La grappa è un’acquavite unica al mondo ed esclusivamente italiana che si ricava dalle bucce degli acini d’uva separate dal mosto o dal vino al termine della fermentazione alcolica.
Questo ne determina in maniera inequivocabile il carattere, la storia, la tecnologia, la difficoltà nella produzione e quindi la sua preziosità.
Vendemmia dopo vendemmia, enologi e distillatori italiani nel corso di centinaia di anni hanno sperimentato tecniche nuove per giungere all’ottenimento di acqueviti di alta qualità senza rinunciare alla distillazione diretta delle vinacce, convinti senza dubbio che la tradizione deve essere prioritaria nel determinare le scelte tecnologiche.
Per questo in un bicchiere di grappa è racchiusa un’arte antica, in continua evoluzione.
Un’arte capace di portare immediatamente alla natura, alla civiltà rurale ed infine alla intimità del ribollir dei tini.
La grappa così difficile ed anche così onerosa da produrre, vince la lotta contro il tempo mantenendo le fragranze della vendemmia per decenni, forse, chissà, per secoli.
Un bicchierino di grappa è dunque prezioso per il suo messaggio che trasmette nel suo profilo organolettico. Ma se la sua intrinseca generosità gli concede di offrire a tutti un sano e meritato momento di piacere, solo a pochi è consentito di pienamente di riconoscerlo nella grandezza della materia prima utilizzata e la sapienza utilizzata dal mastro distillatore.
Tra i destinatari vi sono di degustatori preparati, professionisti di una disciplina dove non si raggiunge mai la perfezione, ma che è capace di donare sin dal principio una gratificazione pari a quella provata di fronte ai grandi distillati del mondo, come alcuni rum, whiskey, gin.
Se un raggio di luce attraversa una bevanda senza essere deviato da sospensioni o corpuscoli e arriva diritto a noi, si dice che il liquido odoroso preso in esame è perfettamente trasparente Chi ha frequentato i corsi da sommelier sa che i termini usati sono brillante, cristallina e limpidissima.
La grappa deriva dal processo di distillazione che da sempre è sinonimo di purificazione.
Sgorga dall’alambicco più cristallina dell’acqua di rocca e solo un errore o negligenze del distillatore ne possono alterare lo stato di perfetta trasparenza. Ma chi inventò la grappa? Senza dubbio… Gli italiani! La grappa in quanto acquavite è stata concepita nell’ambito degli studi della scuola salernitana che intorno all’anno mille codifica le regole della concentrazione dell’alcol attraverso la distillazione e ne prescrive l’impiego per svariate patologie umane garantendo ai distillati un lungo e duraturo successo. Le vinacce, materia prima alcoligena povera (rispetto al vino ad esempio contengono i due terzi di alcol in meno) ma molto diffusa sono da subito considerate e del loro spirito si parla già nel 1400. Quando l’acquavite entrò nell’uso comune, la Repubblica di Venezia ne definì tutte le misure di capacità per i liquidi allora in uso. Era lontano l’avvento del sistema metrico decimale, che entrò in vigore con Napoleone Bonaparte all’inizio del XIX secolo.
Ecco una classificazione media per vedere i nomi delle misure veneziane in uso fino al secolo XVIII:
Botte: Litri 751, 17
Anfora: Litri 600, 93
Bigoncio: Litri 150, 23
Mastello: Litri 75,11
Barile:Litri 64,38
Quarta: Litri 20,82
Secchia: Litri 10,73
Boccale o bozza: Litri 2,68
Quartuccio: Litri 0,67
Fialetta: Litri 0,455
Gotto: Litri 0,16
La grappa si può utilizzare anche in cucina, nei dolci o nelle preparazioni salate.
Il Frico ad esempio riunisce in sé tutto il profumo della Carnia. Si dice che “al fas ai muarz firà lu flat” (che faccia respirare i morti) dal momento che sembrano riunite in esso tutti i pascoli carnici. I Boscadors se lo portano appresso infischiandosene della digestione ed anzi considerando la cosa rispetto al duro lavoro che andranno a svolgere. Le più antiche ricette del frico sono della metà del XV secolo e sono di Maestro Martino. Negli anni passati questa squisita preparazione era correntemente in uso in tutte le case dei friulani e dei loro discendenti, mentre ai giorni nostri viene preparata soltanto in particolari ricorrenze. Ecco una delle tante ricette della tradizione: Affettate a velo sottile la cipolla e tagliate a pezzettini le patate tenendole in acqua fredda affinché non anneriscano. Tagliate a fettine sottili il montasio. Mettere sul fuoco una larga padella con il burro, e far appassire in esso la cipolla affettata aggiungendo successivamente le patate a pezzetti. Incoperchiare e lasciare cuocere a fuoco dolce finché le patate risulteranno cotte e tenere. Schiacciarle allora con i rebbi della forchetta in modo che formino un tutt’uno con la cipolla, spruzzare di grappa friulana salare e poco pepare. Mettere nel recipiente le fettine di Montasio e lasciar cuocere la preparazione sempre a fuoco lento, per una ventina di minuti avendo cura di girare e rigirare di tanto in tanto in modo che alla fine il frico abbia una bella crustolaza, (una bella crosta croccante) servirlo ben caldo in abbinamento ad vino bianco o rosso, friulano, purchè buono. E buon appetito!