Il prossimo 25 novembre avrà luogo la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. La violenza contro la donna non è un fenomeno solamento odierno, ma esisteva già in passato, come il nostro collaboratore Maurizio Panizza racconta in questo suo articolo.
Rovereto, 1910. La triste storia di Italia Spagnolli, una giovane libera ed emancipata che lavorava in un setificio di Rovereto. Un breve amore violento e contrastato, poi la sua barbara uccisione, infine l’oblio durato più di un secolo. Un lungo silenzio durante il quale l’infelice vicenda venne nascosta forse per pietà, oppure per vergogna o per sensi di colpa. Era il mese di marzo e la primavera stava per iniziare. Italia Spagnolli aveva allora solo 24 anni.
“Ma quanto è bella l’Italia!” esclamavano spesso in famiglia, orgogliosi di quella figlia e di quella medaglia vinta ad un concorso di bellezza e forse compiaciuti anche di quel nome, Italia, contenente in sé fascino e aspirazioni per coloro che all’epoca erano sudditi austriaci, ma che guardavano oltre a Borghetto con grande speranza.
Gli Spagnolli, originari di Borgo Sacco di Rovereto (all’epoca Impero d’Austria), avevano abitato fino al 1881 a Malcesine, nel Regno d’Italia, poi si erano trasferiti nuovamente a Rovereto, dove il papà Riccardo era tornato per lavorare da panettiere. Qui, il 24 luglio del 1885 era nata Italia e, sei anni dopo, la sorella Enrica. Purtroppo nel 1899 il papà era morto improvvisamente e da allora tutto era cambiato. Infatti, se fino a quel momento la famiglia era stata in affitto “alle Campagnole” di Borgo Sacco, da quanto ne sappiamo alla morte del padre le tre donne furono costrette a lasciare quel luogo per andare a Volano, il piccolo paese in cui era nata la mamma, Edvige Volani. A dire il vero c’era anche un fratello più grande, ma pare che all’epoca lui non vivesse più in famiglia. Del resto motivi ce ne sarebbero stati fin troppi per tenerlo a debita distanza. Infatti, diverse segnalazioni del Comune di Borgo Sacco del 1899, ci confermano come Ferdinando Placido Spagnolli, di 16 anni, fosse già stato condannato a tre mesi di “carcere duro” e considerato “individuo assai pericoloso in linea di violenze” al punto da venire proposto per lui lo “sfratto da tutti i domini rappresentati dal Consiglio dell’Impero”, l’attuale foglio di via, per intenderci.
Italia, non appena compiuti i 14 anni, nel 1900 aveva iniziato a lavorare. A quel tempo lei e il resto della famiglia erano, come si diceva, ospitate a Volano, da parenti, in una vecchia casa posta sull’attuale via Roma. Sappiamo, inoltre, che dieci anni dopo, nel 1910, la ragazza era occupata come “tessitrice” presso il setificio Schroeder, in via delle Fosse, a Rovereto.
Il 17 marzo di quello stesso anno, il quotidiano roveretano «Messaggero» uscì in edizione straordinaria alle sei del pomeriggio, riportando in cronaca la seguente drammatica notizia: “Grave fatto di sangue. Ore 17.35. Apprendiamo ora che in un’osteria in contrada della Terra un giovanotto ed una ragazza vennero trovati feriti gravemente d’arma da fuoco. Sul posto si è recata la Commissione giudiziaria”.
Il giorno successivo la notizia campeggiava su tutti i giornali. Titolava il «Popolo» di Cesare Battisti: “Gravissima tragedia. Un colloquio che finisce a revolverate”, mentre l’«Alto Adige» apriva la cronaca scrivendo: “Un dramma di sangue. La tragedia dell’amore”.
Tutto era cominciato qualche mese prima, quando Italia Spagnolli incontrò Fausto Boni, 28 anni, di Calliano. Fra i due si avviò una relazione che sin da subito si rivelò piuttosto sofferta per via del vizio di bere cui il giovane era dedito da molto tempo. Il Boni, poi, non pare fosse uno stinco di santo. Due anni addietro, infatti, era stato denunciato dal padre per averlo minacciato dopo essere venuti violentemente alle mani.
Mercoledì 16 marzo, il giorno prima della sparatoria, il ragazzo si era recato a Volano, dove a casa della fidanzata avvenne un’accesissima discussione innescata probabilmente dal fatto che la madre di lei non voleva più che i due si frequentassero. Sembra, infatti, che mamma Edvige, stanca di quello sfaccendato dedito all’alcool, vedesse con simpatia un giovanotto del paese, tale Luigi Filz, il quale da tempo aveva iniziato a fare la corte alla bella Italia. Fatto sta che il Boni, alterato dalla rabbia e forse dall’alcool, se ne andò via urlando e minacciando di morte entrambe le donne.
Giovedì 17, quello della tragedia, era una splendida giornata di sole. Italia, recatasi regolarmente al lavoro, era però preoccupata per la denuncia che la madre aveva promesso di sporgere contro il Boni. Improvvisamente, prima di mezzogiorno, il ragazzo si presentò alla porta dello stabilimento di Via delle Fosse chiedendo di Italia. Lei all’inizio non voleva saperne di abbandonare il lavoro, ma il fidanzato dopo molte insistenze riuscì a convincerla e quindi si incamminarono verso il centro città. Alcuni testimoni dichiararono di averli visti scendere abbracciati verso il centro città per poi entrare nel Palazzo di Giustizia, forse per verificare se la denuncia fosse stata realmente depositata, oppure – secondo altre voci – perché il ragazzo stava per avviare le pratiche di fallimento della sua piccola segheria a Calliano. Non sappiamo ovviamente cosa si dissero, certo è che dopo mezzogiorno i due furono visti uscire tranquillamente insieme e poco più tardi raggiungere l’Osteria alla Scaletta in via della Terra. Qui, riferirà in cronaca il «Corriere del Leno», “Ordinarono della birra e del formaggio e fecero merenda in buona armonia. Dopo circa un’ora, lasciati uscire tre giovanotti e scambiate alcune frasi vivaci, all’improvviso il Boni, estratta una rivoltella, colpì la Spagnolli con tre colpi alla testa rivolgendo poi l’arma contro se stesso.”
In pochi secondi, la minaccia di morte si era avverata e tutto era accaduto con il medesimo copione di altre mille tragedie che oggi ben conosciamo. Quelle che a distanza di un secolo, vengono ora chiamate “femminicidi” e che purtroppo si consumano sempre più frequentemente in molte, troppe famiglie italiane.
Al rumore delle detonazioni, molta gente si riversò in strada e nell’osteria. Accorsero le guardie e in poco tempo arrivò dall’ospedale un’autolettiga con alcuni medici. I due giovani giacevano supini a terra circondati da un lago di sangue, ma, incredibilmente, erano ancora vivi. I sanitari riscontrarono ad entrambi ferite gravissime: il Boni rantolava, privo di conoscenza e con un proiettile nel cranio; Italia, invece, era ancora presente e domandò che venisse chiamato un sacerdote.
L’inchiesta, avviata immediatamente, portò alla luce alcuni fatti sconcertanti, fra cui il ritrovamento, in una tasca del giovane, di un foglio, scritto lo stesso giorno, in cui lui disponeva delle sue ultime volontà.
Annoterà il «Messaggero»: “All’ospitale i medici dott. Dordi e dott. Scrinzi operarono i feriti, facendoli poi trasportare nelle rispettive sale. Anche la Commissione giudiziaria si portò all’ospitale per vedere se era possibile interrogare la ragazza. Ma quantunque essa fosse stata consapevole, non era però in grado di articolare parola in causa della frattura della mandibola e della lacerazione del palato.” Il giornale «Trentino», diretto da Alcide Degasperi, aggiungerà laconicamente il giorno seguente: “Il Boni è morto questa notte senza proferir parola. Lo stato della Spagnolli si mantiene tutt’ora grave. Fu sottoposta all’azione dei raggi Rötgen ed i medici poterono constatare che aveva tre proiettili nella testa, dei quali finora non fu possibile estrarne che uno. Ella soffre dolori atroci. Sono al suo letto tutti i suoi parenti.”
Come scriverà ancora il «Popolo», all’indomani della tragedia tutto era ancora avvolto dal mistero e dall’incredulità sia perché alcune persone sostennero di avere visto nella tarda mattinata i due giovani scambiarsi baci appassionati “dietro alle fosse”, ma pure per il fatto che tutta la città era molto impressionata “perché non si ricorda da un pezzo un caso si tragico.”
In realtà è da dire che simili tragedie erano rare nella società dell’epoca anche perché la donna, in generale, a quei tempi non poteva permettersi di reclamare alcuna libertà dovendo sempre subire e tacere, sia nei confronti dei genitori che in quelli del marito o fidanzato che fosse. Probabilmente alla povera Italia (resa libera e emancipata dal lavoro e dalle vicende della vita) accadde di trovarsi stretta fra due analoghi “poteri” contrastanti: quello della madre che la voleva costringere a chiudere immediatamente la relazione con il Boni, e quello di quest’ultimo che non tollerava di essere messo da parte. L’errore poi che fece la giovane – se di errore si può parlare – fu quello di ritenersi in grado di redimere un uomo che avrebbe meritato non tanto l’amore, quanto la galera. Del resto, da questo punto di vista è cambiato ben poco: oggi, come cento anni fa, spesso è fatale la “vocazione” delle donne nel voler salvare i propri uomini, quelli che non cambieranno affatto e che diventeranno poi i loro carnefici.
Purtroppo Italia Spagnolli, la bella ragazza dallo sguardo dolce e fiero e dagli occhi neri, non poté mai spiegare cosa successe in quella giornata. A distanza di otto giorni, infatti, lei spirò in una sala comune dell’ospedale di Rovereto e il quotidiano «Messaggero», che per primo aveva raccontato del dramma, nuovamente scrisse: “La protagonista della tragedia avvenuta nella nostra città la sera del 17 marzo corrente, è morta stamane alle ore 7. È finita così tragicamente la dolorosa storia d’amore che senza un perché ha strappato alla vita due giovinezze, mentre più luminosamente che mai dovevano loro sorridere i sogni dell’avvenire.”
Al di là della retorica del tempo contenuta in questo annuncio, nondimeno è da dire che i percorsi dell’amore, incrociandosi con quelli della follia, a volte appaiono incomprensibili o forse… fin troppo chiari. E la prova sta in un altro biglietto rinvenuto addosso al Boni che lasciò sbigottiti pure gli stessi inquirenti. Lo scritto diceva: “Conchiuso oggi 5 marzo 1910 con Boni Fausto di Calliano e me Italia Spagnolli di Volano d’essere sempre l’un dell’altro, promettendoci di sposarci e di non essere sposa di nessuno qualunque ostacolo si frapponga fra noi, ed in fede di che giuriamo entrambi e ci firmiamo: Spagnolli Italia, Fausto Boni.”