Bolzano, per “non cancellare la Storia”, dialogo domani con il professore universitario Filippo Focardi alla Civica di Bolzano

Alla Biblioteca Civica di Bolzano si terra domani 16 gennaio alle ore 18 un incontro promosso dall’ANPI per ricordadare, anzi meglio per non dimenticare, cosa è stato il regime totalitario impostosi con Benito Mussolini in Italia dal 1922 con la Marcia su Roma, e durato oltre vent’anni, fino al al 1943.

 “Non si è trattato di una rimozione in senso psicoanalitico (ma) di una comoda e delittuosa cancellazione della storia.” (Vittorio Foa)

Dipingere gli italiani come “bravi italiani”, caricando i crimini quasi esclusivamente sulle spalle dei tedeschi, è stato il meccanismo con il quale l’Italia ha rinviato il momento della consapevolezza di cos’erano stati la guerra e il fascismo che aveva portato il Paese in guerra.

(…) Che si possa arrivare fino a oggi con l’autoraffigurazione del fascismo come una dittatura bonaria, perché costantemente paragonata al nazismo. Con l’idea di un’Italia in guerra che in fondo non ha fatto nulla di male, degli italiani che hanno aiutato gli ebrei o passato la pagnotta di pane al bambino greco. Spezzoni di verità che sono però serviti – e servono – a coprire il lato oscuro del nostro passato. E possono spiegare molto anche dell’attualità. Ad esempio perché in Germania certi atteggiamenti di tipo nostalgico e neonazista siano assolutamente intollerabili: nessun politico potrebbe permettersi allusioni del tipo “in fondo Hitler non è stato così male, ha costruito grandi autostrade”, sarebbe costretto a furor di popolo a rassegnare le dimissioni in cinque minuti. Al contrario in Italia si può arrivare ad affermare, anche a livelli istituzionali alti, che il fascismo “non è stato così grave” o “ha avuto solo la colpa di fare le leggi razziali”, magari alludendo in quest’ultimo caso al fatto che ci sia stato imposto dalla Germania, cosa dimostrata come non vera. La rimozione insomma incide anche sul presente, consegnandoci un’Italia immatura.

(…) Serve invece partire dall’approfondimento e dal riconoscimento della dimensione criminale e aggressiva della politica del fascismo. Nei libri di testo non si trovano riferimenti a questo (al di là di qualche accenno ai crimini in Etiopia). Va benissimo insomma parlare nelle scuole di figure di grande valore come Perlasca, ma bisogna spiegare anche cos’ha fatto il generale Graziani in Etiopia. Va raccontata l’invasione italiana di gran parte dell’ex-Jugoslavia e della Grecia, Paesi dove sono stati commessi gravi crimini di guerra. (…)

(…) Da decenni ormai, con la fine della guerra fredda e i mutamenti dello scenario internazionale, i processi di ridefinizione delle memorie pubbliche nazionali hanno innescato in tutta Europa delle vere e proprie “guerre di memoria”. In Italia, in particolare, i conflitti tra memorie contrapposte si affiancano a reiterati tentativi di ridefinizione dell’identità nazionale all’insegna della costruzione di presunte memorie condivise, alimentati da un intenso uso politico del passato. Si assiste così all’istituzione di nuove date del calendario civile, come la Giornata della Memoria per le vittime della Shoah e il Giorno del Ricordo per quelle delle foibe; al confronto fra revisionismo e anti-revisionismo su fascismo e Resistenza; a un dibattito sui crimini di guerra italiani nelle colonie e nei territori occupati durante il secondo conflitto mondiale; e all’impegno in prima persona dei presidenti della Repubblica (Ciampi, Napolitano, Mattarella) nel costruire una memoria pubblica nazionale lungo l’asse Risorgimento, Grande guerra, Resistenza, Unione Europea.

Cattivo tedesco. Barbaro, sanguinario, imbevuto di ideologia razzista e pronto a eseguire gli ordini con brutalità. Al contrario, bravo italiano. Pacifico, empatico, contrario alla guerra, cordiale e generoso anche quando vestiva i panni dell’occupante. Sono i due stereotipi che hanno segnato la memoria pubblica nazionale e consentito il formarsi di una zona d’ombra: non fare i conti con gli aspetti aggressivi e criminali della guerra combattuta dall’Italia monarchico-fascista a fianco del Terzo Reich. A distinguere fra Italia e Germania era stata innanzitutto la propaganda degli Alleati: la responsabilità della guerra non gravava sul popolo italiano ma su Mussolini e sul regime, che avevano messo il destino del paese nelle mani del sanguinario camerata germanico. Gli italiani non avevano colpe e il vero nemico della nazione era il Tedesco. Gli argomenti furono ripresi e rilanciati dopo l’8 settembre dal re e da Badoglio e da tutte le forze dell’antifascismo, prima impegnati a mobilitare la nazione contro l’oppressore tedesco e il traditore fascista, poi a rivendicare per il paese sconfitto una pace non punitiva. La giusta esaltazione dei meriti guadagnati nella guerra di Liberazione ha finito così per oscurare le responsabilità italiane ed è prevalsa un’immagine autoassolutoria che ha addossato sui tedeschi il peso esclusivo dei crimini dell’Asse, non senza l’interessato beneplacito e l’impegno attivo di uomini e istituzioni che avevano sostenuto la tragica avventura del fascismo.

Filippo Focardi insegna Storia contemporanea presso l’Università di Padova. Tra i suoi libri ricordiamo La guerra della memoria (Laterza, 2005); Criminali di guerra in libertà (Carocci, 2008); Il cattivo tedesco e il bravo italiano (Laterza, 2013), Nel cantiere della memoria. Fascismo, Resistenza, Shoah, Foibe (Viella 2020).