Nuova diffida dell’UCDL (Unione per le Cure, i Diritti e le Libertà, fondata e presieduta dall’avvocato Erich Grimaldi) alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, al Ministero del Lavoro, degli Interni, della Difesa e dell’Istruzione, nonché per conoscenza anche a Confindustria e a tutte le sigle sindacali, relativamente all’introduzione del Green Pass. Per l’Unione, la certificazione verde rappresenta uno “strumento discriminatorio, che non tutela realmente la salute pubblica, in quanto esclude i vaccinati dai test per la verifica di positività al Covid. L’obiettivo è convincere le istituzioni a predisporre, da parte delle aziende, una verifica quotidiana della negatività di tutti i lavoratori, anche quelli vaccinati, a proprie spese, e di attivarsi al fine di promuovere l’utilizzo dei tamponi salivari, meno invasivi e rapidi”. La diffida è stata inviata da cinquanta legali appartenenti al coordinamento nazionale dell’associazione. Partendo dai presupposti secondo cui il certificato verde per accedere al posto di lavoro sia ottenibile gratuitamente con la sola vaccinazione o dopo aver contratto il Covid-19 ed essere guariti, il Green Pass è “lesivo dello stesso diritto alla salute dei lavoratori. Difatti, nonostante il vaccino diminuisca drasticamente il rischio di contagio e aggravio della malattia, non garantisce in alcun modo l’immunità. Il Green Pass non si rivela dunque efficace dal punto di vista del contenimento del rischio sanitario, quanto invece lo sono i test antigenici e molecolari, che però sono disponibili solo a pagamento e ad un prezzo elevato”. Nella diffida, l’UCDL fa riferimento al Dlgs 81/08, precisando che è “compito del datore di lavoro compiere sempre un’opportuna e puntuale valutazione del rischio che tenga solo conto di quelli effettivi, nella fattispecie rischi da contagio verso i quali è esposto il lavoratore, dove la valutazione degli stessi, onde evitare di incorrere in sostanziali profili di responsabilità civile e penale per danni da contagio del lavoratore, sono senz’altro avulsi da patentini di immunità che non hanno nulla a che fare con il reale ed effettivo contenimento nonché abbattimento del rischio da infezione da Sars Cov-2”. Secondo l’UCDL, “il datore deve sempre eseguire un’analisi della valutazione del rischio che sia attuale, in quanto è suo compito monitorare le dinamiche e le eventuali variabili del rischio e non può oggi non considerare, oltre alle già vecchie e acclarate considerazioni sul vaccino che non ha un’efficacia perpetua (AIFA), anche nuove considerazioni ovvero che il vaccino, allo stato, sembra, da dati empirici e scientifici, non offrire neanche le garanzie di immunità espresse in premessa, tanto è vero che si è reso necessario ricorrere a una terza dose tra i soggetti più fragili in Italia e in altri Paesi”. L’Unione ritiene il Green Pass discriminatorio, “in quanto consente l’accesso al lavoro in modo diversificato ai vaccinati (il vaccino è a titolo gratuito) rispetto ai non vaccinati, i quali per poter accedere al luogo di lavoro devono necessariamente sostenere un costo settimanale, corrispondente agli esborsi necessari per eseguire 3 e\o 4 tamponi utili a mantenere attivo il certificato verde, con la circostanza altrettanto discriminante di potersi contagiare in ragione della totale assenza di monitoraggio dei vaccinati che non sono tenuti a nessuno screening di negatività al virus (si ricorda infatti che un vaccinato può comunque contagiare e contagiarsi, come è stato ampiamente documentato, ndr). Nella diffida è specificato, inoltre, che “il datore di lavoro deve monitorare ogni aspetto del rischio ed essendo tenuto ad eliminare anche il rischio residuo, questi non può, date le premesse e considerazioni fatte, sia pure surrettiziamente, obbligare il lavoratore al vaccino, che pure reca con sé suoi potenziali rischi, anche da reazioni avverse, né può non richiedere agli stessi lavoratori vaccinati un tampone rapido che ne attesti la loro reale negatività”. Sulla terza dose: “Rappresenta un medesimo preparato e non un vaccino incrementato in efficienza e non produce immunità ai vaccinati che, a loro volta, dunque, possono sempre contagiarsi e contagiare”. Nel comunicato l’UCDL aggiunge: “Le istituzioni dovrebbero garantire, per le aziende con più di 15 dipendenti, la possibilità di eseguire il test in azienda, sotto la sorveglianza e responsabilità di un incaricato dell’impresa, a ciò autorizzato dal Ministero della Salute, onde poter inserire la negatività sulla relativa piattaforma ai fini del rilascio del Green Pass. Allo stesso modo ciò andrebbe garantito alle forze dell’ordine, presso tutte le caserme e/o distaccamenti, nonché per il personale scolastico o universitario. Questo perché le farmacie non potranno evadere tutte le richieste con il rischio per i lavoratori di un’impossibilità oggettiva di accedere al luogo di lavoro”. L’Unione cita infine il Regolamento UE 953/2021, che stabilisce: “…È necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate…perché non hanno ancora avuto l’opportunità di essere vaccinate o hanno scelto di non essere vaccinate”. La diffida conclude sostenendo l’importanza di introdurre anche il tampone salivare (viene citata la circolare Min. Salute n. 21675 del 14 maggio 2021) che, “oltre ad essere il meno invasivo dei test, nonché il meno costoso (es. il lollypop e lo stantuffino per narice), risulta per le sue caratteristiche il più idoneo a uno screening larghissimo, costante e sistematico a 360°”.
Foto, Erich Grimaldi/c-Studio Ermes di Francesco Servadio