“Chiudere l’Italia a Pasqua è pura cattiveria. Il fattore di crescita è sì superiore a 1, ma ci attendiamo il picco dei contagi tra una o due settimane: ciò significa che la discesa arriverà prima delle feste, indipendentemente dall’introduzione della zona rossa”. A parlare è il matematico Maurizio Rainisio, biostatistico di fama internazionale, esperto di metodologia degli esperimenti clinici, epidemiologo, con oltre quarantacinque anni di attività nell’industria farmaceutica. E sulla situazione dell’Alto Adige rivela: “La provincia di Bolzano si trova in una condizione migliore della Sardegna, considerata zona bianca. È vero che in Alto Adige i contagi sono ancora elevati, tuttavia stanno scendendo, mentre in Sardegna stiamo assistendo a una loro risalita”.
Dottor Rainisio, la gente comune è spesso disorientata: non è semplice districarsi tra numeri, grafici e parametri vari…
“I dati sono di difficile interpretazione pure per noi, addetti ai lavori. Le serie di numeri fornite dalle autorità sono diverse, tra loro. Si parla di infetti, asintomatici, Rt: tutte cose che possono generare confusione tra i profani”.
Come sta evolvendo la pandemia in Italia e nel mondo?
“Non si può sapere cosa ci riserverà il futuro. Abbiamo gli esempi delle pandemie del passato, nonché le informazioni relative alla prima ondata, tuttavia i dati attuali sono diversi rispetto a quelli di marzo 2020, perciò non si possono istituire confronti. L’anno scorso c’erano le condizioni per prevedere l’andamento della pandemia da metà marzo a fine maggio. Poi le cose sono cambiate”.
Perché?
“Da settembre a oggi abbiamo assistito ad almeno due ondate, se non addirittura a due ondate e mezzo, che non hanno coinvolto solo il Settentrione, ma l’intera penisola”.
Quali dati vanno presi in considerazione, ai fini epidemiologici?
“Sono due: il primo è l’incidenza, cioè il numero dei nuovi infetti e dei morti, il secondo è quello dei sintomatici. Il numero dei nuovi contagiati è reso noto dalla Protezione Civile, attraverso il classico bollettino pomeridiano, mentre il secondo, importantissimo, dall’ISS (Istituto Superiore di Sanità, ndr), che tuttavia ci fornisce solo i dati dell’Italia. L’interpretazione è difficoltosa, per i sintomatici è possibile ipotizzare l’insorgenza dei sintomi dopo circa cinque giorni dal contagio, mentre il numero dei nuovi infetti si basa sull’esito del tampone, che però può arrivare anche 10 giorni dopo il contagio. Ciò determina uno sfasamento temporale per quanto concerne la trasmissione dei dati. Per i sintomatici su cui si calcola Rt si deve aggiungere un ritardo di quattordici giorni, necessario per consolidare i dati.
Rt: di che cosa si tratta, esattamente?
Per far comprendere l’Rt faccio il paragone con gli interessi bancari: se investo 1000 euro e maturo il 2% di interessi annui, mi ritroverò alla fine dell’anno con 1020 euro. L’Rt può essere interpretato come l’incremento degli infetti da oggi a domani o tra una settimana. Questo incremento cambia sempre, in relazione ai dati ed è nel momento in cui comincia a salire che l’autorità dovrebbe intervenire. Possiamo tranquillamente confondere Rt con un semplice tasso di crescita”.
Invece?
“Siamo sempre in ritardo, proprio per i motivi di cui parlavo prima. A Bolzano, ad esempio, all’inizio di ottobre l’Rt era molto alto ed è cominciato a scendere tra la prima e la seconda settimana dello stesso mese. È rimasto superiore a 1 fino al 10 novembre, giorno in cui si è registrato il numero maggiore di casi in tutto l’Alto Adige, sebbene stesse già calando da settimane. Il governo ha introdotto le fasce colorate il 6 novembre, quando l’Rt si stava già abbassando da tempo. Situazione simile anche a gennaio: l’Alto Adige è entrato in zona rossa il 17, ma l’Rt e il tasso di crescita sono saliti dai primi giorni di dicembre fino ai primi di gennaio. In pratica l’Rt è sceso indisturbato a cavallo tra la zona rossa e l’arancione, indipendentemente dalle misure adottate. A pensare male sembrerebbe che l’Italia chiuda proprio quando l’Rt scende e la curva degli infetti arriva in prossimità del massimo, per giustificare la bontà delle misure. Non voglio dire che la zona rossa sia sicuramente inefficace, semplicemente i suoi effetti non si sono visti: i dati non smentiscono questo aspetto. Faccio notare, infine, che l’indice di crescita stava scendendo spontaneamente anche il 10 marzo 2020”.
Come valuta la situazione attuale dell’Alto Adige?
“A livello epidemiologico l’Alto Adige è una delle migliori realtà d’Italia, superiore anche alla Sardegna, considerata zona bianca. In provincia di Bolzano i casi sono parecchi ma, rispetto a quello della Sardegna, il suo Rt sta scendendo più rapidamente, già dalla fine di gennaio. All’inizio di febbraio il fattore di crescita era prossimo a 1, cioè il numero di infetti era al massimo, perciò a quel punto la provincia avrebbe potuto diventare zona gialla. Attualmente a Bolzano si registra un fattore di crescita dello 0,5. Nel resto d’Italia la situazione non è così rosea: il fattore di crescita è superiore a 1, ma ci aspettiamo che scenda tra una o due settimane. Proprio per questo le misure restrittive di Pasqua paiono ingiustificate: i nostri governanti utilizzano il fattore Rt, che però viene applicato con un ritardo di tre settimane. Personalmente adotto il fattore di crescita basandomi sui dati della Protezione Civile: quando mi attengo a quelli dell’ISS descrivo la situazione di 14 giorni prima”.
Nei giorni scorsi il prof. Giovanni Rezza (Direttore Generale della Prevenzione al Ministero della Salute, nonché dirigente di ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità) ha dichiarato che non esistono studi in grado di stabilire l’esatta provenienza dei contagi. Qual è il Suo parere, in merito?
“Confermo. Mancano studi esaustivi e quelli esistenti non si rivelano affidabili. Vengono chiusi cinema, palestre, scuole e locali: ammesso pure che tali misure contribuiscano a ridurre i contagi, come si fa a dimostrare che i benefici siano stati ottenuti chiudendo l’attività “x” anziché “y”? Sulla scuola si è aperta una diatriba enorme. In uno studio a cui ho collaborato con la professoressa Sara Gandini e appena pubblicato su “The Lancet Regional Health”, sosteniamo che la scuola sia il luogo più controllato e perciò con una diffusione minore del contagio. Nel 2020 l’eccesso di mortalità rispetto agli anni precedenti sotto i 60 anni (cioè nell’età di studenti e docenti) è stato di 500 decessi: si tratta di un numero irrilevante, in quanto non sono state prese in considerazione tutte le altre variabili, quali le morti per incidenti e le varie patologie. Discorso analogo anche per il personale sanitario, che non ha subito ripercussioni: sotto i 30 anni, fra l’altro, si è verificato, nel 2020, un solo decesso in più. Qual è il senso di aver vaccinato i sanitari più giovani, quando mancavano all’appello quasi tutti gli anziani? Ultima considerazione: i morti per Covid sono stati comunque inferiori rispetto ai deceduti per malattie oncologiche e cardiovascolari. Queste ultime rimangono saldamente la prima causa di morte del 2020”.
Sull’efficacia delle misure restrittive il dibattito è aperto…
“Sulla pericolosità degli assembramenti ognuno sostiene la propria tesi. Personalmente ritengo importantissimo lo studio di John P.A. Ioannidis, il più grande epidemiologo vivente, della Stanford University: https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/eci.13484. Il professore dimostra che gli interventi non farmacologici duri non sono stati migliorativi rispetto a quelli non farmacologici soft”.
Eppure qualcuno ritiene che in Svezia, dove non si è osservato il lockdown, le cose siano andate bene solo “apparentemente”. Cosa ne pensa?
“Sono sciocchezze: la Svezia ha fatto registrare numeri decisamente migliori rispetto all’Italia. È vero che in Svezia ci sono aree “semi-desertiche”, ma città come Stoccolma e Malmö sono densamente abitate, al pari di Milano. Inutile accampare pretesti”.
Altro argomento dibattuto: l’obbligo di indossare le mascherine nei luoghi aperti…
“Secondo gli studi teorici, le mascherine chirurgiche contribuiscono a ridurre la propagazione del virus. Tuttavia gli studi pratici non hanno dimostrato assolutamente niente. Due igienisti australiani hanno fatto il punto sulla situazione riportando anche i risultati dell’unico esperimento clinico sulle mascherine chirurgiche, condotto in Danimarca, con l’intento di dimostrarne l’efficacia. L’esperimento è fallito: https://theconversation.com/face-masks-cut-disease-spread-in-the-lab-but-have-less-impact-in-the-community-we-need-to-know-why-147912. È bene ricordare, infatti, che le mascherine chirurgiche sono efficaci se utilizzate per lo scopo con cui sono state progettate. Un conto è utilizzarle in una sala operatoria, un altro sugli autobus o all’aperto”.
Ritiene che le misure restrittive siano state adottate nonostante l’assenza di evidenze scientifiche inconfutabili?
“Sì. Per avvalorare una tesi scientifica si deve partire da un’ipotesi, che poi conduce a un esperimento clinico. Sui vaccini, ad esempio, è possibile svolgere studi clinici. Sulle misure restrittive e su un utilizzo delle mascherine diverso da quello per cui sono state concepite è invece impossibile e come abbiamo visto l’unico esperimento condotto non ha avuto successo”.
È possibile prevedere una nuova ondata, in futuro?
“No, non è possibile prevedere alcunché: dal mio punto di vista, chi afferma il contrario mente”.
Foto, Maurizio Rainisio