mia generazione, spesso benestante e libera di scegliere dove andare, ha un compito.

Non basta viaggiare per conoscere esclusivamente il bello del mondo, molto spesso superficiale, ma bisogna anche impegnarsi a conoscerlo nel suo profondo misterioso per poi trasformarlo e migliorarlo.

Non basta indignarsi di fronte all’orrore del passato, ma bisogna riconoscere le sue ombre nel presente. 

La libertà che oggi abbiamo non dovrebbe essere solo un privilegio da consumare, ma una responsabilità da esercitare e difendere.

Forse il vero viaggio non è quello che ci porta lontano, lontano dalla vita reale e dai propri doveri autentici, ma quello che ci porta all’essenziale: alla lotta per la giustizia, alla solidarietà reciproca, alla verità della nostra umanità.

Perché la lezione di Dachau e l’orrore delle guerre di oggi ci invitano a fare una sola cosa: non voltarsi mai dall’altra parte.