ESCLUSIVO. Campi elettromagnetici, il professor Livio Giuliani: “Sbagliato innalzare i limiti”

Nei giorni scorsi è saltato, a sorpresa, l’innalzamento dei limiti per il 5G, limiti che attualmente si attestano sui 6 Volt al metro. La questione è dibattuta: per qualcuno, tale innalzamento non avrebbe rappresentato alcun problema per la salute pubblica e per le imprese italiane sarebbe stata un’opportunità d’oro; per altri, invece, si può tirare un sospiro di sollievo. La partita, però, è tutt’altro che conclusa. Abbiamo chiesto un parere al professor Livio Giuliani, uno dei massimi esperti di campi elettromagnetici. Biofisico, già docente di bioelettromagnetismo ed ex dirigente di INAIL e ISPESL, ha lavorato presso università, enti ed organizzazioni di livello internazionale.

Professore, il governo ha annullato, per ora, l’innalzamento dei limiti elettromagnetici: discorso chiuso? È soddisfatto?

“La partita non è chiusa per il semplice fatto che la questione è dibattuta da 25 anni. Il limite attuale di 6 V/m è frutto di una mia proposta, che è stata poi recepita da diversi Paesi nel mondo occidentale. Il regolamento 381/1998, derivante dalla legge Maccanico, è stato superato dalla legge 36/2001, che avrebbe dato la possibilità al governo di allora di innalzare i limiti di esposizione: la nuova legge tuttavia confermò il regolamento 381/1998, prevedendo addirittura all’articolo 3 l’introduzione dell’obiettivo di qualità, per garantire una maggiore tutela della popolazione. Il Dpcm 8 luglio 2003 del secondo governo Berlusconi non modificò i limiti, ma la commissione composta dal Ministro Sirchia -e istituita da Veronesi- giunse alla raccomandazione di eliminare la normativa italiana al fine di introdurre quella europea, secondo la quale però i nostri limiti erano rispettati. Il precedente Governo non aveva adottato il decreto sostitutivo del Regolamento 381/1998, previsto dalla legge 36/2001, perché Amato si era opposto alla bozza di decreto di Bordon, il quale aveva proposto l’obiettivo di qualità a 3 V/m. L’allora presidente Amato bloccò infatti la proposta sostenendo di non voler ‘influenzare’ le elezioni, ormai prossime; venne però rifiutata anche dopo le votazioni, tant’è che Bordon si dimise prima delle dimissioni di quel Governo. Un altro tentativo di modificare i limiti risale al governo Monti, quando il Ministro dell’Ambiente era Clini, mio collega nella commissione interministeriale che stabilì i limiti nel 1998…”.

Che cosa accadde?

“Monti lasciò sì invariati i limiti, ma modificò la misurazione dei campi elettromagnetici, passando dai 6 minuti nelle ore di maggior traffico telefonico alla media di 24 ore. Questo stratagemma consentì, in pratica, di innalzare i limiti. Il governo Letta non fece in tempo ad apportare ulteriori modifiche; invece ci provò Renzi, il quale inserì nel programma della Presidenza di turno italiana della UE la proposta di innalzare sia i limiti italiani, sia europei. Successivamente Gentiloni preparò la bozza del decreto e il Conte II, che mise Colao a capo dell’innovazione tecnologica, la sottopose all’attenzione del governo, il quale espresse parere negativo, poiché l’iniziativa partì solo da Italia Viva. Ora il governo ci riprova, ignorando che, nella Risoluzione del Parlamento Europeo 2 aprile/2009, c’è scritto che ben 9 Paesi europei (inclusa l’Italia) hanno adottato il limite di 6 V/m. Persino la Cina, nel 2003, adottò un limite simile al nostro, sebbene solo leggermente più alto”.

Che cos’è la rete 5G e perché l’innalzamento dei limiti rappresenterebbe una minaccia per la salute pubblica?

“La rete 5G è una rete di stazioni radio base, in grado di lavorare multipoint. La questione della minaccia per la salute pubblica è antica: al riguardo basti pensare che, dal 1992 (rapporto Wallaczek sugli effetti non termici delle onde) in poi, vengono pubblicati 25/30 articoli alla settimana. La letteratura è gigantesca, poiché le pubblicazioni erano già migliaia nel ’92. Contro questa letteratura sconfinata sulla pericolosità dei campi elettromagnetici si è sempre scagliata l’industria, forte del parere politico della direzione generale dell’OMS. Di ben diverso parere è invece la IARC…”.

Perché?

“L’1 novembre 2018 il National Toxicology Program (NTP) ha pubblicato i rapporti finali sul rischio cancerogeno correlato all’uso dei cellulari delle reti 2G e 3G, confermando i risultati preliminari del 2017. Lo studio, durato 10 anni, ha coinvolto 4500 ratti e rappresenta il lavoro più importante del settore: negli animali vi sono delle ‘chiare evidenze’ (clear evidence, ndr) di sviluppare tumori cardiaci e un’’evidenza probabile’ (some evidence, ndr) di ammalarsi di tumori cerebrali, quali gliomi e glioblastomi e di tumori cranio facciali -come i neurinomi-. Nel corso degli anni si sono susseguite sentenze di condanna delle Corti d’Appello di Brescia, Firenze e Torino, che hanno di fatto confermato la validità della letteratura. Si sono svolti processi pure negli Stati Uniti. A sostegno della pericolosità dei campi elettromagnetici anche un importantissimo studio italiano del ‘Ramazzini’, che ha testato il rischio su 2500 animali: in questo esperimento l’esposizione dei ratti era di 50 V/m in campo lontano. Ciò conferma che i limiti attuali di 6 V/m sono ampiamente rassicuranti e che per questo motivo non vanno toccati”.

Secondo alcuni esperti, però, la paura nei confronti dei campi elettromagnetici sarebbe ingiustificata, addirittura fondante su basi antiscientifiche. Come se lo spiega?

“Gli studi che ho citato sono corposi. Tuttavia la Food and Drug Administration (FDA) e la Federal Communications Commission (FCC) li hanno ignorati, sostenendo semplicemente che il modello animale è diverso dall’uomo. In realtà abbiamo una prova di cancerogenicità certa e loro stanno facendo finta di niente”.

Chi trarrebbe vantaggio dall’innalzamento dei limiti?

“Ne trae vantaggio la parte finanziaria delle compagnie licenziatarie. Imporre il limite di 6 V/m è più costoso: al di là di ciò che pensano i non addetti ai lavori, occorrerebbe incrementare il numero di stazioni, al fine di ridurre l’esposizione e quindi i rischi. Quando le antenne sono lontane, invece, il telefonino deve ‘potenziare’ il segnale”.

A questo punto Le pongo la domanda inversa: chi subirebbe uno svantaggio, qualora venissero innalzati i limiti?

“La piccola-media industria italiana, che è di altissimo livello. Ai tempi di Tim e Omnitel eravamo i migliori d’Europa. Quando Monti modificò la misurazione dei campi elettromagnetici, passando da 6 minuti alla media delle 24 ore, alcune di queste industrie fallirono. Credo che chi ci governa non abbia capito che i profitti derivanti da un’operazione del genere finirebbero all’estero e il denaro non tornerebbe in Italia a sostenere la domanda interna poiché le compagnie telefoniche sono ormai tutte straniere”.

Cosa accadrebbe se si rinunciasse alla tecnologia 5G?

“Le potenzialità del 5G sono discutibili ma la rete ha il pregio di superare la scarsità della risorsa frequenza. Si tratta di una tecnologia innovativa, che può supportare una quantità di telefonate e di dati superiore, proprio perché lavora in multipoint. Tuttavia il 5G va sviluppato sul territorio con una corretta pianificazione della rete in radiofrequenza, collocando -come ho specificato in precedenza- un maggior numero di stazioni radio base ma non di antenne, anzi con antenne di minor potenza”.

Che cosa può fare il cittadino comune per difendersi dall’elettrosmog?

“Innanzitutto facendo in modo che il legislatore non modifichi l’assetto attuale, cioè che non innalzi il limite di 6 V/m. Per ridurre l’esposizione alle onde in campo lontano si può ricorrere a tende composte da reti metalliche molto fitte, in modo da abbassare la quantità di radiazioni che passano attraverso le finestre”.

Esistono tecnologie ‘pulite’ da sfruttare nel settore delle telecomunicazioni, per ridurre i rischi dell’elettrosmog?

“No, purtroppo non esistono. Qualcuno sostiene che si possa utilizzare con successo il lidar, ma a torto, in quanto il laser non riesce a oltrepassare nessun ostacolo che non fa filtrare la luce e perciò il lidar è inadatto nelle telecomunicazioni”.